Liste di attesa, pronto soccorso allo stremo, medici di base assenti in molte aree definite «deserti sanitari»; il ricorso alla spesa privata, incompatibile con un sistema universalistico: è la fotografia della Sanità italiana che si desume dal Rapporto civico sulla salute 2023, presentato ieri da Cittadinanzattiva in una giornata che è andata avanti con una manifestazione davanti al ministero. «I dati e le storie che le persone raccontano ci fanno proclamare lo stato di emergenza e una mobilitazione permanente a difesa del Servizio sanitario nazionale» ha spiegato Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.
Cinque le richieste: monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza, esigibili su tutto il territorio; eliminazione delle liste di attesa attraverso investimenti sulle risorse umane e tecniche, programmazione e trasparenza, impegno concreto delle regioni; l’attuazione del diritto alla Sanità digitale; percorsi di cura e assistenza dei malati cronici, rari e non autosufficienti riprendendo l’iter normativo per il riconoscimento dei caregiver; l’attuazione dell’assistenza territoriale.
I gravi disagi per le liste di attesa raccolgono quasi una segnalazione su tre (29,6%) ma i cittadini denunciano carenze in tutti gli ambiti: ospedaliero (15,8%), territoriale (14,8), prevenzione (15,2%).
Due anni per una mammografia di screening, tre mesi per un intervento per tumore all’utero che andava fatto entro un mese, due mesi per una visita ginecologica urgente da fissare entro 72 ore, sempre due mesi per una visita cardiologica da effettuare entro 10 giorni: sono alcuni esempi segnalati dai cittadini che lamentano anche disfunzioni nei servizi di accesso e prenotazione, ad esempio il mancato rispetto dei codici di priorità, difficoltà a contattare il Cup, liste d’attesa bloccate.
Nel dettaglio, per le visite che hanno una Classe B-breve (da svolgersi entro 10 giorni) i cittadini hanno atteso anche 60 giorni per la prima visita cardiologica, endocrinologica, oncologica e pneumologica. Senza codice di priorità, si arrivano ad aspettare 360 giorni per una visita endocrinologica e 300 per una cardiologica. Una visita ginecologica con priorità U (urgente, da effettuare entro 72 ore) è stata fissata dopo 60 giorni.
Per una visita cardiologica, endocrinologica, fisiatrica con priorità B (da fissare entro 10 giorni) i cittadini di giorni ne hanno aspettati 60. Per una visita ortopedica, sempre con classe d’urgenza B ci sono voluti addirittura 90 giorni. Intervento per tumore dell’utero: doveva essere effettuato entro 30 giorni, la paziente ne ha attesi 90. Per un intervento di protesi d’anca, da effettuarsi entro 60 giorni, un’attesa di 120.
La quasi totalità delle regioni non ha recuperato i ritardi causati dal Covid e non tutte hanno utilizzato il fondo di 500 milioni del 2022 per il recupero delle liste d’attesa (inutilizzato circa il 33%). Il Molise ha investito solo l’1,7%. Male anche Sardegna (26%), Sicilia (28%), Calabria e Bolzano (29%). Nel 2022 c’è stata una riduzione delle persone che hanno effettuato visite specialistiche (dal 42,3% nel 2019 al 38,8% nel 2022) o accertamenti (dal 35,7% al 32,0%).
Nel Sud quest’ultima riduzione raggiunge i 5 punti. Rispetto al 2019, aumenta la quota di chi ha pagato a sue spese sia visite specialistiche (dal 37% al 41,8% nel 2022) che accertamenti (dal 23% al 27,6%). Il ricorso alla copertura assicurativa è più diffuso nel Lazio (nel 2022 il 10,8%), in Lombardia (9,7%), Bolzano (9,1%) e Piemonte (8,1%).
Nei pronto soccorso le segnalazioni più ricorrenti riguardano l’attesa per il triage (18,9%), l’affollamento (15,4%), informazione carente al paziente (9,8%), mancanza di posti letto per il ricovero (9,2%), carenza di personale (8,7%), pazienti in sedia a rotelle o in barella per ore/giorni (7,5%). Negli ultimi 10 anni c’è stato una taglio sul territorio nazionale di 61 dipartimenti di emergenza, 103 Ps, 10 Ps pediatrici e 35 centri di rianimazione.
E ancora: una riduzione di 480 ambulanze di tipo B (per chi non è in urgenza), meno 19 ambulanze pediatriche e meno 85 unità mobili di rianimazione. In Calabria il mezzo di soccorso arriva mediamente in 27 minuti, in Basilicata 29 minuti e in Sardegna 30 minuti su una media nazionale di circa 20 minuti. Sono sei le regioni che non raggiungono la sufficienza rispetto ai Lea per la prevenzione: Sicilia, Bolzano e Calabria mostrano i dati più bassi; si aggiungono nel 2020 Liguria, Abruzzo, Basilicata.
Screening oncologici. Calano nel 2020 gli inviti per gli screening organizzati: meno 29% per quello mammografico, meno 24% per quello colorettale e per il cervicale. Al Sud le percentuali di adesione più basse: per lo screening mammografico fanalino di coda sono Calabria (9% di adesione) e Campania (21%); per il tumore alla cervice Campania (13%) e Calabria (31%). Sono 10mila gli operatori sanitari che hanno partecipato all’indagine per sondare le motivazioni a restare nel Ssn: oltre il 46% afferma «di essere soddisfatto del proprio percorso professionale ma non dall’ambiente di lavoro.
Oltre il 40% dichiara di avere carichi insostenibili e uno su tre non riesce a bilanciare i tempi lavorativi con la vita privata». Il 31,6% denuncia di essere stato vittima di aggressione (verbale o fisica) da parte degli utenti, il 20,7% da parte di un proprio superiore e il 18,4% da parte di colleghi.
Meno di tre over 65 su 100 è inserito in percorsi di Assistenza domiciliare integrata: difficoltosa la fase di attivazione per il 34%; il 21% ritiene insufficiente la quantità di assistenza erogata; il 17% inadeguata la gestione del dolore. Consultori: sono 2.227 (1 ogni 35mila residenti) a fronte di uno standard minimo di 2.949. Nel 2008 erano 1 ogni 28mila abitanti, nel 1993 uno ogni 20mila. In Lombardia, Veneto, Friuli VG, Lazio, Molise, Campania e Trento il numero medio è superiore a 40mila residenti per consultorio.
Salute mentale: su 100 segnalazioni, il 27,8% fa riferimento a questo ambito, in forte aumento rispetto al dato del 2021 (12,8%), delineando un crescente deficit dei servizi. Così la gestione, se non proprio la cura del paziente psichiatrico, è demandata in moltissimi casi alla famiglia. Capitolo Pnrr: ci saranno molti territori, soprattutto aree interne, che rimarranno senza Case di comunità, «il modello del Dm 77 non riesce a tenere conto delle differenze territoriali». Intanto ci sono 2.178 medici di base e 386 pediatri di libera scelta in meno.
Anaao Assomed e le associazioni di cittadini e pazienti, incluso Cittadinanzattiva, hanno promosso un appello in difesa del Ssn: «La tenuta del sistema è oggi a rischio. Il diritto alla salute è declinato in 21 modi diversi, figli di autonomie regionali che violano il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini. Il progetto di autonomia differenziata del governo accentuerà le differenze. Il definanziamento previsto nei prossimi anni costringerà molti cittadini a pagare le cure di tasca propria».
ADRIANA POLLICE
Foto di Jonathan Borba