Dal sangue di Lincoln alla crociata di Bush: regno dei cieli batte impero

Usa/Vaticano. Dal 1867 gli Stati uniti e lo Stato pontificio non ebbero più rappresentanze diplomatiche e nemmeno il fervente cattolico Jfk riuscì a scongelare la situazione. L'alleato naturale Giovanni Paolo II protestò vivacemente per la guerra in Iraq nel 2003 e l'attuale pontefice si oppone a tutto, dai bombardamenti in Siria al negazionismo sul climate change

Possono scrivere In god we trust su tutti i dollari che hanno (e ne hanno davvero molti), ma gli Stati uniti difficilmente la spunteranno mai contro il Vaticano. Ed è almeno singolare che un conflitto tra il paese più potente del mondo e quello più piccolo si concluda con Golia che riprende l’aereo verso Occidente mentre Davide fa l’esatto contrario di ciò che gli era stato ingiunto. Con una certa quale improntitudine, ogni tanto gli Usa pretendono la rappresentanza dell’altissimo, almeno di quello della Bibbia, ma senza troppo successo.

Sarà che il regno dei cieli e gli imperi hanno conflitto per duemila anni, ma il primo è ancora in circolazione – e quasi nessuno dei secondi. L’ultimo impero in ordine cronologico non mette quindi molta paura.
Papa Leone affrontò Attila in un mitico incontro nel 452 e fermò le orde imperiali degli Unni vicino a Mantova, Clemente VII scappò travestito da ortolano a trentamila lanzichenecchi dell’impero Sacro Romano e Germanico che misero a sacco Roma nel 1527, Pio IX si dichiarò prigioniero politico quando Lamarmora e i bersaglieri fecero breccia a Porta Pia nel 1870, infilandosi nella caduta dell’impero di Francia (il secondo)…Ne hanno viste (e combinate) parecchie, i pontefici. Ma sono ancora là, e l’ultimo che si chiedeva sotto i baffoni quante divisioni avesse il papa è stato piuttosto brutalizzato dalla storia.

E così sembra andare per gli Stati uniti, impero sui generis per definizione di un fortunato libro di Toni Negri, imperiale invece certamente nella pretesa di tracciare il proprio cammino e anche quelli altrui. Fin da George Washington.

Il generale con la dentiera di legno, primo presidente delle Tredici colonie fresche di indipendenza, avviò subito rapporti consolari con il capo di stato dei cattolici, che era Pio VI, giusto prima che quest’ultimo venisse arrestato ed esiliato a vita dalla Repubblica romana. Il motto Usa, allora, era il meno confessionale E pluribus unum ma dopo il ritorno dei papi a Roma tutto sembrò procedere bene.

Fino a quando l’attore e confederato John Wilkes Booth assassinò Abraham Lincoln. Tra i suoi complici c’era un fervente cattolico, John Surratt, che la Chiesa mise sotto protezione e fece espatriare in Italia, arruolandolo negli zuavi pontifici. Gli inquirenti arrestarono la madre: Mary Surratt fu impiccata meno di tre mesi dopo la morte di Lincoln, prima donna giustiziata dal governo federale. Nell’ondata anti-cattolica, il Congresso americano votò il taglio dei finanziamenti diplomatici per la Santa Sede.

Dal 1867, per quasi 120 anni, gli Stati uniti e lo Stato pontificio non ebbero più rappresentanze diplomatiche e quando ricominciarono lo Stato pontificio non esisteva più. Inviati personali, cene con la first lady e incontri a volontà, ma niente ambasciatori. Nemmeno un presidente cattolico, John Fitzgerald Kennedy, riuscì a scongelare la situazione – e del resto fece presto una brutta fine. Fino al 1984, e al vertice del Vaticano c’era un sacerdote polacco.

Nel frattempo, il laico E pluribus unum era stato sostituito dal tremendo In god we trust, già apparso su qualche moneta della zecca federale. Nel 1956 divenne il motto ufficiale del paese e invase il mondo a bordo dei dollari che sempre più diventavano la divisa di riferimento del pianeta.

Giovanni Paolo II sembrava un alleato naturale per gli Stati uniti di Reagan e contro il reganiano «Impero del male», l’Urss. Reagan nominò ambasciatore William Wilson, il Vaticano inviò a Washington l’arcivescovo Pio Laghi, fino ad allora nunzio apostolico in Argentina di Videla, quella della junta e dei 30mila desaparecidos: l’uomo perfetto.

Ma l’Urss presto sparì. E il papa che sconfisse il socialismo pareggiò a stento con il capitalismo, che era diventato il capitalismo reale di Milton Friedman, dei turbo-liberisti, del mercato sopra tutto. E gli Stati uniti si trovarono di nuovo a confliggere con il Vaticano. Wojtyla protestò vivacemente per la guerra in Iraq nel 2003, sottraendo almeno quel dio dall’esportazione a mano armata della democrazia che lanciò George W. Bush.

E dopo la lunga parentesi di Benedetto XVI, nel 2013 si arriva a Bergoglio, che nel 2015 già si oppone ai bombardamenti (di Obama) sulla Siria e va avanti così, sul climate change, sulla povertà e chi la produce, sulla Cina. Soprattutto, negli Usa si costituisce un poderoso fronte di vescovi che attaccano il papa e fanno lega con i fondamentalisti evangelici americani. È il brodo di coltura religioso di Donald Trump. Ma Francesco è ancora là. Trump tra qualche settimana chissà.

ROBERTO ZANINI

da il manifesto.it

Foto di Carlo Armanni da Pixabay

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