È finita l’era del riscaldamento globale, ora la Terra «è entrata in quella dell’ebollizione». Antonio Guterres, segretario generale della Nazioni unite, ha lanciato ieri l’allarme dopo le anticipazioni di Copernicus (il programma di osservazione della Terra dell’Unione europea, dedicato a monitorare il nostro pianeta anche sul fronte climatico), secondo cui luglio 2023 è il mese più caldo di sempre, «a meno che non si verifichi una mini era glaciale nei prossimi giorni», cosa assai improbabile.

Le temperature record rilevate sono da collegare alle ondate di calore registrate in gran parte del Nord America, dell’Asia e dell’Europa, che, insieme agli incendi in Paesi come il Canada e la Grecia o l’Italia dove il Sud brucia da giorni, hanno avuto un forte impatto sulla salute delle persone, sull’ambiente e sulle economie.

«Le temperature da record fanno parte della tendenza al drastico aumento delle temperature globali. Le emissioni antropogeniche sono in definitiva il principale motore di queste temperature in aumento» ha detto Carlo Buontempo, direttore del Copernicus Climate Change Service (C3S).

Ha perciò ragione Guterres a dire che tutto questo rappresenta «solo l’inizio», a meno di scelte radicali. Ai negazionisti climatici il segretario della Nazioni unite ricorda che «per gli scienziati è inequivocabile: gli esseri umani sono responsabili» e «l’unica sorpresa è la velocità del cambiamento». Il segretario generale dell’Onu si sofferma anche sulle tragiche e chiare conseguenze» di questa «ebollizione»: bambini «spazzati via dalle piogge monsoniche, famiglie in fuga dalle fiamme, lavoratori che svengono sotto il caldo torrido».

Guterres se la prende con le fonti fossili, alzando la palla per Petteri Taalas, segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo): «Le condizioni meteorologiche estreme che hanno colpito molti milioni di persone a luglio sono un assaggio del futuro. La necessità di ridurre le emissioni di gas serra è più urgente che mai. L’azione per il clima non è un lusso ma un dovere».

LUCA MARTINELLI

da il manifesto.it

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