Sui femminicidi si annuncia una legge bipartisan incentrata su provvedimenti penali: rafforzamento delle misure cautelari, ammonimento, braccialetto elettronico, arresto in flagranza, adozione rapida di misure cautelari. Elly Schlein si è limitata a un richiamo alla formazione e all’educazione di genere nelle scuole, ma non ha detto che a impedirla sono le stesse forze di governo, orientate alla difesa dei valori tradizionali di «Dio, Patria e Famiglia», con cui si dice che potrebbe condividere una legge.
Le buone intenzioni apprezzabili restano una captatio benevolentiae per chi si aspetta dalla politica un impegno significativo su quello che è il fondamento secolare di ogni forma di dominio: un sessismo radicato nelle istituzioni, ma purtroppo anche «nell’oscurità dei corpi» (Pierre Bourdieu). Chi prova a tentare in ambito educativo pratiche di presa di coscienza e liberazione da modelli interiorizzati va incontro, in passato come oggi, a una quantità di ostacoli, campagne di screditamento e interventi repressivi. La «rivoluzione culturale» può attendere.
Un lavoro di archivio è utile per chiarire il problema. Lo prendo dalla rivista L’erba voglio (n.8/9, nel 1972) dove un’insegnante di Villazzano (Trento), Liliana De Venuto, mi scrisse: «In classe non si è mai parlato delle esigenze sessuali che il bambino rivelava in classe, delle richieste da loro avanzate, se non nei termini della informazione sessuale (…) Eppure credo che, se ne avessimo parlato, sarebbero venuti a galla episodi spia di tutta un’attività sessuale – impulsi, aspirazioni, richieste – sepolta sotto i banchi».
La conferma alle osservazioni di Liliana De Venuto la ebbi poco dopo da una discussione coi miei alunni, nella scuola media di Melegnano, pubblicata sullo stesso numero della rivista e poi impugnata dall’insegnante di religione per una denuncia di «abuso di pubblico ufficio, corruzione di minori e stampa pornografica». Non potei evitare l’allontanamento dalla scuola con metà stipendio per un anno in attesa di un processo che non ci fu solo perché la redazione della rivista era a Milano e non a Lodi. Ecco alcuni stralci di una conversazione registrata in una classe di seconda media:
Marco. Io, quando vado al cinema, mica vado a vedere quelli di cowboy, vado a vedere quelli di donne nude, eh! eh! (risatina maliziosa)
Insegnante. E pensi che gli altri non lo facciano? Il Peppino, per esempio…
Peppino. Non è mica vero!
Marco. Anche in classe portiamo giornali di donne nude. Ci guardiamo per imparare, perché se uno va a letto con una ragazza e non sa quello che fa, lo prendono per finocchio. A scuola i giornali qualcuno li porta anche per farsi ammirare dagli altri. Che lui sa già tutte queste cose qui..
(…)
Franco. I ragazzi che vengono a scuola e non sanno niente, non hanno visto niente, quando vedono quei giornaletti di donne nude, si riproducono sulle ragazze, le toccano, gli saltano addosso, gli fanno tutti gli scherzi che vogliono…(si interrompe perché le ragazze protestano)
(…)
Enzo. Le madri le femmine le tengono in casa, perché anche loro quando sono grandi diventano madri, devono fare certi lavori, maglie, così…e le madri dicono che, tenendo in casa le femmine, le bambine, dicono che sia un aiuto in più, che le aiutano a fare i lavori domestici, scopare, far da mangiare…
(…)
Marco. Vorrei fare una domanda a loro: perché le ragazze, quando noi gli saltiamo addosso, non ci stanno mai?
Insegnante. Forse perché la sentono come una violenza…
Maria. Per i ragazzi è tutto diverso, anche se vanno insieme a una ragazza più volte, non gli dicono niente; invece, appena una ragazza la vedono insieme a un ragazzo, ne parlano subito male.
Lucia. I maschi, quando tu gli fai qualcosa, la prima cosa che ti dicono è: oh, le femmine sono tutte prostitute, non sanno niente! Ma perché non si guardano un po’ loro?
Enzo. Io vorrei dire che questo rapporto non va bene, tra ragazzi e ragazze».
Il materiale offre uno squarcio anche sulla mentalità attuale. Parla del conformismo morale dell’adolescente che ha già fatto propria la proibizione e la condanna del sesso attraverso la famiglia e tutte le istituzioni del perbenismo. C’è l’incapacità dei due sessi di porsi in un rapporto diretto tra di loro, per cui i maschi guardano le donne dei giornalini e le ragazze parlano di ragazzi che non si occupano di loro (amori non ricambiati, non dichiarati). Ci sono inoltre già abbozzati i termini della questione femminile.
Chi pensa che la femmina sia destinata alla casa e alla maternità, e quelli che vorrebbero la donna liberata da questi compiti tradizionali.
Nel momento in cui si scopre che la vita personale, la sessualità, gli affetti, l’immaginario sono sempre stati dentro la storia e la cultura, e che è importante sottrarli alla “naturalizzazione” che hanno subito, cambia inevitabilmente anche l’idea di educazione e di sapere. Si trasmette innanzi tutto “quello che si è”, nell’interezza del proprio essere e non solo quello che si dice o si sa. La cultura deve diventare cultura della vita: dare voce al vissuto, all’esperienza singola, fatta oggetto di riflessione collettiva, interrogare i saperi disciplinari a partire da ciò che non dicono, che hanno cancellato o deformato.
I corpi, la sessualità, gli stereotipi di genere, i sentimenti, la relazione con l’altro, il diverso, hanno nella scuola il loro teatro primo -insieme alla famiglia -, ma anche il loro inquadramento secondo norme di ordine e disciplina. La “rivoluzione culturale” dovrebbe portare alla luce i segnali del “sottobanco” che salgono come elementi disturbatori dalle zone inesplorate di noi stessi. Ma, come sa ogni insegnante, trova non pochi ostacoli nell’ideologia patriarcale ancora dominante, schierata oggi più che mai nel nostro Paese sulla difesa della famiglia tradizionale, del ruolo materno delle donne, dell’eterosessismo normativo.
L’educazione di genere, di cui si torna a parlare oggi dietro la spinta dei dati allarmanti sulla violenza maschile contro le donne, se non vuole restare un generico invito al rispetto reciproco deve avere il coraggio di andare alla radice di un dominio del tutto particolare quale è quello di un sesso sull’altro, intrecciato e confuso con le relazioni più intime.
LEA MELANDRI
Foto di Afta Putta Gunawan