La voglia di capire l’avevo da tempo, ma l’idea di provare è nata dopo che Draghi, parlando di riforma fiscale, ha citato la Danimarca. E’ bastato cercare e s’è accesa una luce. Secondo dati recenti, l’evasione annuale complessiva raggiunge in Italia i 190,9 miliardi. Seguono a ruota l’insospettabile Germania con 125,1 e la Francia con 117,9.
Se si tiene conto, però, dell’evasione pro capite, la sorpresa è notevole. L’Italia è ancora al primo posto con 3.156 euro, ma dietro c’è la Danimarca di Draghi con 3.027 euro. Una differenza minima: 129 euro. Certo, il potere d’acquisto è diverso, ma il dato in sé è a dir poco sorprendente e capisco perché il mio amico Gianpiero Laurenzano, che di queste cose s’intende molto, commenta: «Questa non è una gaffe. […] Sta dicendo al mondo del lavoro autonomo, all’imprenditoria (in particolare a quella piccola e media) di star tranquilli […] che non stravolgerà le cose, che si intensificherà la lotta all’evasione ma che non esagererà e il tutto sarà accompagnato da un piccolo abbassamento delle tasse».
Il fatto è che su questi temi siamo ormai predisposti a farci prendere per i fondelli. Da tempo una informazione disinformante lavora ingigantisce i nostri difetti, per farci accettare lezioni, anche da chi farebbe meglio tacere. Siamo al punto che, nell’immaginario collettivo, se dici «furbetti», stai dicendo italiani. Se però non ti contenti di chiacchiere, scopri che siamo in buona compagnia e spesso a farci la lezione sono maestri a dir poco sospetti. Nella graduatoria dei «furbetti», per esempio, il piccolo Lussemburgo è al primo posto per una grandissima furbizia: gli sconti «ad hoc» che le sue banche assicurano alle aziende. Non è un bel primato e non è l’unico di cui non siamo i primi a doverci vergognare.
La Germania, ritenuta un modello di efficienza e correttezza, è in cima alla classifica dei «furbetti» che hanno più ricchezza accumulata in Paesi offshore: 331 miliardi, il 13 % del Pil prodotto tra il 2001 e il 2016. Una cifra che supera di gran lunga la media dei 28 Paesi europei e Italia compresa. Non si tratta di un dato banale. Per l’OCSE, infatti, il problema di coloro che evadono, portando il loro soldi nei paradisi fiscali, è uno dei più gravi dell’economia mondiale. Per l’Europa si tratta di 1.500 miliardi, una montagna di soldi. L’Italia non è un’anima innocente, ma dopo la Germania c’è la Francia, che fa sparire 288 miliardi (il 10 % del Pil); noi siamo quarti e i soldi che facciamo viaggiare clandestinamente costituiscono l’8,1 % del Pil.
Tutti sanno che nell’Unione Europea l’Italia è al primo posto per evasione fiscale e tutti credono che la Germania sia un Paese in cui certe cose non sono nemmeno pensabili. Per un inspiegabile mistero, nessuno ricorda i danni gravissimo di una pillola anticoncezionale targata Bayern, gli scandali Wolkswagen, Porsche e MAN, le tangenti pagate dalla Siemens, l’amministratore delegato di Deutsche Post, Klaus Zumwinkel, arrestato nel 2008 per un’evasione fiscale di 10 milioni di euro, trasferiti naturalmente nel Liechtenstein, la multa pagata dalla Deutch Bank nel 2013 per la manipolazione dei tassi di interesse e gli oltre 2,5 miliardi di euro versati al governo inglese e agli Stati Uniti per aver manipolato gli indici che regolano i prestiti tra banche e i mutui.
Si dice che noi abbiamo il primato nel campo della malavita. Un conto dal quale però si tengono fuori i banchieri.
Se ci si occupasse anche di loro, scopriremmo che per il riciclaggio dei capitali sporchi da parte delle banche le cose stanno così: le peggiori si trovano in Danimarca, Estonia, Germania, Lettonia e Paesi Bassi. Il Parlamento europeo ha ripetutamente sottolineato che in molti Paesi, soprattutto quelli in cui il riciclaggio è più diffuso, i sistemi fiscali sono vecchi e arretrati, soprattutto perché sono state facilitate le opportunità di cambiare residenza fiscale.
Ovunque l’uso di software per il prelievo automatico di contante da registratori di cassa e punti vendita agevolano l’opacità e le truffe fiscali. Grave è che Stati membri dell’Unione attirino utili generati altrove, danneggiando il principio di solidarietà e determinando una distribuzione della ricchezza anomala a spese dei cittadini dell’UE. A spese nostre, quindi.
Nell’immaginario collettivo, se dici «Stato sanguisuga» pensi all’Italia, anche perché essa sconta una storica debolezza politica sul terreno fiscale. Tuttavia, per quanto riguarda la pressione fiscale nel 2019 la Fondazione Nazionale dei Commercialisti calcola che al primo posto ci sia la Danimarca (47,6 %), mentre l’Italia è al sesto posto, con il 42, 4 %. La Germania è ottava, con il 41,6 [Analisi della pressione fiscale in Italia in Europa e nel mondo. p. 16]. Per quanto riguarda le imposte dirette, indirette e sui redditi da capitale, siamo settimi, preceduti da Francia, Belgio, Svezia, Austria, Grecia e Germania. Più pesanti sono le tasse sulle imprese, in cui, tuttavia siamo secondi col 59,1 %, preceduti dalla Francia (60,7 %) e seguiti dalla Germania (46,8 %).
Da qualunque parte la guardi, l’Unione Europea dei neoliberisti è un autentico verminaio.
GIUSEPPE ARAGNO
21 febbraio 2021
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