E’ di ieri la notizia della rottura del tavolo della costituente della sinistra: sono già stati detti, sono già stati scritti, i motivi, le differenze politiche (o, molto spesso, banalmente opportunistiche) che hanno portato allo stop di un progetto che probabilmente aveva pochi presupposti per essere portato avanti.
Sicuramente, hanno influito non poco le diverse tattiche elettorali che pervadono i vari pezzi, e che d’altronde sono note almeno dal 2008 e che hanno provocato già non poche scissioni, ma credo che il punto focale che renda questi progetti di “riunificazioni”, “lavori in corso” e “cantieri” a sinistra fallimentari, o comunque inutili ad un reale cambiamento di sistema in Italia, vada oltre le, pur fondamentali, differenze di opinioni sul Pd, sia esso di Renzi o meno. Sicuramente, nessun progetto di sinistra può avere la benché minima credibilità, o anche la più banale funzione nello scenario politico italiano, se non si pone in un campo di totale alternatività al pd e al blocco sociale che questo oggi rappresenta, composto di burocrati europei, capitalisti straccioni all’italiana e faccendieri di ogni risma. Ma è anche vero che se noi ci accontentassimo di un tale, minimo, presupposto, non potremmo mai essere in grado di puntare realmente al sovvertimento di cui l’Italia ha bisogno.
Limitarsi ad una tale “scelta di campo”, infatti, vorrebbe dire aver rimosso dalla nostra analisi il fatto che il campo in questione non esiste più.
Continuiamo a discutere di un mondo dove i partiti, i sindacati e le associazioni, in definitiva i gruppi organizzati che facevano riferimento a categorie sociali ben salde nella realtà, hanno un ruolo e una funzione di tipo costituzionale, tale per cui l’obiettivo di chi vorrebbe dare forza ai lavoratori (o genericamente “ai più deboli”) sarebbe “semplicemente” mettere nella stessa cornice tutte queste istanze per farle convergere verso il medesimo obiettivo di cambiamento; partiamo da questo presupposto “intoccabile”, e discutiamo ininterrottamente del solo linguaggio e delle sole proposte adatte, se più o meno moderate, più o meno asseritamente comprensibili.
La realtà, però, è che continuiamo a discutere di un’Italia che non esiste più, di un mondo che si è esaurito almeno dieci anni fa, che forse assesta ancora qualche ultimo colpo di coda in luoghi quali l’Università di Bologna o La Sapienza di Roma, ma che non parla più del popolo italiano.
Le categorie sociali, così come individuate da un substrato di tipo economico e chiare nell’autoriconoscimento di un’identità comune, non sono più chiaramente identificabili. Lo ripetiamo spesso, e soprattutto viviamo l’atomizzazione della società, la competitività estrema, l’autosfruttamento nel senso di una realizzazione personale che non arriverà mai, eppure non ne traiamo le debite conseguenze.
Continuare a pensare ad una società dove gli individui, invece, si continuino a riconoscere in un’identità politica (quando non è chiara nemmeno l’identità sociale!), tale per cui le parole sinistra e destra continuino a delimitare delle appartenenze che devono essere in qualche modo rappresentate da “costituenti” o robe simili, vuol dire non aver chiara la realtà dell’Italia attuale, per cui ogni significante politico non è altro che un significante vuoto, incapace di rappresentare una realtà ben definita.
Obiettivo dei comunisti e delle comuniste oggi, ma anche di una sinistra che onestamente si pone l’obiettivo del ribaltamento di un sistema economico e sociale sempre più violento ed iniquo, deve essere quindi quello di ricreare il proprio campo di azione. In una società polverizzata come quella che attuale, non può farlo se non attraverso un discorso politico che individui singole idee forti ed evocative, che siano in grado di diventare egemoniche e di delimitare un campo, certo sempre precario ma comunque più stabile della mera liquefazione attuale; un campo in cui i comunisti, la sinistra e i movimenti possano operare per ricreare le condizioni che permettano il ribaltamento del sistema economico capitalista.
Ripensare l’egemonia, non come metro da applicare in un campo della sinistra precostituito, ma come metodo per “creare la società”, per costruire dei campi di forza, dei “nuclei” di significato in grado di attrarre a sé il consenso e la partecipazione di quello che oggi non può essere definito se non in modo generico come popolo o massa. Solo questo lavoro può fungere da presupposto per ricreare legami, “unire ciò che il neoliberismo ha diviso” e, in definitiva, creare le condizioni perchè il mondo del lavoro possa ritornare a riconoscersi e ad essere protagonista nella lotta per l’abbattimento di un sistema economico basato sullo sfruttamento: non è il 4 per cento il nostro obiettivo, ma il 99! I nostri sforzi dovrebbero essere in direzione dell’individuazione delle idee forti ed evocative, in grado di fungere da catalizzatore della società italiana.
Io credo che la discussione su questo tema sia matura per partire, e che di certo la tradizione italiana, a partire da Antonio Gramsci, ci fornisca molti spunti in proposito. Il compito del nostro “intellettuale collettivo” dovrà dunque essere quello di individuare e tracciare questa strada. I contenitori creati da parlamentari ormai residuali, gli appelli, i “rapporti di forza” tra le organizzazioni della sinistra e le rincorse dei loro “dirigenti”, i centrosinistri e i burocratismi delle assemblee tenute nei teatri della sinistra sono ferrivecchi da regalare al passato.
CLAUDIA CANDELORO
Portavoce nazionale Giovani Comuniste/i
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