Nato dalla penna di un professore universitario di diritto, nonché direttore del «Centre on International Courts and Tribunals» dello University College di Londra, La strada verso est (traduzione di Isabella C. Blum, Guanda, pp. 448, euro 29,00) di Philippe Sands non è semplicemente un riuscito romanzo attorno ai crimini contro l’umanità e al genocidio del popolo ebraico durante il nazismo, ma sin dal suo incipit è centrato sulla professione dell’autore, e si muove dunque fra la finzione e il saggio, con corredo di un ampio apparato di note e un indice dei nomi.
Sulle tracce dei giuristi
La sua forma è perciò quella ibrida della docufiction storico-narrativa: si apre nel 2010, quando l’inglese di origine ebraica Sands viene invitato in Ucraina a tenere una conferenza sui crimini di massa e sul processo di Norimberga, avviando l’autore a quella strada verso l’est dell’Europa che darà il titolo al suo libro, e gli fornirà l’occasione per confrontarsi con il più importante processo del Secolo breve, grazie al quale non soltanto è nato il diritto internazionale, ma si è arrivati per la prima volta alle formule di «crimine contro l’umanità» e di «genocidio».
L’attenzione di Sands per le origini di questi capi d’accusa lo porta sulle tracce dei due giuristi che, dopo avere studiato entrambi a Leopoli senza mai conoscersi, li avevano formulati nel tentativo di definire la portata di una possibile imputazione giuridica contro i nazisti per lo sterminio del popolo ebraico: «per Lauterpacht se l’uccisione fa parte di un piano sistematico, allora è un crimine contro l’umanità. Per Lemkin, il punto cruciale è invece il genocidio, cioè l’uccisione di molti con l’intenzione di distruggere il gruppo di appartenenza».
Dopo essersi addentrato nella storia europea del trentennio compreso fra la fine della Grande guerra e la conclusione del secondo conflitto mondiale, decenni di cui Sands restituisce uno spaccato storico-giuridico dominato dal principio di esclusione, che culmina nel 1935 con le leggi razziali contro la popolazione ebraica, l’autore ci riporta a Norimberga, connotata nel suo libro come il luogo dell’abbrivio e della condanna di quella «soluzione finale della questione ebraica», la cui definizione risale al verbale della conferenza di Wannsee del gennaio 1942 redatto da Adolf Eichmann, imputato nel celebre processo del ’61 a Gerusalemme di cui La banalità del male di Hannah Arendt resta il resoconto più lucido.
Norimberga è dunque anche il luogo verso il quale Sands viaggia dall’est dell’Ucraina, intrecciando i fatti storici, politici e giuridici che hanno scandito le ore più buie della storia europea alla propria esperienza personale di accademico e avvocato; ma soprattutto al ricordo delle sue origini ebraiche. Fino a portarci nell’aula del Tribunale penale internazionale di cui è membro, e dove si svolgono alcuni dei più terribili casi giudiziari contemporanei contro l’umanità, per esempio quelli consumati durante le guerre nell’ex Jugoslavia e in Ruanda, oppure nel carcere di Guantánamo.
Se non fosse per l’affondo nella dimensione intima e autobiografica che costituisce il basso continuo della narrazione, il libro di Sands potrebbe essere letto come un saggio di storia e persino di filosofia del diritto attorno all’evoluzione dei concetti di «genocidio» e «crimine contro l’umanità». Ma l’interesse di Sands per il processo di Norimberga e per la storia del diritto che lo ha preceduto e seguìto non deriva solo dalle sue ricerche accademiche. Egli è infatti mosso anche dalla volontà di sondare il passato della propria famiglia, e soprattutto penetrare il silenzio che avvolge la persecuzione subìta da suo nonno, Leon Buchholz. Ed è in queste pagine che l’avvocato Sands abbandona la lingua degli atti giudiziari e del diritto per adottare quella degli affetti, lasciando che il suo stringente saggismo ceda il passo a una prosa introspettiva e vibrante di nostalgia. Suo nonno Leon era un ebreo galiziano sopravvissuto alla barbarie nazista, che aveva taciuto le privazioni e il dolore subiti, in particolare fra il 1939 e il 1945, quando l’avvocato Hans Frank era governatore della Polonia.
Il figlio di Leon e quello di Frank
Nel tentativo di ricostruire la storia di suo nonno, Sands non esita a porre in discussione i provvedimenti adottati dal più celebre giurista nazista, condannato e impiccato a Norimberga. Proprio alla città tedesca approda infine La strada verso est quando nel 2014 Sands entra nell’aula del celebre processo contro l’umanità accompagnato dal figlio di Hans Frank, che non esita a condannare il comportamento del padre e, anzi, sostiene come per crimini simili sarebbe accettabile ancora oggi la pena di morte. Nelle pagine in cui si racconta l’incontro fra il nipote dell’ebreo Leon e il figlio dell’avvocato nazista Frank a Norimberga sembra di tornare al tempo del processo contro i kapò nazisti, come se ancora oggi gli spiriti dei perseguitati e dei loro aguzzini si fronteggiassero nelle sale del tribunale tedesco, dibattendo di un crimine, la Shoah, che trascende ogni velleità di circoscriverlo con il linguaggio e definirlo (anche) giuridicamente.
RAUL CALZONI
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