La dissimulazione socratica, metodo applicato dell’ironia come primo momento del processo di ammissione dell’ignoranza in quanto strutturalmente congenita nell’essere umano cosciente e ed autocosciente di sé stesso, potrebbe anche oggi rappresentare una valida alternativa all’alterigia di tutti coloro che si mostrano sempre molto sicuri delle proprie opinioni. In quanto tali, sorretti da queste granitiche certezze, le mutano in una sorta di base fondamentale di dogmi su cui erigere una serie di inoperose sciocchezze: l’ignoranza colpevole, consapevole e, per questo, dannosa alla crescita civica, civile e culturale di una comunità è anzitutto un atto determinato da precisi scopi.
Si vuole alimentare una marginalità del pensiero rispetto alle potenzialità critiche che può esercitare mediante la coltivazione del dubbio e, per questo, soprattutto nella nostra epoca modernamente celebrata come la “fine della Storia” e il “limite invalicabile” per ogni altra società immaginabile e possibile, le fantasie di complotto si sono rese quasi necessarie col pretesto di rivoluzionare il consueto, di alterare i perimetri dei recinti e le camicie di forza che il potere ci dispone intorno e ci mette addosso. Non c’è che dire, la propaganda è già di per sé una mezza verità, quindi è un parziale errore se non corrisponde completamente al concreto, al reale.
Ma realtà e verità fanno il paio soltanto quando l’empirismo si presenta sulla scena di un pressapochismo delle idee come dei comportamenti: la dimostrazione, la ripetizione scientifica tramite la sperimentazione ci permette di affermare che la nostra ignoranza e il nostro errore, nella loro migliore accezione, sono il principio da cui emergono nuove acquisizioni di conoscenza, nuove potenzialità, nuove spinte a formulare ipotesi sulla base di dati concreti e non di affermazioni prive di qualunque fondamento reale, oggettivo e riscontrabile ogni volta che lo si voglia.
Sapere di non poter sapere tutto non significa abbandonarsi alla rassegnazione calma di un quieto vivere nel nome dell’indigenza conoscitiva: non è detto che non se non possiamo conoscere ogni cosa non si possa conoscerne sempre di più nel corso della nostra esistenza. Questo motore dello sviluppo del sapere, che deve essere ispirato dalla vivacità del dubbio è, anche secondo Gianrico Carofiglio la testimonianza del fatto che ignoranza ed errore non sono quei concetti negativi derivati da comportamenti solamente sbagliati che, fin da quando eravamo infantilmente bambini e ragazzi, ci hanno insegnato essere ciò che non si doveva ripetere, ciò in cui non ci si doveva arrovellare.
Lasciare e lasciarsi la possibilità di sbagliare è fondamentalmente un presupposto della crescita interiore verso una consapevole maturità tanto dei sentimenti quanto delle azioni che ne derivano giorno dopo giorno. Dopo una lunga serie di romanzi gialli e di letteratura legale, Carofiglio torna con un saggio dal piglio veramente molto audace e, per questo, fascinosamente interessante: “Elogio dell’ignoranza e dell’errore” (Einaudi, 2024), dedicato alla riscoperta del dubbio come motore tutt’altro che immobile della neocriticità antidogmatica per un presente vivibile pure attraverso le mille e mille contraddizioni che produce senza soluzione di continuità. Un libro come questo si lascia leggere anche più volte nel giro di poco tempo.
Perché merita, per lo sforzo che fa il suo autore, di essere interiorizzato – sempre criticamente, si intende – e magari mettendolo di fronte al metodo socratico stesso di cui si scriveva all’inizio di queste righe: tu sai quello che io non so, dunque parlami, dimmi, io ascolto e sono pronto alla comprensione che, proprio perché tale, non è aprioristica ma si mette di traverso ogni volta che può, così da dimostrare che, in fondo, sappiamo poco, ma possiamo qualcosa sapere. Anzitutto di non sapere quello che veramente vorremmo: le verità assolute. Non c’è migliore dimostrazione di beata ignoranza se non quella di chi, studia, legge, capisce ma non risolve la vita, non risolve i problemi esistenziali.
Questo rendersi conto dell’insignificanza dell’essere è la prima vera ignoranza da accettare in quanto tale, ma verso cui tendere con una passione pur sempre conoscitiva; quasi fosse una sorta di culto laico dell’imprendibilità del senso di ciò che c’è, di ciò che siamo, di ciò che aspiriamo essere. La limitatezza delle nostre capacità non dovrebbe essere frustrante nel processo di acquisizione del sapere e, quindi, di come si vive qui nel microcosmo terrestre, di come la materia si muove nel resto o nel non-resto dell’Universo se lo si afferma come infinito e, quindi, privo di qualunque ar-resto.
Gianrico Carofiglio riprende Bertrand Russell là dove il punto interrogativo si fa sempre più grande, titanicheggiando gli altri grafemi e sopravanzando ogni emozione grammaticale e lessicale espressa attraverso il linguaggio. Quanti ne mettiamo alla fine delle nostre frasi? Come questa, ad esempio, appena precedente la presente e che lo esigerebbe un altro interrogativo, ma glielo risparmiamo con alcuni puntini di sospensione… Le esclamazioni la fanno, dunque, da padrone perché le nostre certezze sono preponderanti rispetto ai nostri dubbi? Non abbiamo più tante incertezze? La nostra inquietudine singolare e sociale si è così ridimensionata da non avere più un ruolo stimolante, definito da Aristotele, come l’espressione del confronto fra gli opposti?
