Di “bizantinismi” moderni se ne trovano davvero pochi nel senso diciamo “nobile”, concreto del termine stesso: oggi sono rari i casi di “scolasticismo” dei temi, di trattamento delle problematiche attraverso un avvitamento anche autoreferenziale che potrebbe trovare in Gramsci il miglior nemico.
Ed è un peccato, in fondo. Lo è perché proprio ragionando della nascita del “consenso”, a proposito della formazione di un grande enigma che rimane insoluto nel merito della questione, oggi i pensieri sono immediatezze, figli di una velocità di apprendimento che è frutto della noia nei confronti dell’approfondimento, dell’analisi, della coltivazione del dubbio.
Questa noia “popolare”, molto diffusa e accarezzata dai moderni neoautoritarismi imbellettatisi col nome di “sovranismi”, è a sua volta eredità di una prostrazione, di una stanchezza mentale nei confronti dell’ascolto dell’altro da noi: per cui alle ragioni nel campo della dialettica si sostituiscono invece la forza delle non-argomentazioni e la forza di princìpi tanto astratti quanto falsi che divengono però verità assolute, incontestabili perché sono “facili” da apprendere, da immagazzinare in menti che poco vogliono sentire ma che molto hanno da dire, da controbattere e da rintuzzare attraverso la schermatura della tastiera di un telefono cellulare o di un computer.
I “bizantinismi”, deprecati come accezione negativa di un discorso che si avvita su sé stesso e che si parla addosso, che quindi non ha molto da dire proprio all’altro che lo sta magari distrattamente ad ascoltare, oggi sarebbero da rivalutare e riconsiderare: quanto meno come forma anche infantile di retorica, ma pur sempre un necessario ritorno all’elaborazione di un pensiero, mettendo fuori gioco la perversione dello “slogan” urlato dal leader di turno magari da un balcone, così per guadagnare le prime pagine dei giornali, la “viralità” dei video che girano su Internet e anche le copertine dei telegiornali.
Perché i “bizantinismi” tutto sommato non sono poi così deleteri? Ce lo spiega persino Gramsci quando nel XIV quaderno dal carcere si esprime così: “Si può chiamare ‘bizantinismo’ o ‘scolasticismo’ la tendenza degenerativa a trattare le quistioni così dette teoriche come se avessero un valore di per sé stesse, indipendentemente da ogni pratica determinata. Si pone la quistione se una verità teorica scoperta in corrispondenza di una determinata pratica può essere generalizzata e ritenuta universale in una epoca storica.”.
La degenerazione è evidente: è tutta nella presunzione dell’esercizio retorico che non approda a nulla se non a discutere di fumo. E “vendere il fumo è difficilissimo“, sosteneva Carmelo Bene, che continuava rivolto ad un giornalista: “Se lei ne è capace, lo faccia! Si accomodi!“.
Eppure, senza troppi giri di parole, quindi senza troppi “bizantinismi”, senza la ricerca dei bei paroloni o ragionamenti simili a quello che stiamo svolgendo qui, oggi i “venditori di fumo” sono tanti e sono sempre più potenti. Trovano un consenso (probabilmente) insperato e lo aumentano proprio trattando le “quistioni” dell’oggi svicolando abilmente dalla noia mortale che produrrebbero ragionamenti filosofici applicati alla politica o anche solamente i toni di nemmeno tanto lontane “tribune elettorali” televisive che ancora si era capaci di ascoltare seduti in poltrona.
Dalla nostra vita quotidiana è scomparso proprio il “metodo dialettico” e le verità non sono quelle che gli spietati numeri ci impongono nella loro matematica oggettività: le verità oggi siedono sulle gambe di chi le plasma completamente sulla “percezione” che ha dell’umore popolare.
Un corto circuito che si crea, un “loop” inestricabile: la percezione popolare si nutre di slogan governativi che a loro volta si adattano continuamente ai mutamenti della percezione popolare stessa.
Come se ne esce? Come può un medio cittadino italiano, di media cultura sfuggire alla trappola del giro continuo, dell’infinito che ruota sempre attorno a sé stesso e non vede ciò che gli ruota intorno?
Non ho trovato altra risposta se non questa: le idee sono frutto della coscienza e la coscienza è frutto del nostro “essere sociale”, diceva Marx. Quindi il problema è sempre di origine materiale, risiede nel mutamento delle condizioni di vita degli sfruttati che si lasciano abbindolare da fattucchiere e maghi della politica banalizzata e svilita per ottenere un consenso che altrimenti non potrebbero mai avere.
Fondamentalmente gli esseri umani sono più propensi ad odiare che ad amare perché l’odio è la via più semplice e veloce alla risoluzione delle controversie: la concordia presume uno sforzo di mediazione che si concretizza mediante il compromesso prima con sé stessi e poi con l’altro da noi. Gesù avrebbe detto: con il nostro prossimo.
Il recupero del “bizantinismo” dunque non è utile ma forse può essere necessario perché, per l’appunto scrive ancora Gramsci: “Deve sempre vigere il principio che le idee non nascono da altre idee, che le filosofie non sono partorite da altre filosofie, ma che esse sono espressione sempre rinnovata dello sviluppo storico reale“.
Per questo superare il depensamento dell’oggi con una retorica pensante, anche fastidiosa e tediosa, non va visto come un accidente che ci capita, ma semmai come un recupero di coscienza, di critica attraverso il dubbio. Per poterlo fare però serve cambiare lo “sviluppo storico reale”, quindi le condizioni materiali di non-vita (di sopravvivenza…) che sono oggi la regola di una crisi negata nel nome dello 0.2% di recupero “tecnico” dell’economia italiana.
Lo so… è più facile guardare un “reality”, poi cambiare canale e ascoltare Salvini dal balcone. E’ la via più facile. Non quella che ci restituirà un minimo di umanità in un minimo contesto di giustizia sociale.
MARCO SFERINI
7 maggio 2019
foto tratta da Pixabay