Consumi ridotti, risparmi intaccati, straordinari e lavoretti extra, in nero si presume. E più precarietà a tempo pieno. Sul fronte interno di un’Europa che si sta pensando in un’economia di guerra è stato questo il modo in cui le famiglie dell’Eurozona hanno cambiato le loro abitudini per far fronte alla fiammata inflazionistica e alle decisioni della Banca Centrale Europea (Bce) di aumentare i tassi di interesse che hanno comportato tra l’altro l’erosione dei salari e dei risparmi.

L’idea economica che sta dietro a questa politica è paradossale: pur sapendo che l’inflazione attuale non è stata generata da una spirale prezzi-salari, ma semmai da un boom dei profitti, tutte le autorità bancarie hanno deciso di punire i lavoratori in maniera preventiva. per evitare che i salari salgano domani, bisogna punire oggi i lavoratori.

Il risultato è stato quello di implementare i profitti, cioè la causa dell’inflazione. In attesa di tornare all’ordine, con un’inflazione sotto il 2%. Cosa che dovrebbe avvenire nel 2025. I soldi persi? Hanno arricchito imprese, banche e rendite.

Questa situazione è ben conosciuta a Francoforte, la sede della Bce al punto che, ieri, è stato diffuso un altro studio che conferma gli effetti del caro-vita sulla sua politica sui salari, i consumi e sui risparmi. Con un’avvertenza: lo studio non spiega le cause di questa situazione, ma registra disinvoltamente gli effetti sulla vita delle persone.

Tra chi ha risposto alle domande del sondaggio effettuato nell’agosto 2023 il 69%, ha modificato i consumi, il 43% ha usato i risparmi, il 31% ha cercato di far salire le entrate. Tra chi ha agito solo sui propri consumi, il 50% ha cercato di trovare prezzi più vantaggiosi altrove, il 33% ha abbassato la qualità dei propri acquisti, il 28% ha ridotto le quantità. Solo il 15% ha negoziato un aumento di stipendio, mentre il 17% ha fatto gli straordinari o ha preso un lavoretto extra.

Lo studio ha anche registrato un calo dei risparmi negli ultimi due anni, determinato non dall’aumento della spesa sui beni di prima necessità ma da quella sui viaggi e le attività di ricreazione in generale. Questo perché, spiega la Bce, è aumentata maggiormente la spesa dei nuclei ad alto reddito. Questi ultimi, dopo la pandemia, hanno recuperato e sono tornati a finanziare l’economia predatoria del turismo. La spesa dei nuclei a basso reddito, concentrata sui beni di prima necessità, resta ferma. È l’immagine di una società classista. La Bce la tiene ferma.

In un convegno tenuto ieri all’università Goethe a Francoforte il suo economista-capo Philip Lane ha chiarito il problema politico che impedisce, al momento, di tagliare i tassi di interesse (dovrebbe avvenire a giugno, ieri la Fed americana li ha lasciati fermi). Sono attesi i dati di aprile che dovrebbero attestare la decelerazione della crescita dei salari, contenuta dall’aumento dei profitti. Solo dopo avere messo al riparo questi ultimi, si procederà al taglio.

Che però, ha precisato la presidente Bce Christine Lagarde, «non sarà vincolato a successive riduzioni». Questo significa che la Bce darà in pasto ai mercati il tanto sospirato taglio, per dare l’illusione di fare ripartire il mercato dei mutui. La disciplina resterà però la stessa almeno per il prossimo anno quando l’inflazione è prevista al 2,3% (2024), al 2% (2025) e all’1,9% (2026). Dunque altri due anni di ingrasso dei profitti. Loro non sono mai stanchi.

Su questa navigazione a vista, orientata solo da politiche monetariste, pesano anche le incertezze sulla crescita legate alle due guerre in Ucraina e a Gaza. Dal punto di vista dei dati, tanto cari alla Bce, due conferme sono arrivate ieri dall’Istat in Italia: l’indice della produzione industriale – importante per capire l’andamento dell’economia – è rallentato a gennaio, bruciando i miglioramenti dell’ultima parte dello scorso anno e tornando così ai livelli di novembre 2023. E poi sono cresciuti i prezzi delle case: +1,3% nel 2023, mentre le compravendite diminuiscono anche a causa della crisi dei salari.

Segnali che contraddicono la narrazione auto-incensatoria del governo italiano che però farà a meno di notarli. È il prezzo delle politiche dell’identità e della loro speculazione sul mercato della politica.

ROBERTO CICCARELLI

da il manifesto.it

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