Dal sadismo (dis)umano alle guerre invisibili contro gli animali

Oggi non voglio scrivere della guerra, delle bombe, dell’imperialismo americano o russo, della NATO, dell’Europa, delle armi. Voglio però parlare comunque di violenza, di altrettanta violenza, della gratuità della...
Il pony brutalmente assassinato...

Oggi non voglio scrivere della guerra, delle bombe, dell’imperialismo americano o russo, della NATO, dell’Europa, delle armi. Voglio però parlare comunque di violenza, di altrettanta violenza, della gratuità della violenza che nasce, pure in questo caso, da un delirio di onnipotenza, dalla megalomania ridotte però ad una stupidità infima, reietta, forse pure congenita all’animale umano, cioè a noi!

Perché – ficchiamocelo bene in testa – siamo ANIMALI, nel senso più concreto possibile del termine, non nel senso dispregiativo che abbiamo dato e stiamo ancora dando a questo concetto.

Voglio parlarvi di un cavallino dal manto soffice, dalla criniera un po’ rossiccia, dallo sguardo dolce, un po’ timido, come solo gli animali non umani sanno fare, al pari dei cuccioli d’uomo. Non so quale nome noi animali umani avessimo dato a questo pony: so che mi ha ricordato subito la naturalezza con cui, da bambini, si saliva sui Pony di Ramon, un ex circense noto nella mia città per essersi qui trasferito e aver sfruttato le sue vecchie doti nel continuare ad utilizzare gli animali non umani per guadagnarsi da vivere.

Come Vitali in “Senza famiglia“. Solo che al posto della scimmietta e dei cani c’erano i pony. Ramon voleva bene a quei piccoli cavalli, li accudiva, li spazzolava, parlava loro spesso.

Si può dire che li abbia sfruttati nel senso più nobile e buono del termine (ammesso che esista una declinazione di questo tipo, benevolmente accettata un po’ da tutti). Per noi cuccioli d’uomo salire sui cavallini era una gioia: si faceva il giro dei giardini del Prolungamento a mare e pareva d’essere chissà su quale giostra. Ma vivente, che ti guardava, che si fermava a fare la cacca ogni tanto, che sbavava e si voltava come per guardare chi gli era stato messo in groppa.

A Palermo, pochi giorni fa, uno di questi animali non umani, uno di questi docili pony è stato legato ad una macchina e trascinato per chilometri. Lo hanno martirizzato, reso una maschera di sangue. L’hanno ritrovato gli animali umani che ancora respirava e non hanno potuto fare altro, per evitargli altre sofferenze, se non abbatterlo. Aveva dieci anni quel cavallino. La crudeltà di alcuni cosiddetti “esseri umani“, ossia noi animali umani, lo ha assassinato. Sì, assassinato. Non semplicemente “fatto morire“. Lo ha, anzi, brutalmente assassinato.

I nostri simili, quelli della nostra specie, quella con l’intelligenza più sviluppata rispetto alle altre, è capace di mettersi al servizio dell’orrore peggiore possibile: il sadismo. La voglia di veder soffrire un altro essere vivente, di vederlo contorcersi nel dolore e, per questo, provare soddisfazione, riderne e rallegrarsene.

Non c’è nessuna differenza tra questo tipo di gratuita cattiveria, di molesta aggressività e patologico desiderio di goderne appieno, e quella che muoveva grande parte dei criminali nazisti – sia “civili” sia militari – che imperversavano sulle loro vittime rendendole esanimi dopo dicibilissime torture (che devono poter essere dette, altrimenti si evita continuamente il problema dal punto di vista meramente psicologico).

Sono sempre gli esseri viventi più innocenti e deboli, gli indifesi, quelli che non possono sperare di sottrarsi alla cattura, alla vessazione e al ludibrio, che vengono bullizzati, terrorizzati e, nel peggiore dei casi, torturati fino alla morte. La violenza è endemica alla natura dell’animale? Sì, ne fa parte: tanto dell’animale umano (che siamo noi) quanto dell’animale non umano (che sono tutti gli altri animali. Repetita iuvant).

Ma nell’altalenarsi dei sentimenti, delle emozioni, tra antipatie e simpatie, tra avversioni ed empatie, tra odio e amore, tra disprezzo e apprezzamento, tutta la storia della cosiddetta “evoluzione umana” ha cercato di guardare agli aspetti positivi della specie, valorizzando comunque sempre di più il buono e il bello che c’è in noi, creando le condizioni affinché questo potesse emergere.

Non è questa, certamente, una delle finalità prime del potere, che corrompe, che degrada, che porta alla contrapposizione nel nome della superiorità che, a sua volta, è necessaria per garantirsi un posto al sole a discapito degli altri simili della nostra specie. Perché, una delle caratteristiche che uniscono passato remoto a passato recente e alla contingenza del presente, è proprio la lotta tutta interna agli animali umani nel farsi largo nel mondo, nel primeggiare per avere di più e avere di meglio.

