Tra la fine degli anni sessanta e i primi anni settanta i sudamericani Fernando Ezequiel Solanas e Octavio Getino, autori del documentario sulla storia dell’Argentina La hora de los hornos (L’ora dei forni, 1968) ispirato alle teorie di Frantz Fanon e dedicato a Che Guevara, lanciarono l’idea del cosiddetto “Terzo cinema”, alternativo sia al primo cinema, quello hollywoodiano, sia al secondo cinema, quello artistico europeo.
Il “Terzo cinema” non voleva perseguire il mero profitto economico rendendo lo spettatore un “consumatore dell’ideologia borghese”, ma sostenere la causa dei paesi vittime del neoliberismo. Il cinema visto come un’arma di liberazione capace di parlare di identità, di colonialismo e neo colonialismo. Questa idea di cinema si sviluppò prevalentemente in Africa, Medio Oriente e America Latina. Da segnalare, tra gli altri, la regista femminista algerina Assia Djebar (Cherchell, 30 giugno 1936 – Parigi, 6 febbraio 2015) e il suo La nouba des femmes du Mont Chenoua (1971), il poeta e regista senegalese Ousmane Sembène (Ziguinchor, 1 gennaio 1923 – Dakar, 9 giugno 2007) autore del primo film girato in Africa Borom Sarret (1963) e il regista comunista curdo Yilmaz Güney (Adana, 1 aprile 1937 – Parigi, 9 settembre 1984) autore di Yol (1982) diretto insieme a Serif Gören poiché Güney era imprigionato nelle carceri turche. In Sud America, a fianco di registi più tradizionalisti, spiccò la figura del cileno Alejandro Jodorowsky, scrittore, fumettista, saggista, drammaturgo, regista teatrale, studioso dei tarocchi, compositore e poeta, che nel 1970 girò in Messico il suo capolavoro El Topo.
Di origini ebreo-ucraine Alejandro Jodorowsky Prullansky nacque il 17 febbraio 1929 a Tocopilla, nel nord del Cile. Dopo aver interrotto gli studi di filosofia e psicologia all’Università di Santiago per dedicarsi al teatro di marionette e al mimo, nel 1953 si trasferì a Parigi. Il vivace clima culturale francese lo portò a realizzare nel 1957 il cortometraggio La cravate, successivamente, nel 1962, diede vita insieme a Fernando Arrabal e Roland Topor al collettivo artistico “Mouvement Panique”, fortemente ispirato al surrealista per eccellenza Luis Buñuel. Successivamente divenne allievo, assistente e collaboratore del mimo Marcel Marceau.
Forte delle esperienze francesi, Jodorowsky nel 1968 realizzò il suo primo lungometraggio Fando y Lis (Il paese incantato) adattamento dell’omonima opera teatrale dell’amico Arrabal. In un paese devastato Fando (Sergio Klainer) spinge a fatica la carriola della sua fidanzata paralizzata Lis (Diana Mariscal) per raggiungere la città di Tor dove ogni desiderio viene esaudito. Ma sulla strada i due incontrano strani personaggi e l’egoismo dell’uomo farà perdere tutto.
Surrealismo e teatro delle crudeltà per un film che venne bandito dal governo messicano, ma iniziò a far conoscere la poetica e il talento del regista che, col successivo El Topo (in italiano La Talpa), raggiunse fama mondiale.
Il giustiziere El Topo (Alejandro Jodorowsky) attraversa il deserto insieme al figlio Miguel (Brontis Jodorowsky, figlio del regista) che lo accompagna nudo anche nei momenti più difficili. Dopo aver sconfitto tre banditi e attraversato una città fantasma, i due giungono in un monastero francescano dove i monaci sono torturati da una banda di criminali guidati dal Colonnello (David Silva) che tiene in ostaggio la bella Marah (Mara Lorenzio), divenuta la sua schiava sessuale. El Topo sconfigge la banda, libera i frati e scappa con la ragazza lasciando il figlio nel monastero. Marah, come prova d’amore, lo spinge però a sfidare e sconfiggere i quattro pistoleri più bravi che vivono nel “deserto circolare” (interpretati da Héctor Martínez, Juan José Gurrola, Víctor Fosado e Agustín Isunza). Il giustiziere li elimina tutti con l’inganno per poi essere tradito e ferito da Marah e dalla sua amante (Paula Romo). In fin di vita, El Topo viene soccorso e salvato da una comunità di storpi e deformi che vivono sottoterra perché rifiutati dalla società. Grazie al loro gesto, il protagonista cambia vita e decide di aiutarli costruendo un tunnel per farli tornare in superficie. Per fare ciò si esibisce come saltimbanco in città insieme ad una giovane nana (Jacqueline Luis) che si innamora di lui. I due decidono di sposarsi e si rivolgono ad un frate, che in realtà è il figlio del Topo ormai adulto (Robert John). Ma la città in superficie è crudele e corrotta.
