Sono evidenti i punti di fallimento fatti registrare dall’intera classe politica negli ultimi 25 anni, dal momento cioè della liquefazione della “repubblica dei partiti” dovuta al combinato disposto fra trattato di Maastricht, Tangentopoli, caduta del muro di Berlino.
Proviamo a elencarli sommariamente: il tentativo d’imposizione del modello di “democrazia dissociativa” (bipolarismo, sistema elettorale maggioritario, partito personale), la costrizione dell’intero sistema dentro la gabbia del monetarismo dell’Unione Europea; il tentativo di risolvere il nodo della cessione di sovranità dello “Stato – Nazione” attraverso il regionalismo .
Particolare attenzione andrebbe prestata agli esiti della modifica del titolo V della Costituzione, rivelatasi un vero e proprio colpo mortale al funzionamento democratico sia dal punto di vista della promozione di una voracissima e del tutto impreparata classe politica e dell’estensione senza limiti del deficit pubblico. In più, attraverso l’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Provincia e di Regione si è verificato il fenomeno di una esaltazione dal basso della personalizzazione della politica del tutto ingiustificata e mortificante il ruolo dei consessi elettivi periferici che hanno così perduto ruolo e qualità d’intervento, causando un pauroso abbassamento nell’insieme dei rapporti sociali delle istituzioni.
Tutto questo meccanismo, pasticciato e dilettantesco che ha cercato di reggere il Paese dal 1994 al 2016, è stato bruscamente stoppato dall’esito referendario del 4 Dicembre, al riguardo del quale sono fin qui mancate risposte anche minime.
In questo modo si è inoltre dato origine al fenomeno di un riallineamento del sistema politico esaltante evidenti “ritorni all’indietro” rispetto alla stessa traccia di rapporto tra sistema politico e società dettato dalla Costituzione Repubblicana (emergono infatti con grande forza quei soggetti definiti sommariamente, con linguaggio giornalistico, populisti e nazionalisti: non certo un frutto del caso).
Per economia del discorso, in questa occasione, rimangono fuori dall’analisi i guasti gravissimi provocati dal sistema dei “media”, in particolare dal settore televisivo, e l’utilizzo in politica del tutto strumentale delle nuove tecnologie che non sono servite a produrre nuova pedagogia bensì soltanto a gigantesco veicolo di mistificazione del messaggio (in questo caso la responsabilità diretta è di coloro che hanno guidato le forze politiche e, in buona parte, hanno cercato soltanto ci coartare e mistificare i messaggi).
Sembrano inoltre venuti a mancare, nell’espressione di cultura politica del paese, i termini concreti di un’analisi seria del sistema democratico.
Proviamo a ripassare alcuni passaggi principiando dai tipi di democrazia, visti attraverso il lavoro classico di Arend Lijphart.
Lijphart prendendo come criterio la cultura politica (omogenea o eterogenea), e il comportamento delle èlite (coesivo o competitivo), ha fatto risalire 4 tipi di democrazia:
- consociativa: cultura politica eterogenea, èlite portata al compromesso;
- spoliticizzata: cultura politica omogenea, èlite coesa;
- centripeta: cultura politica omogenea, ma èlite in conflitto;
- centrifuga: cultura politica eterogenea ed èlite in conflitto.
Lijphart ha rivisto e riformulato una classificazione di tipi di democrazia stavolta prendendo come criterio le caratteristiche istituzionali dividendo democrazie maggioritarie (conflittuali o consensuali) e democrazie proporzionali (conflittuali e consensuali).
Il risultato è il seguente: proporzionale consensuale (Germania Austria Paesi Bassi); proporzionale conflittuale (Italia dal dopo guerra al 93,); maggioritario consensuale(Gran Bretagna fino al 79); maggioritario conflittuale (Italia 93).
Caratteristiche del modello maggioritario (o modello Westminster): il governo detiene una solida maggioranza; sistema bipartitico; governo centralizzato e unitario; costituzione flessibile; bicameralismo asimmetrico.
Caratteristiche del modello consensuale: governo di coalizione, equilibrio tra potere legislativo ed esecutivo, sistema multi partitico, assetto istituzionale decentrato, Costituzione scritta, bicameralismo simmetrico.
(Le democrazie contemporanee, Il Mulino; Patterns of Democracy: Governament, Yale University Press)
Esaminati questi punti, è il caso allora di esaminare nel dettaglio le caratteristiche necessarie al funzionamento di un sistema politico in generale e quelle peculiari al sistema politico italiano.
Caratteristiche confermatesi evidentemente irriducibili, fra l’altro, a un presunto itinerario di “occidentalizzazione”.
Un presunta “occidentalizzazione”rivelatasi, ripetiamo, del tutto fallimentare soprattutto dal punto di vista del sostegno di consenso dell’intero sistema.
Sistema che alla fine si è trovato ridotto a una minoranza anche nell’espressione di voto e a milioni e milioni di elettrici ed elettori privi di rappresentanza politica.
Ed è questo che, volenti o nolenti, deve essere considerato il vero punto di crisi sistemica:
- E’ mancata nel corso di questi anni la rappresentanza politica delle contraddizioni sociali all’interno di un progetto e di un’organizzazione politica. L’idea di ridurre tutto al melting – pot “centrodestra-centrosinistra” omologati e privi d’identità che non fosse quella del partito personale (sulla base del quale “chiamare alle armi” il proprio elettorato ogni volta sul referendum riguardante una persona) è stata micidiale, assolutamente micidiale;
- l’incapacità di realizzare un livello di governo, centrale e periferico, attraverso un articolato sistema di alleanza politico – sociali proprio per l’assenza dei relativi soggetti di riferimento (e di conseguenza un corretto funzionamento del rapporto maggioranza / opposizione) si è rivelato del tutto esiziale. I sistemi di alleanza (pensiamo all’Unione nel caso del centrosinistra) si sono rivelati semplicemente la base per spartizioni raffazzonate e senza alcuna volontà di espressione politica che non fosse quella della semplice suddivisione del potere.
A questo punto, nel vuoto che si è creato dopo di questo vero e proprio “fallimento sistemico”, è indispensabile riprendere il discorso sulla “democrazia consensuale”in una forma centripeta, di chiara distinzione e confronto tra le forze politiche (anche a livello europeo i guasti sono stati evidenti) .
Forze politiche che dovrebbero lavorare per un loro proprio recupero di identità comprendendo come l’Assemblea Costituente non avesse indicato a caso la centralità dei consessi elettivi all’interno della complicata costruzione della democrazia in Italia: centralità dei consessi elettivi che nel caso dei due rami del Parlamento deve significare centralità del loro ruolo legislativo ma soprattutto centralità della loro capacità di incarnare la “significanza politica” (un tema del tutto dimenticato).
E’ evidente che, a questo punto, l’unica via percorribile in materia di sistema elettorale è quella del proporzionale: come del resto ha già ribadito due volte la Corte Costituzionale.
Un sistema elettorale proporzionale unica via per ricostruire un grado sufficiente di credibilità e di appoggio consensuale a un sistema democratico fondato su di una seria articolazione delle soggettività politiche.
Soggettività politiche richiamate, come si diceva all’inizio, a rappresentare le contraddizioni sociali e non le ambizioni particolari di singoli o di gruppi di cordate formatesi attraverso il localismo e il familismo, in una pericolosa commistione di ambizioni personali, tentazioni plebiscitarie, imposizioni verticistiche destinate inevitabilmente a cozzare contro una società ormai organizzata orizzontalmente.
FRANCO ASTENGO
28 marzo 2017
foto tratta da Pixabay