Appena poco più di una settimana fa, il 31 luglio, aveva festeggiato un secolo di vita. Una vita straordinaria: difficile al principio, piena di cambi di scena, come in un film, come a teatro. Il suo sguardo si era palesemente addolcito pubblicamente proprio in vecchiaia.
Ma Franca Valeri, forse, non ha mai veramente recitato nel senso stretto del termine. Come affermava Carmelo Bene spesso, recitare significa “citare la cosa“. “Io non ho mai recitato, a chi me lo attribuisce posso dire che queste offese non le accetto“, irrideva certi critici il grande CB.
In questo senso, Franca Valeri ha interpretato anch’essa, come Totò ed Eduardo, maschere della commedia della vita italiana: dalla signorina snob alla moglie compassata, rigidamente risparmiatrice ma non taccagna, alla sora Cecioni, svampita telefonatrice incallita. Indimenticabile il ruolo di “Siberia“, la prostituta “tanto donna” che fa coppia col vero marito nella vita, Vittorio Caprioli, per raccontare – come ne “Gli onorevoli” dove impersona l’aspirante deputata democristiana Bianca Sereni – a suo modo il lungo cammino di emancipazione delle donne.
Franca Valeri non ha mai scisso l’impegno culturale di tutta una vita da quello sociale e anche politico: fece appello molte volte al voto per Rifondazione Comunista e quando nel 2011 il Teatro Valle di Roma venne chiuso dall’Ente Teatrale Italiano (ETI), lei si schierò con grande decisione con gli occupanti che chiedevano che lo stabile rimanesse pubblico, aperto alla partecipazione popolare.
In una delle chiacchierate con i giornali, pochi mesi fa, a proposito del periodo fascista, che l’aveva segnata profondamente poiché di origine ebraica (da parte di padre, il cui cognome era Norsa), disse riguardo alle giornate di piazzale Loreto:
“Mia mamma era disperata a sapermi in giro da sola. In quei giorni a Milano si sparava ancora per strada. Ma io volevo vedere se il Duce era morto davvero. E vuol sapere se ho provato pietà? No. Nessuna pietà. Ora è comodo giudicare a distanza. Bisogna averle vissute, le cose. E noi avevamo sofferto troppo”.
Quando, nelle interviste degli ultimi anni, le veniva chiesto cosa avesse amato nella vita, rispondeva sempre: il teatro (prima ancora che il cinema), suo marito Vittorio e i suoi adorati animali. Aveva una passione per la lirica e diventa persino curatrice della regia di opere come “Il barbiere di Siviglia” e “Rigoletto” nel contesto dell’Eurmuse, la rassegna organizzata a Roma sul finire degli anni ’80 e nei primi anni ’90.
Se le si parlava della morte, affrontava l’argomento con il piglio tipico di una ironia sagace, sincera, diretta:
“La morte non ci deve impressionare. È una componente della vita, e se ne può sorridere, a costo di accentuarne le conseguenze, le paranoie e i riti. E poi io ho avuto sempre la fortuna d’avere il teatro che mi parlava in tasca, e quando ho perso per strada gli affetti, ho potuto far affidamento su nuovi giovani amici, e sui miei amati animali“.
Ciao Franca. Con affetto e con grande stima.
(m.s.)
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