«Davanti alle atrocità commesse da Putin dovevamo scegliere da che parte stare della storia», dice Luigi Di Maio per motivare la scelta di uscire dal Movimento 5 Stelle e fondare un altro soggetto politico. È appena salito al Quirinale, per informare Sergio Mattarella del rimescolamento all’interno della maggioranza che sostiene Mario Draghi e per rassicurarlo sul fatto che il suo nuovo gruppo è anche un’assicurazione sulla vita del governo. Di Maio, dunque, sceglie di dar vita alla prima scissione vera e propria nella storia del M5S. La notizia aveva circolato dall’ora di pranzo, quando mancavano meno di due ore all’intervento di Draghi al Senato e non c’è ancora accordo sulla risoluzione di maggioranza.
È una mossa inattesa. Tanto che molti dei parlamentari precettati da Di Maio cadono dalle nuvole. Il che, dice il senatore Primo Di Nicola (che sta con Di Maio), dimostra che non è mai esistita una corrente vera e propria che fa capo al ministro degli esteri. Di Maio forse pensava di uscire dopo il doppio voto sulla risoluzione, che oggi va in aula Montecitorio. Altri fino a ieri assicuravano che puntava a stare dentro il M5S e logorare Conte un altro po’, fino alle regionali siciliane.
A segnare «il punto di non ritorno», dicono i dimaiani, sono state le parole con le quali due giorni fa Roberto Fico ha rivendicato il diritto dei 5 Stelle di tutelarsi di fronte agli attacchi e alle illazioni «immotivate» del loro ex capo politico. Per il nuovo gruppo circola un nome che contiene suggestioni macroniane: «Insieme per il futuro». Avrebbero accettato di aderirvi una cinquantina di deputati, il che consentirebbe di fondare il gruppo alla Camera. Al Senato le sottoscrizioni sembrano più ridotte.
Questa sera tocca Giuseppe Conte, che riunisce l’assemblea congiunta degli eletti alla Camera e al Senato del Movimento 5 Stelle. Sarà un test sullo stato di salute dei gruppi parlamentari. Trapela l’ipotesi di passare all’appoggio esterno al governo Draghi visto che il M5S da oggi ha già un piede fuori dalla squadra di governo: con Di Maio se ne vanno almeno cinque sottosegretari di peso: Laura Castelli all’economia, Manlio Di Stefano agli esteri, Dalila Nesci al Sud, Pierpaolo Sileri alla salute e Anna Macina alla giustizia. Il ministro dell’agricoltura e capodelegazione M5S nell’esecutivo Stefano Patuanelli smentisce ogni tentazione di mollare la maggioranza: «Altri che creano problemi al governo, non noi».
Ci sono state diverse espulsioni dal M5S e soprattutto in questa legislatura si sono contati numerosi addii (quasi un terzo di 320 parlamentari), ma mai una spaccatura organizzata. Poche ore prima della notizia della rottura, il Consiglio nazionale del M5S aveva preso in considerazione la possibilità di cacciare fuori Di Maio, ma questa era stata scartata. In primo luogo per impossibilità tecnica: il nuovo Statuto è di fatto ancora sotto processo e il M5S non è in grado neanche di espellere Vito Petrocelli, l’ex presidente della commissione esteri del Senato che ha platealmente disatteso la linea politica in dissenso con le scelte sulla guerra in Ucraina. L’espulsione era stata considerata improbabile anche per motivi di opportunità politica e dei rapporti con Draghi.
Anche Beppe Grillo aveva chiesto di evitare fratture. Ieri mattina, prima che tutto precipitasse, ha usato il suo blog per un ultimo appello: «Qualcuno non crede più nelle regole del gioco? Che lo dica con coraggio e senza espedienti. Deponga le armi di distrazione di massa e parli con onestà».
Dopo quello che potrebbe essere un riferimento a Di Maio e al tetto dei due mandati, il fondatore ha scelto una citazione che parla di morte e fine dell’effetto novità: «Quando il M5S fece i primi passi Steve Jobs chiese agli studenti di Stanford di accettare la morte come agente di cambiamento della vita e disse loro ‘ora il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano da oggi, diventerete gradualmente il vecchio e verrete spazzati via’». «Ci mettiamo in cammino – dice Di Maio evocando ancora una volta il lessico di Macron – Non ci sarà spazio per sovranismi, estremismi, populismi. Partiremo dai territori e dai sindaci».
Di fine del grillismo parla alla buvette del Senato anche Matteo Renzi. Mentre il dibattito sull’Ucraina è ancora in corso, il leader di Italia Viva si accompagna in un’ideale brindisi a Pierferdinando Casini e poi, chiacchierando coi giornalisti, profetizza che si andrà al voto solo a fine legislatura (dunque probabilmente a maggio 2023). Dice che le elezioni si terranno «in piena crisi sociale» ma in assenza di un soggetto in grado di raccogliere la rabbia e la voce di molti cittadini.
Secondo il ragionamento di Renzi questa forza dovrebbe collocarsi alla sinistra de Pd. «Difficile che questo ruolo venga ricoperto un ex presidente del consiglio e uno che ha fatto il ministro degli esteri», dice il leader di Italia Viva riferendosi a Conte e Di Maio. La posta in palio dei prossimi mesi riguarda le sorti dello spazio politiche che per dieci anni, tra mille contraddizioni, hanno ricoperto i 5 Stelle.
GIULIANO SANTORO
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