L’umanità non è per sua natura “democratica“, ma assolutista, tirannica, egocentrica, prevaricatrice. Approfitta di tutto e tutti per elevarsi e farsi strada senza scrupoli alcuni.

Chi ha posto il problema, chi ha messo in discussione tutto questo è stato, fin dall’antichità, tacciato di utopismo, di follia, giustificando la prevalenza del lato oscuro disumano sulla luce umana di un animo aggrovigliato, contorto, che è sedotto dal potere perché ama i privilegi e fa di tutto per dare vita ad una struttura antisociale che perpetui tutto questo. Naturalmente, la lotta di classe che ne è venuta fuori, e che attraversa i secoli, è una specificità moderna di questo carattere antropologico degli animali umani.

Una volta creato il “sovraprodotto sociale“, avuto quel di più che non serviva per mantenerci in vita, avremmo dovuto istintivamente dividerlo con i nostri simili, smetterla di sfruttare gli altri esseri viventi e la natura e provare a vivere in armonia con ciò che ci circondava, animale o vegetale che fosse.

Invece abbiamo pensato – altrettanto istintivamente? O per calcolo… – di utilizzare quel “di più” e farne un’arma di sopravvivenza ulteriore. Dallo scambio, dal baratto, si è passati alla nascita dell’economia e all’introduzione di una roba tanto fittizia quanto, per questo, tremendamente importante: il denaro. Abbiamo dato un valore ad ogni altro essere vivente e ad ogni altro elemento naturale vivente. Lo abbiamo dato persino alle pietre, valutandone la rarità, la difficoltà nell’averle, nel tirarle fuori dal sottosuolo.

Abbiamo dato un nome a tutto e tutti. L’antropomorfizzazione del mondo è divenuta l’assoluto: nulla sfugge all’essere disumano. Nulla sfugge all’animale umano. Tutto è alla sua portata e sotto il suo dominio. Tranne gli eventi naturali che non riesce a controllare. Forse in tutto ciò c’è un riflesso psicologico, un riferimento ancestrale ad una voglia di autocontrollo che si sposta sul piano esterno e diviene una necessità impellente, ininterrottamente presente nelle nostre vite per dare un senso proprio alla nostra stessa esistenza.

Nel fare del mondo un mondo “umano” ci pare che questo pianeta sia davvero la nostra casa e non un condominio da dividere con altri. Forse, appunto, per dare un significato a quell’evoluzione complessa (e complicata) della materia universale che siamo noi animali umani, per sopravvivere alla sofferenza del nonsense della vita, siamo stati (in parte) costretti ad esprimerci con brutalità, con meschinità e cattiveria.

Ma, se ciò poteva valere nel primitivissimo tempo in cui dominavano la clava e gli animali non umani feroci (le “belve“, mentre noi siamo angioletti… soprattutto oggi con noi stessi e con i pony!), col passare dei secoli avrebbe dovuto lasciare il posto ad una organizzazione sociale dove non il dominio dell’essere disumano fosse considerato la regola, supportato dall’alibi della maggiore intelligenza, della capacità di discernimento tra giusto e ingiusto, tra bene e male (il che finisce per essere una clamorosa aggravante…), bensì il suo mettersi al servizio dell’interezza di Gaia, del “pianeta che vive“.

La nascita dell’economia ha creato i presupposti per la divisione di classe: il “surplus” ha determinato la scala gerarchica dell’umanità e l’ha separata in caste, aprendo nella storia del cammino disumano una pagina mai chiusa fatta di pregiudizi, di preconcetti, di differenziazioni fondate non su quella “utilità comune” cui si arriverà solamente nel 1789 con la Rivoluzione francese, ma sull’utilità di una parte rispetto al tutto.

La fine orribile del piccolo pony, sfracellato contro l’asfalto, reso cadavere dal sadismo nostro, che ci abita tutti e che in molti di noi – grazie a certe condizioni che siamo riusciti a creare nel corso dei millenni – è tenuto a bada da una serie di limitazioni e filtri che informano la nostra coscienza in base all’essere sociale che siamo diventati, c’entra con tutto questo. Anche se non sembra.

Perché la storia dell’oggi non conosce una soluzione di continuità con quella di ieri e perché tutto quello che facciamo quotidianamente ha – non fosse altro per la cosiddetta “teoria dell’effetto farfalla” – conseguenze immediate e di lungo termine.

Lo so: l’immagine del pony scarnificato dall’attrito contro l’asfalto vi ha fatto stare male. Vuol dire che si può fare ancora conto su qualcosa di buono che in ognuno di noi c’è. Facciamone tesoro. Lo dobbiamo ad ogni animale non umano e anche umano che soffre. Perché l’olocausto animale non ha fine e le guerre sono tante, davvero troppe e non tutte sono così orribilmente visibili come quella in Ucraina…

MARCO SFERINI

5 aprile 2022

foto: screenshot

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