«Nulla spegne le domande come la determinazione a essere, e soprattutto a essere percepiti, nel giusto». Laicamente sacrosanto. L’era dei social è l’antitesi della predisposizione a mettersi, currenti calamo, nella condizione di sapere di non sapere tutto ma di potere, nonostante questo tutto inarrivabile e grazie alle nuove tecnologie, dare adito alla nostra coscienza di esprimersi con nuove potenzialità un tempo nemmeno ipotizzabili. Se il dubbio, però, diventa il fine e cessa di essere il mezzo del processo di stimolazione del sapere per il sapere, allora ciò assume i connotati di una malevolenza quasi endogena in una eterogenesi dei fini che finisce col farsi beffa di chi voleva, proprio a quei fini, sfuggire.
I cosiddetti “leoni da tastiera” sono bravi nell’insulsaggine dell’insulto permanente, nella ripetizione goebbelsiana del falso che diviene abitudine al vero inesistente. Possono sostenere che esiste ciò che non c’è, che non esiste ciò che c’è: il papa viene ricoverato per un mese e mezzo, ogni giorno esce un bollettino medico. Poi qualcuno si inventa che è morto o, peggio, lo teorizza e crea una sequela di video, di immagini che lo proverebbero. Chi si interroga sui girasoli in un vaso ai piedi dell’altare davanti a cui il pontefice appare per la prima volta dopo la lunga degenza: è impossibile che sia una foto marzolina. I girasoli quando fioriscono? Non a marzo. E quindi vai di fantasia di complotto.
Il papa è per forza morto. Quello che appare in carrozzella e saluta la folla davanti al Policlinico gemelli è qualcun altro. Non c’è dubbio. E se il dubbio non sussiste, deve essere, quindi, per forza la verità. Vaglielo a spiegare ai complottisti che il papa è vivo e che è tornato in Vaticano nella Casa Santa Marta. Ma, del resto, chi vive con l’ossessione dell’ignoranza indotta dal potere vive pensando che il potere si irriformabile, forse persino insuperabile. Invece chi fa dell’ignoranza un metodo di superamento consapevolmente sempre parzialissimo dei propri limiti, la utilizza con cognizione di causa.
L’errore non dovrebbe essere mai un sinonimo di vergogna. Eppure, al pari dell’ignoranza, è stato trattato per millenni così. Chi sbaglia deve pentirsi, addolorarsi, battersi il petto e rimediare. L’errore come il peccato, visto che la virtù e la grazia divina, chi vive e persevera nell’errore è un peccatore, perché religiosamente parlando l’errante è colui che devia dalla buona condotta indicata dalla Chiesa. Ma Giovanni XXIII ha insegnato che bisogna sempre distinguere tra lo sbaglio e chi lo commette. Il semplificazionismo utile a differenti cause, tanto economiche quanto politiche, tanto culturali (o presunte tali) come sociali e civili, ha indotto a declinare l’errore sempre e soltanto in chiave negativa.
Lasciateci sbagliare, lasciate che si sbagli. Lo dice anche il fantasma di forza di Joda nell’ultimo episodio della saga di “Star Wars“: «Grande maestro il fallimento è». Se non inciampiamo in qualche pietra divelta dal selciato, se non perdiamo ogni tanto l’equilibrio sopra il filo teso della nostra sicumera, come possiamo imparare? Si cresce sui propri passi incerti e non camminando sempre rittamente dritti e con il petto spavaldamente al di fuori del resto del corpo e la fronte della mente alzata al fulgore dei raggi solari. Chi crede di poter sapere tutto e di non errare mai è la quintessenza di un pressapochismo sempliciotto, colpevole di essere, seppure anche in buona fede, il limite angusto di sé stesso.
Il superamento dei confini mentali e fisici che la Natura ci ha dato è un oltrepassare non la linea che ci separa dall’ignoto, ma un andare oltre come gli esploratori che sanno di poter arrivare fino ad un certo punto e di volta in volta avanzano se possono, indietreggiano se devono. Le sconfitte non sono colpe. Dobbiamo separare il giudizio etico dall’impossibilità. Se non sappiamo qualcosa o non possiamo qualcos’altro, non è sempre colpa nostra. Chi ha cercato di sfidare le leggi della Natura oltre ogni modo, con la presunzione di gareggiare con l’essere delle cose, si è sfracellato al suolo: da Icaro a Simon Mago.
Questo “Elogio dell’ignoranza e dell’errore” di Carofiglio è un saggio nel senso più proprio del termine: profuma di saggezza ma non è pedante, non vuole insegnare nulla. Solo stimolare l’ignoranza buona da cui emerge la precondizione della conoscenza altrettanto buona e indurre a sbagliare non per perseverare scioccamente nell’errore, ma per provare e riprovare. Non con la durezza vacua della testardaggine unita all’ostinazione più cieca, ma con la passione di chi, pur sapendo che magari fallirà, continuerà in quell’intento che dovrebbe essere il provare a migliorare l’esistenza di questo mondo senza per forza mettere al suo centro soltanto l’essere umano.
ELOGIO DELL’IGNORANZA E DELL’ERRORE
GIANRICO CAROFIGLIO
EINAUDI, 2024
€ 12.50
MARCO SFERINI
26 marzo 2025
foto: particolare della copertina del libro
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