Le ultime schermaglie della campagna elettorale in Emilia Romagna hanno segnato un ulteriore gradino nell’inviluppo (quindi nello sviluppo) della tattica della comunicazione politica, radicalizzando quelli che davvero con molta fatica possono essere definiti “contenuti“; semmai delle trovate propagandistiche di bassissima lega (omen nomen) che però hanno un grande effetto su una popolazione italiana che è sempre più abituata a varcare la soglia non tanto del “politicamente corretto” ma della pura e semplice dialettica, del mero scontro civile.
La citofonata di Salvini, i comizi di Bibbiano, esprimono in tutta evidenza una alterazione continua ma non costante, anzi proprio esponenziale, nell’alzare l’asticella della rimarchevolezza degli avversari e l’invito indiretto fatto al cosiddetto “popolo” ad esprimere valori esattamente opposti a quelli di tutti coloro che sono l’opposto o anche solamente molto diversi dal sovranismo italico.
Apparentemente non esiste nessun collegamento tra gli esponenti politici di primo piano e il clima che si forma nel Paese in conseguenza delle loro parole, del modo con cui le esprimono, delle simbologie che adottano quando impugnano una Bibbia, un crocefisso, un rosario; quando indossano mille felpe differenti, da luogo a luogo, per significare che loro sono praticamente del luogo, essendo parte del popolo, di ogni popolo di qualunque territorio della Repubblica.
Ma la storia ci ha insegnato che causa ed effetto fanno parte naturale del processo tanto evolutivo quanto involutivo della costruzione della vita umana, giorno per giorno, ora per ora addirittura.
Del resto, i comizi, le interviste televisive, il volutamente smodato utilizzo dei “social network” hanno come unico scopo la formazione di una opinione davvero “pubblica“, riferibile al molteplice soltanto, che finisce per essere estranea alla proprietà di costruzione di una autonomia mentale del singolo e che non fa altro se non seguire la massa, relegando in secondo piano dubbi, criticità, lasciandosi trascinare da sentimenti istintivi di rabbia, di collera, di odio, di contrapposizione non ideale ma declinata sul piano del colore della pelle, dell’origine etnica di chi gli sta accanto, degli stereotipi più consumati e cinici che si possano immaginare o andare a ricercare nel lungo cammino della storia umana.
E’ del tutto evidente che ci troviamo davanti ad un declino della morale politica intesa come espressione dei rapporti anche semplicemente umani che dovrebbero regolare e uniformare la vita dei cittadini, il loro interagire con le istituzioni democratiche e la collaborazione fattiva al porre ogni giorno le basi per la continuazione della vita sociale, impedendo l’annichilimento dei valori civili che non possono e non devono avere un ruolo marginale nella considerazione complessiva della comunità nazionale.
Parimenti non si può ignorare il fatto che le forze polarizzate che si contendono il governo, ad esempio, dell’Emilia Romagna sono speculari sotto alcuni aspetti non secondari: sono formazioni politiche liberiste, che non mettono in discussione il modello di società merceologica e profittuale e, pur chiamandosi “centrosinistra” o anche soltanto definendosi “sinistra moderata” o “riformista“, non mostrano nello schieramento di Bonaccini elementi di progressismo, ma risultano essere replicanti locali – e siamo sempre sul fronte statico del “meno peggio” – del PD nazionale e suoi satelliti (+Europa, PSI, PRI).
Un PD attualmente è protagonista di un esecutivo che tiene in un disambiguo equilibrio l’abolizione del superticket sui farmaci (non a caso ricercata dal settore più “di sinistra” della coalizione di maggioranza) e il mantenimento dei decreti sicurezza e di tutte le legislazioni che hanno penalizzato il lavoro e le pensioni, l’alternanza scuola-lavoro.
Un centrosinistra che pretende di spostare a sinistra un Movimento 5 Stelle in piena crisi di identità e di posizionamento geopolitico, ma che al contempo accetta l’introduzione del taser come strumento di gestione delle insicurezze di un Paese che vira già a destra per sua sponte, invitato a farlo dal pessimo rapporto con una politica che lo ha deluso per troppo tempo e che viene, per questo, rappresentata facilmente dai sovranisti come plastico esempio di passato che non deve tornare.
Ed allora, davanti a tutti questi dilemmi e considerazioni critiche, davanti al pericolo sovranista che evidenzia lapalissianamente la mortificazione della democrazia formale e quindi rischia di abbruttire il Paese, di renderlo sempre meno civile e sociale, egualitario e solidale, si pone la questione del “voto disgiunto” in quanto forma di “voto utile“. In pratica, tra il popolo grillino rimasto e quello della cosiddetta impropriamente “sinistra radicale“, quindi tra i comunisti e le comuniste, si aggira non lo spettro evocato dal “Manifesto” di Marx ed Engels ma il dubbio: votare “L’Altra Emilia Romagna” (per quanto ci riguarda) per esprimere un vero voto di sinistra comunista mettendo una croce sul simbolo e poi barrare il nome di Bonaccini per sbarrare la strada al centrodestra a trazione leghista?
Siamo davvero davanti ad un bivio, ad una scelta di salvezza regional-nazionale? Per riflettere compiutamente in merito occorrerebbe scrivere ancora fiumi di parole tanto sull’essenza del voto, su ciò che rappresenta e ciò che deve esprimere. Ma le contingenze richiedono ormai di fare delle scelte.
Personalmente avrei pochi dubbi e poche remore se fossi un elettore emiliano-romagnolo. Non condivido ormai da molto la teoria del “voto utile” che ha lentamente e inesorabilmente condotto questo Paese all’apertura di credito a destre sempre più invasive e pericolose.
Invece di consolidare una sinistra di classe, alternativa a quella moderata e governista, siamo un po’ tutti rimasti intrappolati in questi ricatti morali riversati sul piano politico. Non lo ritengo etico, tanto meno civico come comportamento da cittadino, da elettore e tanto meno da comunista.
Ma non mi sento di biasimare chi farà scelte differenti da quelle che potrei fare io se vivessi a Bologna o in qualche altra città dell’Emilia o della Romagna. Per questo, credo che le ragioni per votare “L’Altra Emilia Romagna” vi siano tutte: almeno per chi ha una visione del mondo, della società italiana e anche di quella strettamente locale legata a valori di umanità, di uguaglianza, di pace, di solidarietà e di giustizia sociale.
Per il resto, che ognuno si affidi a quella impalpabile e a prima vista invisibile realtà che sembra essere così poco frequentata oggi da tante, da troppe persone: la coscienza. Chissà che non serva a ridare alla politica un vero significato: quello del cambiamento e non soltanto quello dell’alternanza tra simili.
Ai tempi di Peppone e Don Camillo non esisteva il “voto utile“. Ogni voto lo era. Ma il grande fiume, che scorre ancora placido e segna il confine di quelle terre della pianura, racconta sempre storie nuove. Questa di oggi è un’altra storia: le passioni di un tempo si sono spente, sono diventate impulsi di cattiveria da un lato e richiami all’amore universale dall’altro. In mezzo stanno quelli come noi che vorrebbero poter chiamare gli avversari col loro nome e allo stesso tempo rivendicare un po’ di giustizia sociale sganciata dalle esigenze del mercato.
Citando Nelson Mandela, in un volantino le compagne e i compagni de “L’Altra Emilia Romagna” è scritto: “Possano le vostre scelte riflettere le vostre speranze e non le vostre paure“. Sottoscrivo in pieno.
MARCO SFERINI
25 gennaio 2020
foto: screenshot dal film “Don Camillo e l’onorevole Peppone” (vedi la puntata di “Corso Cinema” in merito)