Per tutta la giornata si sono ritrovati lì, tra la chiesa di San Rocco e gli alberi dell’omonima piazza dove don Roberto Malgestini è stato ucciso a coltellate, uniti per l’ultima volta da questo prete «mite e buono», come lo descrivono tutti. Italiani, stranieri, ciascuno con le sue cicatrici dentro e fuori, c’è chi ancora vive in strada e chi si è lasciato i momenti più duri alle spalle. Don Roberto da oltre 30 anni aiutava chiunque avesse bisogno di una mano e lo conoscevano tutti a Como.
C’è un aneddoto curioso che racconta bene che tipo di persona fosse. Prima di ieri mattina di lui in rete non si trovava neanche una fotografia, le redazioni dei giornali locali ne hanno scovate un paio cercando a fondo nei propri archivi. «Perché don Roberto era così, sempre presente nell’aiutare chi aveva bisogno, ma in modo discreto e riservato», raccontano le persone che lo hanno conosciuto o hanno lavorato con lui, come Fabio Cani, portavoce dell’associazione Como Senza Frontiere. «Lui costitutivamente non voleva mai apparire, agiva sempre al centro delle cose ma sempre come se lui non ci fosse».
Mai alla ricerca di clamori mediatici, schivava le polemiche andando dritto per la sua strada, letteralmente, perché la strada era diventata la sua parrocchia vera, dove incontrava e aiutava i bisognosi. E lì è stato ucciso ieri mattina poco dopo le 7, a pochi metri dal portone della canonica, in quella piazza San Rocco oggi spoglia persino delle panchine, fatte togliere dalla giunta di destra per impedire ai poveri di utilizzarle. Don Roberto aveva fatto sistemare anche dei bagni chimici in quella zona, ma l’amministrazione fece togliere anche quelli. Persino la fontanella comunale a un certo punto smise di far zampillare acqua, sempre per mano dell’amministrazione comasca.
Don Roberto è stato ucciso a coltellate da una di quelle che persone a cui ogni mattina portava la colazione e una parola di compagnia, un tunisino senza fissa dimora di 53 anni con problemi psichici, raccontano dalla Caritas, e con in tasca un decreto di espulsione datato aprile e poi sospeso a causa del blocco dei voli per Coronavirus. Per la Lega che governa la città e per il suo capo Matteo Salvini tanto è bastato per dare addosso al clandestino. Cosa abbia spinto l’assassino di Don Roberto a tirargli quelle coltellate fatali non lo sappiamo, la polizia proverà a dare una risposta al folle gesto, l’uomo si è costituito spontaneamente alla caserma dei Carabinieri subito dopo aver ucciso il prete.
Di certo però c’è che Don Roberto era stato lasciato solo, quando non apertamente ostacolato, dall’amministrazione comasca guidata dal sindaco Mario Landriscina. Como in questi anni è diventata un laboratorio politico per la destra, una città storicamente ricca, cattolica e conservatrice, che si è riscoperta con la crisi dei rifugiati del 2016 città di confine. Su posizioni anti-accoglienza questa maggioranza ha vinto le elezioni comunali del 2017. È una giunta dove comanda la Lega, anche se il sindaco appartiene ad un’area più vicina a Forza Italia. Una giunta di destra incalzata da destra da Fratelli d’Italia. In questi tre anni la si ricorda per aver allontanato i poveri dal centro città sotto Natale, per aver tagliato sull’accoglienza, per non essere stata capace di condannare in modo netto il blitz del Veneto Fronte Skinhead contro l’associazione Como Senza Frontiere.
Come fossimo in un romanzo distopico di Philip Dick, Como è stata anche la prima città italiana a sperimentare la sorveglianza con il riconoscimento facciale, le telecamere di ultima generazione in grado di tracciare e riconoscere i volti delle persone. Almeno fino allo stop imposto dal garante per la privacy.
Una città, Como, dove però i reati di strada sono in calo, come testimonia la Questura nei suoi rapporti annuali.
L’ultimo episodio che ha sollevato polemiche è stata la coperta tolta a una persona senza fissa dimora e gettata in un prato dall’assessora ai servizi sociali Angela Corengia durante le operazioni di pulizia di un’area in cui dormono una decina di persone. Da tempo le associazioni che si occupano di diritti umani chiedono all’amministrazione di aprire un dormitorio, ma la Lega vorrebbe risolvere il problema recintando l’area. «È una tragedia che nasce dall’odio che monta in questi giorni ed è la causa scatenante al di là della persona fisica che ha compiuto questo gesto», ha commentato il direttore della Caritas comasca Roberto Bernasconi. «O la smettiamo di odiarci o tragedie come questa si ripeteranno». Dice ancora il direttore della Caritas ricordano don Roberto: «La città non ha capito la sua missione».
Le associazioni del terzo settore incrociavano il prete continuamente. Oltre al ricordo commosso della persona, chiamano in causa la politica. «Sentiamo il dovere di accusare le istituzioni che dovrebbero esistere per evitare queste tragedie e per contrastare odio e violenza», ha scritto Como Senza Frontiere richiamando l’amministrazione comunale alle sue responsabilità politico-amministrative. «Perché don Roberto è stato lasciato solo dalle istituzioni nel compito vitale di dare aiuto alle persone costrette a vivere in strada in una delle città più ricche del mondo? Perché le istituzioni non hanno aiutato e curato un uomo psichicamente instabile nonostante la Como solidale abbia più volte e da anni chiesto di affrontare il problema della fragilità psicologica e psichiatrica di chi vive in strada? Perché chi governa Como ha irresponsabilmente ampliato la disperata guerra tra poveri?».
Tra gli amici di don Roberto c’era Luigi Nessi, un consigliere comunale della sinistra comasca che andava due volte a settimana a consegnare le colazioni insieme al prete ucciso. «Era una figura così mite – ricorda a Radio Popolare – seguiva queste persone tutto il giorno, da mattina a sera. Spero che questo sacrificio faccia riflettere la città di Como». È l’auspicio che tanti a Como stanno esprimendo in queste ore così tristi.
ROBERTO MAGGIONI
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