Domenica scorsa il cortile della scuola Palombini di Rebibbia è stato particolarmente affollato per essere un pomeriggio afoso di luglio. Docenti di diverse scuola di Roma, associazioni di quartiere e famiglie si erano riunite per discutere di dimensionamento scolastico.

«Vogliamo sensibilizzare l’opinione pubblica sui danni che può fare l’accorpamento degli istituti, un provvedimento grave dal quale non si torna indietro», spiega un’attivista del Comitato Mammut che dal 2015 fa attività sociali e di doposcuola per i bambini, molti con background migratorio, che frequentano la scuola di questa popolosa periferia capitolina e che rischia di essere chiusa per via della legge sul dimensionamento che mira ad adeguare la rete scolastica all’andamento anagrafico della popolazione studentesca, in calo.

Anche questo provvedimento è nato al tempo della riforma del 2008 di Gelmini e Tremonti ma poi è stato perfezionato con il Pnrr da Draghi con criteri di risparmio e riduzione della spesa. Il governo Meloni ha inserito nel decreto Milleproroghe di febbraio un comma con il quale consente alle regioni di derogare fino al 2,5% i plessi da chiudere, ma solo per il prossimo anno scolastico.

Dal 2026 dovrebbe diventare operativo un taglio che, come spiegano dalla Uil Scuola Rua «anche se è un film già visto, perché la riduzione del numero di istituzioni scolastiche è in corso da un ventennio (nel 2000-01 erano 11.592, nel 2031-32 saranno 6.885, il 40 per cento in meno) non significa che non si debba continuare a combattere.

L’esigenza di risparmiare non guarda a quali e che tipo di scuole saranno sacrificate e il coinvolgimento dei territori, come dice l’attivista di Mammut «è stato omesso».

«È un danno enorme per alcuni contesti come il nostro, noi conosciamo le problematiche sociali del quartiere e sappiamo che l’accorpamento comporterà classi sovraffollate in territori dove c’è un’utenza difficile. In periferia perdere una scuola significa perdere l’unico presidio culturale e educativo dello stato, allontanare le istituzioni dai territori complessi è miope e pericoloso».

Lo stesso sta succedendo in un’altra periferia della Capitale, al Quarticciolo, dove insegnanti e genitori stanno lottando contro la sparizione dell’IC Pirotta.

Ma la questione non riguarda solo le periferie delle grandi città, anche le aree interne si stanno mobilitando per evitare l’ulteriore impoverimento dei paesi di montagna e pianura. I cittadini di San Felice Circeo, nel Lazio, stanno da tempo difendendo l’unica scuola del centro cittadino, alle prese con lo spopolamento.

«C’è una questione generale di riequilibrio territoriale delle aree interne che oggi rappresentano un’opportunità per una vita più a misura d’uomo, anche a causa del cambiamento climatico, e invece viene scelto un modello di sviluppo che guarda solo alla turistificazione dei centri storici e non alla loro vivibilità», spiega Marco del forum Aperte, piccole, vicine: per una scuola di prossimità.

Per Marco il dimensionamento è un modo diverso di chiamare i tagli nonché una «scelta ottusa fatta non per il futuro ma per questioni economiche e peserà su diverse generazioni dando un colpo di grazia anche all’identità dei piccoli centri».

Da nord a sud: a Domodossola, ad esempio, il piano prevede la nascita di un polo scolastico unico in tutta la città, in Campania saranno tagliati 28 istituti, 18 in Puglia. Complessa la situazione della Calabria che perderà in totale 84 istituzioni scolastiche, creando casi come quello di Tropea dove lo stesso dirigente gestirà 33 plessi.

Importante anche il sacrificio di Abruzzo e Molise. «Quella che si sta innescando è una guerra tra poveri in cui intere comunità legittimamente cercano di difendere la propria autonomia scolastica laddove la vedono minacciata – commenta la Flc Cgil Abruzzo Molise – Noi ribadiamo che è necessario un radicale ripensamento del provvedimento».

Le comunità educanti del paese sono concordi nel ritenere che il dislocamento delle scuole di prossimità porterà un aumento dell’abbandono scolastico e delle classi pollaio, la dispersione dei progetti educativi mirati, l’aumento delle difficoltà di interagire con le famiglie, la perdita di legami tra i bambini. E questo «non riguarda solo gli istituti minacciati dal provvedimento ma il modo stesso in cui intendiamo la scuola italiana, se come presidio democratico o come costo da tagliare», dice ancora Marco.

Intanto il ministro all’Istruzione (e merito) Valditara continua a minimizzare e si spazientisce: «non abbiamo chiuso alcuna scuola e abbiamo anche previsto i presidi vicari quindi ci sarà una presenza sulla scuola accorpata che prima non c’era perché il preside reggente si doveva alternare sulle scuole, c’è una forte semplificazione negli atti amministrativi quindi basta con questa polemica», ha detto poco meno di un mese fa.

LUCIANA CIMINO

da il manifesto.it

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