Forse c’è ben poco da capire. Sopraggiunge persino una vergognosa noia nel sentire sempre notizie sugli scontri violenti negli stadi. L’assuefazione porta alla non considerazione, all’abitudine e, quindi, al considerare endemica la tracimazione di crudeltà che esce da cuori e menti che dovrebbero stare allo stadio solo per divertirsi.
Forse c’è ben poco da capire perché si tratta di un prodotto in continua involuzione: nessun atto repressivo lo ha sconfitto. Forse molti danni sono stati evitati con qualche “Daspo”. Forse invece è aumentata la rabbia degli ultras, di quelli che mettono la loro vita al servizio dell’amore (ma si tratta poi di vero amore?) per la propria squadra.
Squadra del cuore, amore, passione, gioco. Tutto richiama una positiva visione del calcio come momento di unione delle singole emozioni in un grande afflato che dovrebbe sostenere le ventidue gambe in campo ogni giorno della settimana, ormai…
Invece muore un trentacinquenne, altri vengono accoltellati, per le vie lacrimogeni, fumogeni, scontri, spranghe, scontri.
Forse c’è ben poco da capire e anche ben poco da spiegare. Ma vietare è sempre sbagliato. Anche se ogni tanto anche il genitore più montessoriano possibile un rimprovero al figlio lo fa; un castigo lo impartisce. Quindi qualche ragione ce l’ha chi ritiene di isolare, con determinate misure di ordine pubblico, i facinorosi da chi vuole soltanto vedere semplicemente una bella gara sportiva.
Tuttavia il problema dei problemi rimane. Intatto, come un moloch. Come far uscire la rabbia dal gioco? Come ridurre il gioco soltanto ad un gioco? Forse separandolo dal mercato. Ma è più facile chiudere una curva e vietare le trasferte. In fondo… si tratta sempre e solo di questioni di “ordine pubblico”…
(m.s.)
foto tratta da Pixabay