Dallo scostamento di bilancio allo scostamento sociale

Quasi nulla va nella direzione in cui dovrebbe andare: ossia quella di un inquadramento dell’attuale crisi economica e sociale, dovuta all’emergenza pandemica, in una riforma strutturale di ampio respiro...

Quasi nulla va nella direzione in cui dovrebbe andare: ossia quella di un inquadramento dell’attuale crisi economica e sociale, dovuta all’emergenza pandemica, in una riforma strutturale di ampio respiro con una ben precisa e definita linea di sostegno sociale, di intervento mirato nei confronti delle fasce più deboli della popolazione. Lo scostamento di bilancio che il governo si prepara a varare (ben 40 miliardi di euro), produrrà ulteriore debito pubblico, al momento ancora finanziato con i soldi provenienti della Banca Centrale Europea.

Nulla di rassicurante sotto il sole, perché dove posi l’occhio, dove leggi qualche cifra incoraggiante, ben che vada si tratta di finanziamenti concessi a grandi e medie imprese, mentre per arginare il dilagare della disoccupazione e della povertà crescente l’esecutivo di Draghi pensa già al futuro non rinnovo del blocco dei licenziamenti: il tutto per dinamicizzare l’economia padronale, per consentire al liberismo di ridefinirsi al meglio nello Stivale e recuperare quella possibilità di accrescere nuovi profitti grazie anzitutto alla destabilizzazione creata dal Covid-19.

Non si tratta di una analisi di parte o di partito, anche se vuole esserlo, ma semmai di una traduzione un po’ verace e fuori da tanti tecnici giri di parole che sono imposti nei linguaggi formali delle relazioni governative in merito proprio alle manovre economiche. E’ stato proprio il ministro dell’economia Franco a descrivere in parte una oggettiva concomitanza di fattori cui anche la politica italiana deve soggiacere (sviluppo pandemico, risposta vaccinale, interessi delle grandi Big Pharma) se vuole aderire senza scostamenti ideologico-politico-economici alla ristrutturazione capitalistica mondiale in atto.

Non è affatto vero che le scelte sono obbligate. Invece di impiegare 40 miliardi di euro per finanziare non quelle che impropriamente vengono definite “perdite“, bensì i mancati profitti dei padroni, abituati a livelli di sfruttamento della forza lavoro, ad una evasione fiscale e a scudamenti di capitali trasferiti all’estero per far fruttare ancora i loro grandi patrimoni, un governo veramente di unità nazionale avrebbe dovuto mettere al primo posto la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici, dei precari, dei settori sociali più colpiti dal biennio pandemico.

Per farlo, è chiaro, avrebbe dovuto non essere il governo attuale, guidato dal superbanchiere internazionale, sinonimo di capitalismo e liberismo a tutto tondo. Quindi non si è sciocchi e ingenui al punto da rimproverare a Draghi di non aver pensato ad una patrimoniale sulle grandi ricchezze, su una riforma del mercato del lavoro che iniziasse a pensare alla riduzione dell’orario a parità di salario, escludendo così un monte ore di cassa integrazione forzata anche in un contesto emergenziale come quello in cui viviamo.

Invece, il governo Draghi preferisce qualunque intervento escluda un prelievo di risorse dai capitali privati per trasferirli ad una distribuzione mirata in interventi pubblici. Non sia mai che i ricchi diano ai poveri, tanto meno quando si sentono doppiamente minacciati: dagli effetti non circoscrivibili del Covid-19, più potente di qualunque rivoluzione proletaria dei secoli scorsi e anche di un immaginario futuro prossimo, a quelli dell’esasperazione sociale che potrebbe destabilizzare ulteriormente il quadro sociale che è veramente ridotto all’essenziale.

Per cui, se non si può più prelevare niente dalle tasche dei lavoratori, che almeno li si possa licenziare liberamente! Confindustria è tornata a chiedere tutto ciò senza troppi infingimenti, con la chiarezza verbale di una crudezza che contraddistingue chi sa di avere il coltello ancora una volta dalla parte del manico.

