Se la cosiddetta “sicurezza nazionale” e la più vicina a noi “sicurezza” tout court si misurassero davvero sul tasso di rischio determinato delle azioni umane sulla società, dati i numeri di morti, feriti gravi, danni morali e materiali, non c’è dubbio che al primo posto di qualsiasi agenda politica non dovrebbero trovarsi i terrorismi, i furti e gli omicidi, ma la sicurezza stradale, un tema rispetto al quale in Italia vige una vera e propria illegalità di massa declinata in diversi gradi.
Per rendersi conto di ciò, è sufficiente fare una passeggiata di pochi minuti lungo una qualsiasi strada di un qualsiasi comune di una qualsiasi regione italiana: in pochi metri, mentre intorno a noi fioriscono le doppie file, pericolosissime per i restringimenti di corsie che determinano, con il conseguente rischio di scontri frontali potenzialmente letali, ci renderemmo conto che il limite dei 50 km/h nelle strade urbane viene rispettato ormai da una minoranza, dal momento che per moltissimi italiani il limite di velocità non si misura in base alla densità abitativa di un territorio e in base a quel minimo di amor proprio che impedisce agli umani di scegliere volontariamente la morte, bensì esclusivamente in base alla larghezza della strada e al suo essere rettilinea o curvilinea, cosicché in interi centri abitati, densamente percorsi da pedoni, soprattutto bambini e anziani, ogni fine di settimana impunemente frotte di motociclisti esaltati da un sistema che propaganda la velocità come un valore (paleofuturismo d’accatto che pare tanto “alla moda”), corrono anche a più di 100 Km orari, incuranti di ciò che hanno intorno e resi letteralmente amorali da un’ebbrezza che andrebbe indagata dalla psicanalisi, ancor prima che dalla politica.
Stando così le cose nelle “normali” strade urbane, figuriamoci ciò che accade nelle nuove aree con limiti a 30 Km orari, un po’ ipocritamente visti come una panacea, dal momento che nessuno o quasi li rispetta, e se per caso qualcuno, come lo scrivente, si azzarda a farlo, viene subissato di improperi, clacson, lampeggiamenti ossessivi, ché nella nostra strana Repubblica pare anomalo rispettare la legalità repubblicana, mentre è normale, quando non “eticamente positivo”, infischiarsene nel nome di un neoliberismo subito ideologicamente senza consapevolezza, il quale da trent’anni a questa parte sta minando il contratto sociale, sostituendolo con un bellum omnium contra omnes nel quale i motociclisti o gli automobilisti esaltati sono carnefici di un istante e vittime per una vita.
Se questa è la situazione – tipo nei centri urbani, non dissimile appare la situazione nelle autostrade, dove i limiti a 130 Km orari e di 110 Km orari in caso di pioggia sono sistematicamente elusi soprattutto da auto di grossa cilindrata che mostrano nel loro semplice esistere la stupida banalità del peggior egoismo proprietario: qui, migliaia di questi autoveicoli guidati da esseri inqualificabili si accostano, in barba a qualunque idea di distanza di sicurezza, sino a giungere a pochi centimetri dall’auto che li precede, senza sapere che tali comportamenti possono portare ad incidenti gravissimi, spesso mortali, o a ferite che segnano drammaticamente la vita di una persona.
Molto spesso, tali personaggi, oltre a sfrecciare ben oltre i 130, chiacchierano beatamente al telefono, perdendo anche quel minimo di attenzione che una tale velocità già fa perdere automaticamente.
In autostrada poi, oltre ad attentare alla sicurezza propria e a quella degli altri utenti,molti automobilisti attentano anche alla sicurezza dei lavoratori dei cantieri stradali, dal momento che, come per le aree a 30 Km orari, quasi nessuno, a parte lo scrivente, pare rispettare il limite dei 60 Km orari nelle aree di cantiere, là dove puntualmente, il buon repubblicano viene travolto dai soliti, seriali, conformisti, banali, eterodiretti improperi, clacson e lampeggiamenti di cui sopra.
Orbene, di fronte a tale desolante quadro, io ritengo che la sicurezza stradale, lungi dal non essere “né di destra né di sinistra”, come va di moda dire oggi, sia una questione fondamentale di legalità repubblicana (cosa diversa dalla legalità borghese), e dunque una questione di sinistra là dove intendiamo come sinistra il movimento storico che, dalla Rivoluzione francese in poi, ha messo in discussione gli assetti dell’Ancien régime partendo dal doppio assunto della libertà degli individui e della loro eguaglianza in quanto esseri sociali, il tutto entro il quadro progressivo di una fraternità che mira ha superare gli ostacoli materiali che si frappongono all’esercizio delle due.
Tutto questo, di fronte ad una destra che ha fatto del motto tatcheriano “non esiste la società, esistono gli individui” la sua ragione (a)sociale mirante a destrutturare le dimensioni collettive e democratiche dell’agire umano per sostituirle poi con un comando capitalistico che si declina su un individualismo il quale finisce inevitabilmente per opprimere gli individui, divenuti meri strumenti biopolitici di replicazione della volontà sovraordinatrice dei “mercati”.
In parole povere, l’individualismo amorale, caratteristica regressiva e metastorica di una società italiana che non ha conosciuto rivoluzioni borghesi e proletarie, dopo la “parentesi” degli anni della Resistenza, della Costituzione, dei grandi partiti di massa, in primis del Partito comunista, viene oggi rifecondato da una globalizzazione neoliberista e culturalmente desertificante, “rinascendo”, esso, così arcaico, data la mentalità mafiosa del clan e del branco, sotto le mentite spoglie dell’essere alla moda, della velocità, del mito della forza, della prestanza, della giovinezza (primavera di bellezza, come dicevano i fascisti, riprendendo un canto universitario) e di tutte quelle distopie quotidianamente veicolate da un mercato pubblicitario dal quale abbiamo molto da imparare e da decostruire.
Impostare, dunque, oggi una lotta culturale e politica repubblicana e socialista, significa anche battersi perché si ricostruisca – e in certi casi si costruisca – quella coscienza civica che sola può stare alla base del contratto sociale, il primo dei contratti demoliti dal neoliberismo, e perché ogni singolo cittadino sia reso consapevole di quanto delle azioni apparentemente banali (parcheggiare in doppia fila, telefonare mentre si guida, superare i limiti di velocità) possano potenzialmente, e nemmeno tanto remotamente, dati i numeri degli incidenti, determinare esiti gravissimi.
Naturalmente, la politica che va per la maggiore, oggi trasformata in demagogica gestione dell’esistenze per conto del capitale finanziario, ben si guarda dall’impostare battaglie di questo tipo, altrimenti non si capirebbe come mai nell’Unione europea non siano stati ancora armonizzati i limiti di velocità e siano libere di circolare automobili potentissime, là dove occorrerebbe in primis imporre a tutte le auto circolanti nell’Unione un limitatore di velocità tarato sul limite stabilito, come primo passo concreto in direzione della costruzione di una consapevolezza che oggi, soprattutto in Italia, è completamente e drammaticamente assente.
ENNIO CIRNIGLIARO
redazionale
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