Non è così frequente che un ottimo ricercatore riesca anche a essere un ottimo divulgatore e questo è il caso di Antonello Pasini, climatologo, che con il suo ultimo libro, L’equazione dei disastri (Codice ed., febbraio 2020, 184 pagg., 16€) ci fornisce un quadro molto ampio di come funzionano i cambiamenti climatici e, in particolare, quale sia la situazione dell’Italia dal punto di vista degli impatti e dei rischi specifici che corre il nostro Paese.
La chiave di lettura è quella di una (semplice) equazione che collega le probabilità di eventi disastrosi alle caratteristiche di vulnerabilità e di esposizione a tali rischi. Per spiegare al lettore come questa semplice equazione si può applicare all’esperienza comune, Pasini utilizza l’esempio del virus influenzale e mai una analogia poteva essere più collegata all’attualità, cosa che fa certo un’impressione quasi profetica, letta in questi giorni di pandemia.
La semplice equazione del rischio dice che questo è il prodotto di una pericolosità P, per la vulnerabilità V e l’esposizione E. Cosa vuol dire? Nel caso del virus è abbastanza semplice: la pericolosità è quella del virus – quanto è aggressivo – la vulnerabilità è quella di ognuno di noi a seconda dell’età, dello stato di salute e altri fattori individuali, e l’esposizione è legata al contatto con portatori – sani o malati – del virus.
Questa semplice correlazione spiega anche le misure prese per ridurre il rischio: non possiamo far nulla, infatti, né sulla pericolosità intrinseca del virus né sulla vulnerabilità degli individui, possiamo solo agire sull’esposizione collettiva al virus riducendo i contatti tra le persone.
Cosa c’entra tutto questo con il clima e, per esempio, il rischio idrogeologico che caratterizza il nostro fragile e antropizzatissimo Paese? Le connessioni tra cambiamenti climatici e l’espansione di certe malattie (tropicali) è provata e, anche se in Italia la malaria non è arrivata, «tuttavia si sono verificate recentemente epidemie causate dal Chikungunya virus, trasmesso dalla zanzara tigre, e sono giunti anche il Dengue virus e il West Nile virus. La leishmaniosi, malattia canina trasmessa dai pappataci (flebotomi), che un tempo si riscontrava solo al Sud, ora appare emergente anche in altre zone d’Italia e in altura».
Il senso dell’esempio «virale» è però ben più ampio: il libro propone infatti un approccio analogo utilizzando la stessa equazione dove, ovviamente, i singoli fattori (pericolosità, vulnerabilità e esposizione) sono riferiti ai fenomeni climatici e alle caratteristiche territoriali.
Così, per i cambiamenti climatici la pericolosità è legata ai fenomeni estremi, che esistono già in natura ma la cui frequenza e intensità sono alterate, in peggio, dal riscaldamento globale: alluvioni, ondate di calore, periodi di siccità e altri. La vulnerabilità è quella di un territorio di per sé fragile per caratteristiche proprie che, per la forte antropizzazione e per un dissennato uso del suolo, abbiamo ulteriormente infragilito. L’esposizione invece è legata ai nostri beni: costruire case e interi quartieri in zone soggette a esondazioni o forte erosione delle coste espone queste strutture a rischi maggiori.
Con questo approccio Antonello Pasini spiega i diversi aspetti e lo fa spiegando, in modo semplice e chiaro, le scoperte della scienza a partire da quelle su cui ha dato il suo contributo scientifico. Come già in un precedente volume (Effetto serra Effetto Guerra, Chiarelettere, pagg.176, 15€) scritto con Grammeos Mastrojeni, il rigore scientifico è accompagnato da una semplicità di lettura e da chiare indicazioni su politiche e misure. Entrambi i volumi presentano la descrizione della «dinamica climatica» in cui l’Italia è coinvolta col bacino del Mediterraneo. La presenza di strutture anticicloniche sul deserto del Sahara, infatti, determina una fenomenologia precisa: «Da un lato siamo sempre più spesso sotto l’influsso di anticicloni africani che portano bel tempo, ma temperature e talvolta umidità superiori: ciò può significare lunghi periodi di siccità e meno giorni di pioggia nel corso dell’anno; dall’altro lato, però, arrivano più frequentemente anche gli influssi freddi, che possono causare precipitazioni intense, aumentando quindi la quantità di pioggia (che ora cade violentemente nei pochi giorni piovosi rimasti)».
Pur parlando di disastri, il tono del libro è comunque ottimista e mira a spingere all’azione: la notizia positiva, ribadisce Pasini, è che buona parte dei fattori in gioco è causata dalle attività umane e, dunque, c’è ampio spazio di manovra per cambiare le cose. Anche se, purtroppo, il sistema climatico ha di per sé una sua inerzia: la CO2 che emettiamo rimane alcuni secoli in atmosfera e dunque una parte dei danni è inevitabile. «In effetti, non si parla mai di tornare alle temperature preindustriali, si cerca solo di non aumentare troppo la temperatura per scongiurare impatti peggiori. Di conseguenza, dovremo abituarci a convivere con impatti che non siamo in grado di eliminare, facendo in modo che provochino il numero minore di danni. Per questo dobbiamo anche pensare ad azioni di adattamento, per esempio del territorio, delle nostre infrastrutture, case e altri manufatti. (…) Nonostante questo, sappiamo che per evitare i guai peggiori del cambiamento climatico l’abbandono dei combustibili fossili andrà attuato, e anche rapidamente».
Dunque, per risolvere gli effetti del «disastro climatico» dobbiamo sia mettere in campo misure di «adattamento» territoriale, in modo da ridurre la vulnerabilità (ad esempio idrogeologica) del territorio che l’esposizione dei nostri beni (con una pianificazione territoriale attenta).
Ma qui, diversamente dall’esempio del virus, possiamo in prospettiva (temporalmente lunga purtroppo) agire anche sulla pericolosità degli eventi climatici, contribuendo a ridurre le emissioni di gas a effetto serra su scala globale, che è l’unica possibilità per mantenere vivibile il pianeta e, dunque, anche il contesto mediterraneo in cui il nostro Paese è collocato.
GIUSEPPE ONUFRIO
Direttore Greenpeace Italia
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