Diviso nettamente in due parti, El Topo divenne il primo cult movie della storia (anche grazie all’acquisto dei diritti da parte del manager dei Beatles Allen Klein). Nella pellicola, attraversata da simbolismo e surrealismo, i protagonisti tornano ad essere i Freaks come nel film omonimo di Tod Browning del 1932. Jodorowsky curò tutto dalla sceneggiatura ai costumi passando per la musica. “Spesso è stato liquidato come un pastiche di crudeltà da spaghetti-western, tardo surrealismo, pillole di saggezza orientale, misticismo ed erotismo, il tutto bagnato da un generico spirito anti-imperialista e antiborghese: al di là dei dialoghi sentenziosi, si tratta di una classica parabola di perdizione e redenzione, messa in scena con uno stile ipertrofico che cerca a tutti i costi la meraviglia (e la ottiene). La seconda parte, che ricorre alla “comicità chapliniana” nel descrivere il rapporto tra El Topo e la nana che si innamora di lui, è addirittura toccante!” (Mereghetti).
Una pellicola piena di bizzarrie: dagli uomini che parlano con voce di donna e viceversa a menomati di vario tipo, dalle perversioni (i banditi che cavalcano i frati nudi) alle vecchie borghesi che stuprano uno schiavo nero con ruggiti metaforici di leoni.
Un film poco noto in Italia (esiste dal 2009 un versione in DVD per RaroVideo), ma amato da Franco Battiato al punto che volle Jodorowsky interprete delle sue due pellicole Musikanten (2006) e Niente è come sembra (2007) e dai Timoria che gli hanno dedicato l’album El Topo Grand Hotel (cui partecipò proprio Jodorowsky). Rimanendo in ambito musicale El Topo fu il film preferito di John Lennon e affascinò Peter Gabriel (che collaborò successivamente col regista), David Lynch, Marilyn Manson. La band inglese Kasabian citò El Topo nel brano “Julie & The Mothman”.
Dopo il successo della pellicola il regista realizzò, in una coproduzione USA-Messico (chissà cosa direbbe Trump…), La montaña sagrada o The Holy Mountain (La montagna sacra, 1973). Indimenticabile e provocatorio il film racconta la storia di un ladro molto somigliante a Gesù Cristo (Horacio Salinas) che, per sfuggire da un mondo di fascisti e fanatici religiosi, si arrampica in cima ad una torre che risulta essere il laboratorio di un misterioso alchimista (Alejandro Jodorowsky). I due, insieme ai sette signori dei sette pianeti, partono alla volta della Montagna Sacra su cui vivono i dieci saggi custodi del segreto dell’immortalità.
Presentata alla 26º edizione del Festival di Cannes, oggetto di censure e sequestri e oggi al centro di una battaglia per i diritti, La montaña sagrada è probabilmente l’opera più complessa del regista, “Ai tempi impressionava e irritava in egual misura per la rutilante orgia visiva in cui confluivano il tardo surrealismo del movimento “Panique”, temi controculturali e anticolonialisti, esoterismo e magia” (Mereghetti).
Jodorowsky, benché avesse girato i suoi film prevalentemente in Messico, aveva goduto del grande impulso che il governo cileno guidato da Salvador Allende aveva dato al cinema tra il 1970 e il 1973. Ma dopo il colpo di stato di Augusto Pinochet e della CIA, i militari distrussero le scuole cinematografiche e i centri di produzione, bruciando i film e gli impianti. Molti intellettuali vennero arrestati, e la maggior parte dei giovani registi fuggì all’estero. Così fece anche Jodorowsky. Non erano passati inosservati i suoi attacchi ai fascismi e, così, si dedicò prevalentemente alla letteratura e al fumetto, collaborando tra l’altro con l’italiano Milo Manara.
Abbandonato negli anni settanta il progetto Dune che vedeva coinvolti i Pink Floyd, Salvador Dalí e Orson Welles (il film venne poi ripreso da David Lynch nel 1984; mentre al tentativo di Jodorowsky venne dedicato il documentario Jodorowsky’s Dune diretto da Frank Pavich nel 2013), l’autore cileno tornò al cinema molti anni dopo realizzando nell’ordine: Tusk (1980), Santa Sangre (Sangue Santo, 1989), The Rainbow Thief (Il ladro dell’arcobaleno, 1990), La danza de la realidad (La danza della realtà, 2013) e Poesìa sin fin (Poesia senza fine, 2015).
Oggi Jodorowsky continua ad inventare e a stupire, a irritare i benpensanti (ha sposato Marilyn Manson e Dita Von Teese), a scrivere e disegnare (da segnalare la serie a fumetti “Le Pape Terrible” dedicata al savonese Papa Giulio II, realizzato con Theo Caneschi), ma El Topo e La montaña sagrada rimangono forse irraggiungibili per quel gusto visionario, emblema di un cinema neosurrealista, in cui avanguardia e suggestioni orientali si unirono per attaccare i potenti e rendere giustizia agli ultimi.
redazionale
Bibliografia
“Il Mereghetti. Dizionario dei film 2017” di Paolo Mereghetti – Baldini & Castoldi
Immagini tratte da
Immagine in evidenza, foto 2, 3, 4, 5, 7 Screenshot del film El Topo, foto 1 dal sito theapricity.com, foto 6 Screenshot dal film La montagna sacra, foto 8 Screenshot da en.wikipedia.org