Il dibattito che si sta aprendo in queste ore sul calendario delle cosiddette “riaperture“, sembra subire una accelerazione inversamente proporzionale all’arrivo e alla somministrazione dei vaccini. Lo esigono tanto le imprese quanto le categorie del commercio che vogliono dettare l’agenda delle tempistiche di diffusione del virus al virus stesso, provando ad oltrepassare i tanti ragionevoli scetticismi che il Comitato tecnico scientifico sull’iniziare da ora a programmare il “ritorno alla normalità“.

Il tutto mentre risulta evidente che il Paese non è affatto pronto a gestire un recupero di tante attività economiche che vivono grazie alla presenza di massa della popolazione: ristoranti, bar, bagni marini, alberghi, discoteche, stadi, attività sportive in generale. In ultimo, purtroppo, viene qualunque osservazione sul mondo della cultura, del cinema, dell’arte considerato secondario rispetto al primato dell’economia, del mercato e dello sviluppo (si fa per dire) di un nuovo assetto produttivo e sociale del “dopo-pandemia“.

Una visione miope – per usare un cauto eufemismo – che individua esclusivamente come motore della vita l’ingranaggio egoista e individualista del liberismo, mentre subordina ogni sovrastruttura concettuale e ogni disciplina di apprendimento alla morale capitalistica che mette in prima piano, come pilastro fondante del pubblico interesse proprio e soltanto l’interesse privato. Un paradosso da cui è difficile uscire, se non mettendo in discussione il punto di vista non solo del governo di Draghi ma di una descrizione narrativa di società che è imprenditoriale e che ambisce a rimanere il fulcro di una nuova egemonia culturale di massa.

L’imbuto antisociale, il cul-de-sac di un pauperismo dalla crescita esponenziale sono rinforzati dalla mancanza di una strategia rivendicativa operaia e del mondo del lavoro che diventi una reazione conseguente all’agitazione frenetica dei padroni nel reclamare la ripresa economica, la ripartenza delle attività produttive e la rimessa in moto del modello “normale” di vita. Le manifestazioni di protesta dei giorni scorsi, quando sono scevre dalle strumentalizzazioni sovraniste e dei neofascisti, non producono quel “contagio sociale” (espressione cara agli studi metodologici di espansione dei fenomeni singoli che divengono di massa fin dal tardo ‘800) che risulta lapalissiano, ad esempio, nei fenomeni migratori.

Qui entra in gioco la (presunta) dicotomia tra costrizione e volontà: è sempre l'”essere sociale” degli individui a spingerli a muoversi per determinare un cambiamento. Le migrazioni sono frutto per l’appunto di mutamenti epocali, di lungo corso anche, che spalmati nel tempo divengono oggettivi, visibili e non trascurabili nel momento in cui assumono una portata imponente e dirompente al tempo stesso. Fino a che il capitalismo riesce a governare le sue contraddizioni, lo fa cercando di tramutarle nel loro esatto opposto, stabilendo che invece di essere il punto di partenza di catastrofi sociali sono invece occasioni per nuove magnifiche sorti e progressive dell’intera umanità.

L’inganno secolare è anche inganno dei nostri giorni. A partire proprio dallo scostamento di bilancio che ci viene presentato come grande occasione di sviluppo del benessere comune, mentre si tratta dell’ennesimo salvataggio di un capitalismo italiano che non fa che rimanere miserrimo nel non mettersi minimamente in gioco, nel non rischiare proprio sul banco di prova del mercato continentale e mondiale, nell’affidarsi agli aiuti di Stato come è solito fare dagli albori della Repubblica.

Salari, diritti, cultura si fanno piccoli piccoli, stretti tra le costrizioni pandemiche e le “naturali” esigenze del mondo padronale/imprenditoriale. Ribellarsi a questa logica che impoverisce tasche e coscienze, che rende precarie le cure fondamentali, che vuole abituarci ad una didattica a distanza nel mondo della scuola in termini di rapporto tra costi e benefici (a tutto scapito di questi ultimi), che ridisegna la società del prossimo futuro solamente seguendo l’interesse privato, è compito di quella sinistra tutta da ricostruire. Sarebbe bene cominciare…

MARCO SFERINI

16 aprile 2021

foto: screenshot

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