La decostruzione della democrazia sta procedendo per diverse vie e su diversi piani: istituzionale, popolare, economico, morale. Questa volta non c’è bisogno di un atto referendario, di una consultazione per trasformare la Repubblica da parlamentare ad oligarchica.
Il disegno appare simile ma anche differente perché punta ad una sorta di mantenimento formale delle istituzioni, con il relativo rispetto delle regole, salvo superarle ogni giorno con una forma di comunicazione diretta che unisce Lega e Movimento 5 Stelle nel teorizzare una forma di espressione della democrazia non più basata soltanto sulla rappresentanza che esce dalle urne, dal suffragio universale diretto, bensì da un “alleggerimento” di questa impostazione statale che ormai sembra sempre più un ferrovecchio del passato, visto che la dinamica delle opinioni non risiede più nelle piazze, nei comizi di vecchio modello, ma nell’interazione internettiana, nella comunicazione via “social network” che ogni minuto si sviluppa con una velocità impressionante.
Il condizionamento che ne deriva è un ridimensionamento del ruolo delle istituzioni repubblicane e, quindi, una conseguente svalutazione del valore del voto classicamente espresso nelle urne. La presenza sulla scena di un governo forte nei consensi espressi dal Paese ha ridimensionato potentemente il ruolo di una opposizione priva di credito politico perché uscita da una sconfitta elettorale dovuta ad una gestione del pubblico piegata alla logica del privato.
Quella che pretende ancora oggi di chiamarsi “sinistra” è in realtà un molto poco ambizioso surrogato persino di un centro moderato. La lotta interna al PD non aiuta certo questo partito a costruirsi una nuova verginità anche presso settori sociali di presunto progressismo e tanto meno è utile a riaccreditarsi presso la classe padronale che, seppur usando toni duri nell’affermare che sulla TAV stanno perdendo la pazienza, guarda comunque all’area di governo che è quella preposta alla difesa del privilegio per definizione di ruolo nel sistema capitalistico.
La decostruzione della democrazia, dunque, avviene lentamente e progressivamente e lo si nota anche dalle parole che Salvini ha rivolto al Procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Torino, Armando Spataro. Non sempre il ruolo del procuratore trascina con sé simpatie e consensi: vale per tutte le parti politiche in campo, sia parlamentari che extraparlamentari. Ma bisogna riconoscere a Spataro di essere stato un protagonista della stagione della lotta contro la malavita organizzata insieme a Giovanni Falcone e di aver saputo tenere testa persino agli americani nelle indagini su Abu Omar, andando allo scontro con la potentissima CIA. Così, a naso, non è proprio uno che parla a sproposito: sa bene ciò che dice e conosce le tempistiche delle indagini, soprattutto quando vengono inviate le forze dell’ordine a chiudere il cerchio delle medesime con gli arresti.
Le obiezioni fatte da Armando Spataro sul compulsivo uso di Twitter da parte di un rappresentante del governo, uso che avrebbe rischiato di compromettere indagini in svolgimento, sono state recepite come un attacco politico e la risposta è stata l’invito al procuratore capo ad andare presto in pensione. Cosa che farà per forza, visto che tra pochi giorni Spataro andrà davvero in pensione.
La magistratura resta un potere indipendente ed esclusivo: che dal governo arrivino inviti a pensionamenti quasi anticipati o risposte stizzite non è una novità. Nel periodo ventennale del berlusconismo abbiamo potuto ascoltare e leggere una ampia letteratura di critica aspra dei giudici. Famosa rimane la frase: “I giudici se vogliono giudicare, si facciano eleggere”.
Un po’ quello che si è ascoltato anche in queste ore: chi vuole criticare il governo sul terreno della politica non deve fare il procuratore. Se lo fa, evidentemente o fa politica o vuole farla in futuro. Un sillogismo bislacco, ma intanto è tutta propaganda che passa e ripassa nelle menti devastate di una larga parte di popolazione dedita soltanto alla recezione superficiale delle notizie, acquiescente verso la grande operatività dei ministri, il dinamismo non solo parolaio ma anche plastico, fisico, che si viene mostrando ogni qual volta i ministri che eccellono per presenzialismo televisivo compaiono davanti ad un monitor: anche di un mero telefonino usato sui tetti non del mondo ma di Palazzo Chigi.
Questi conflitti tra poteri, l’azzeramento di enti istituzionali e la sostituzione repentina dei loro membri, l’invocazione di un “giornalismo puro” e di “editori puri”, fanno parte di una trasformazione quasi impercettibile del senso comune rispetto al carattere democratico della Repubblica. Si accetta di giorno in giorno un tono sempre più elevato di aggressività verbale e di scontro come se si trattasse di una dialettica perfettamente inserita nel dibattito politico e sociale formato sui dettami costituzionali.
Due anni fa, tutte e tutti noi che abbiamo detto NO alla controriforma della Costituzione voluta da Renzi e Boschi, abbiamo salvato la Carta da uno stravolgimento storico. Oggi non siamo innanzi ad un appuntamento referendario: siamo davanti a qualcosa di molto più complesso da gestire e da frenare. Ci troviamo alle prese con una massa politica sostenuta da una maggioranza elettorale del Paese che ha una legittimazione e che in nome di ciò governa.
L’operazione di opposizione civile, politica e morale dunque non ha una scadenza precisa: non si svolge in un solo giorno tracciando una “X” su una scheda. Un tipo di opposizione adeguata al fermento sovranista e antisociale che devasta il Paese deve essere prima di tutto culturale e deve fondarsi su una alternativa coscienziosa, fatta di consapevolezza, di acquisizione delle informazioni attraverso la coltivazione del dubbio che è completamente scomparso dalla scena del pensiero: chi scrive sui “social network” ha sempre e solo certezze. Mai dubbi. Elogia Salvini per i piatti più o meno succulenti che si prepara al mattino e alla sera, percepisce così il ministro come “uomo del popolo” perché “mangia come noi”.
E’ chiaro che fare un discorso di recupero di una coscienza critica fatto a gente che mette “mi piace” al tiramisù o al piatto di ravioli del ministro dell’Interno, è un discorso perduto in partenza, inutile perché non potrebbe scavalcare il pregiudizio secondo cui chi vuole analizzare a fondo le problematiche dell’oggi è solo un perditempo, mentre dall’altra parte c’è chi fa, chi agisce e poi pranza come il popolo.
Ha ragione il dottor Spataro: tutto fa spettacolo. La democrazia fa da sfondo per far sì che… “the show must go on!”.
MARCO SFERINI
5 dicembre 2018
foto tratta da Pixabay