L’operazione israeliana a Jenin non ha un nome o, meglio, l’aveva. Poi i comandi militari l’hanno rimosso per renderla meno importante, in apparenza simile alle tante altre che la città palestinese ha subito nell’ultimo anno e mezzo. Ma l’attacco scattato nella notte di domenica ed ancora in corso non è uguale agli altri.

L’impiego simultaneo di raid aerei e terrestri, accompagnato dall’avanzata dentro e intorno al campo profughi di enormi ruspe militari che hanno spaccato strade, rete idrica e fognaria, schiacciato automobili e danneggiato edifici, è qualcosa che Jenin non vedeva da più di venti anni fa.

Dall’assedio del 2002 quando metà del campo profughi fu distrutto durante l’operazione israeliana «Muraglia di difesa». Jenin ieri assomigliava anche a Gaza dopo l’offensiva israeliana del 2021, con le strade ridotte a canali di scarico fangosi dopo essere state centrate da bombe e missili.

Nelle stesse ore in cui i reparti israeliani rioccupavano dopo 21 anni il campo profughi di Jenin, a poche decine di chilometri di distanza migliaia di israeliani al grido di «Democrazia, democrazia» hanno bloccato l’accesso all’aeroporto di Tel Aviv in protesta contro la riforma giudiziaria avviata dal governo.

L’avanzata dell’esercito era lì, oltre la linea verde, eppure inesistente per i dimostranti. «Gli organizzatori delle proteste di massa contro la riforma giudiziaria continuano a ignorare l’elefante al centro della stanza, l’elefante dell’occupazione dei territori palestinesi. Temono per la democrazia, nell’uso della forza militare non c’è un briciolo di democrazia», commentava ieri Adam Keller, di Gush Shalom.

Erano otto i palestinesi uccisi fino a ieri sera dall’esercito. Altri 80 sono stati feriti, sette dei quali gravemente. Quasi tutti giovani, alcuni adolescenti. Tutti «terroristi» per le autorità israeliane. Ferito un soldato, lievemente. Gran parte degli uccisi sono stati colpiti durante le prime fase dell’attacco, quando i droni hanno lanciato raid a ripetizione.

I commentatori israeliani sostenevano ieri che i gruppi armati palestinesi si erano preparati all’invasione di Jenin – se ne parlava da tempo, la destra estrema al governo l’ha invocata per settimane – «ma sono stati colti di sorpresa dai raid aerei, si aspettavano l’arrivo dei carri armati».

L’obiettivo dell’operazione è stato sin dall’inizio il campo profughi (circa 20 mila abitanti) la roccaforte delle formazioni armate che Israele accusa degli attacchi contro militari e coloni compiuti in questi mesi nel nord della Cisgiordania occupata: dall’inizio dell’anno sono stati uccisi oltre 130 palestinesi, non pochi dei quali civili, e una trentina di israeliani.

Poi i cecchini si sono disposti sui tetti delle case per tenere sotto tiro i palestinesi che sparavano con armi automatiche mentre gli uomini delle unità speciali israeliane facevano irruzione in decine di edifici per distruggere presunti centri di comando dei gruppi armati, depositi di armi e di esplosivi, per arrestare e interrogare.

«Con le strade distrutte dalle ruspe i mezzi di soccorso hanno potuto raggiungere i feriti con grande difficoltà, la situazione resta grave», ci raccontava ieri pomeriggio Adel Natour, un abitante di Jenin, sottolineando che gran parte del campo profughi era senza corrente elettrica. Denunce sono arrivate anche dai medici.

«Abbiamo visto diversi pazienti con ferite da arma da fuoco alla testa e abbiamo ricevuto 37 pazienti feriti…I raid a Jenin stanno diventando sempre più frequenti e intensi…l’ospedale dove stiamo curando i pazienti è stato colpito da gas lacrimogeni», ha riferito Jovana Arsenijevic, di Medici Senza Frontiere a Jenin.

Ieri sera, data la mancanza di elettricità e in parte anche di acqua nel campo profughi e dei pericoli derivanti dall’occupazione da parte dell’esercito israeliano, la Mezzaluna Rossa ha annunciato l’evacuazione di 500 famiglie palestinesi, circa 3mila persone, che saranno ospitate in edifici pubblici, da parenti, amici e altre famiglie nei quartieri di Jenin non coinvolti dai combattimenti.

L’attacco alla città palestinese dovrebbe concludersi entro «qualche giorno» dicono gli israeliani. Pochi però credono la destra estrema al governo si accontenti di risultati minimi. D’altronde, spiegava ieri il quotidiano Haaretz, questa offensiva è scattata soprattutto per soddisfare il ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir e altri ultranazionalisti desiderosi di «dare una dura lezione ai palestinesi» dopo l’uccisione di quattro coloni in Cisgiordania. L’escalation è dietro l’angolo. Hamas e il Jihad Islami esortano a «resistere».

La popolazione palestinese manifesta a sostegno di Jenin e a Ramallah un manifestante è stato ucciso dai soldati. Anche l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen parla di «crimine commesso dalle forze di occupazione». Però le sue forze di sicurezza ieri sono rimaste chiuse nelle basi mentre i militari israeliani rioccupavano Jenin.

MICHELE GIORGIO

da il manifesto.it

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