Molte scuole stanno predisponendo in questi giorni, prima delle ferie agostane, le modalità con cui ricominciare l’anno scolastico. Complici l’incertezza sul contagio e la scarsa attenzione per il tema da parte del governo, gli istituti si preparano allo scenario peggiore e mettono in conto di rientrare a scuola solo a scaglioni. Una parte importante della didattica, soprattutto nelle scuole superiori, sarà ancora svolta a distanza, è il dato che emerge da molte riunioni. Come se l’assaggio della «Dad» della scorsa primavera non abbia evidenziato tutte le carenze di questo approccio all’educazione. A mettere in fila i numeri del problema arriva un rapporto (non il primo) elaborato dall’impresa sociale «Con i Bambini» e dalla fondazione OpenPolis.
Difficile affrontare la didattica a distanza se «il 12,3% dei minori in età scolastica non ha un computer a casa, quota che sfiora il 20% nel mezzogiorno», come scrive il rapporto. «Parliamo di circa 850mila giovani tra 6 e 17 anni. Il 57%, pur in presenza di un pc in casa, non ha un suo dispositivo personale, e deve condividerlo con gli altri componenti della famiglia». E non tutti possono rimediare al problema per garantire il diritto all’istruzione ai propri figli. «Sono il 5,3% le famiglie con un figlio che dichiarano di non potersi permettere l’acquisto di un pc». Secondo i dati Istat «Soltanto il 6,1% dei ragazzi tra 6 e 17 anni vive in famiglie dove è disponibile almeno un computer per componente».
Ma spesso quello del dispositivo è un problema secondario per gli alunni che studiano a distanza, perché il «41,9% dei minori vive in una abitazione sovraffollata. Il 7% affronta anche un disagio abitativo (problemi strutturali, poca luminosità)». Affollamento domestico e povertà sono ovviamente correlati: vive in povertà assoluta il 20,2% delle famiglie con tre figli, mentre il problema tocca solo il 6,5% delle famiglie con un figlio unico.
«Il divario digitale si va a sommare ai fattori di disuguaglianza già esistenti: dalla condizione sociale al luogo di residenza», scrive il rapporto intitolato non a caso «Disuguaglianze digitali». Fattori che nel complesso pongono l’Italia al 25 posto su 28 nella classifica Desi, l’«indice di digitalizzazione dell’economia e della società» con cui la Commissione Europea monitora il progresso digitale degli stati membri dell’Unione Europea. Stessa posizione per la percentuale di famiglie con figli dotate di accesso a Internet. Il divario tra Italia e Ue si riproduce anche tra una regione e l’altra: si va dall’80% di famiglie connesse del Trentino Alto-Adige al 70% della Calabria.
Ma per quanto riguarda la strumentazione delle scuole, la disuguaglianza digitale dipende più dall’utilizzo dei fondi strutturali messi a disposizione dall’Unione Europea che dal contesto socio-economico. Tra le regioni con il maggior numero di lavagne interattive e tablet c’è ad esempio la Sardegna, seconda dopo la Lombardia, con la Calabria al quarto posto, mentre in fondo alla classifica troviamo Abruzzo, Lazio e Molise.
ANDREA CAPOCCI
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