“Italia Viva” (spero si scriva così, non me ne voglia il senatore Renzi se ho sbagliato la maiuscola nella seconda parola che compone il nome del suo nuovo partito) non appartiene nemmeno più a quella endemia (non solo) italiana, ricorrente e incorrente in un sistema di redistribuzione dei poteri della e nella Repubblica, rappresentata dal personalismo esasperato della politica del Bel Paese nato e cresciuto dai tempi del craxismo.
“Italia Viva” è semmai un prodotto di un riassestamento di un lungo periodo fatto di quel “maggioritario” che noi comunisti abbiamo sempre criticato aspramente, avversato e combattuto perché vedevamo bene quanto fosse deleterio tanto nei rapporti meramente democratici (nel letterale senso di “struttura del potere popolare per delega“) quanto in quelli tra i poteri dello Stato.
Gli allora ancora compagni del Partito Democratico della Sinistra (PDS), nato dalle ceneri del PCI, ci irridevano e sostenevano che soltanto con la trasformazione della legge elettorale da proporzionale a fortemente maggioritaria (il “Mattarellum”) si sarebbe potuta dare all’Italia una nuova stagione di stabilità politica e di governabilità del Paese.
Il risultato è stato la trasformazione del Parlamento composto da 15 forze politiche, diciamo “storiche” nella storia repubblicana, a 43 partiti: una moltiplicazione consentita dalla formazione di tante personalizzazioni – per l’appunto – di una politica che dal suo svilupparsi su precise connotazioni ideologiche ha finito per consumarsi su altrettanto precise figure individuali.
La degenerazione individualistica, il neorampantismo forgiato dalla stagione berlusconiana, l’inserimento nei simboli dei partiti dei nomi a tutto campo di questo o quel leader non ha risparmiato nessun ambito, nessuna parte: da destra a sinistra, dal centrodestra al centrosinistra la gara per imporsi come candidato Presidente del Consiglio con una sorta di delega popolare derivante dai voti di lista, è stata una forma di pedissequo adeguamento al modello americano.
Infatti la nascita di partiti come il Popolo delle Libertà da un lato (tradizione socialista-craxiana, democristiani di destra e liberali e liberisti uniti ai post-fascisti di AN) e del Partito Democratico dall’altro (tradizione socialdemocratica e tradizione cattolica sociale unite nel nome dello stile a stelle e strisce della democrazia…) ha provato a polarizzare i leaderismi: immarcescibile quello di Berlusconi sul fronte delle destre, legato al culto delle primarie quello delle presunte sinistre rappresentate dal PD e dai suoi alleati.
Oggi, “Italia Viva” di Renzi invece nasce percorrendo questa strada al contrario: il Satana comune da sconfiggere aiuta anche certi rinvigorimenti di riappropriazione del ruolo di “capo politico” di questo o quel partito o movimento.
Dalla stagione del “maggioritario” si passa a quella di una rinvigorita platea di sostenitori del “proporzionale” seppur con sbarramento. Il che significa che si tratterà di una ricerca di consenso che proverà comunque a far confluire sulle forze politiche più grandi il voto degli italiani, escludendo magari platee anche importanti di voto: ad esempio quelle che non raggiungeranno il 4% dei consensi.
Ciò vuol dire, in determinate condizioni di partecipazione popolare alla delega parlamentare, che potrebbero restare fuori dal Parlamento forze politiche capaci di raccogliere anche più di un milione di voti (tanti ne prese ad esempio Liberi e Uguali il 4 marzo 2018, riuscendo ad entrare in Parlamento scavalcando l’asticella che si trovava al 3%. Se questa si fosse trovata di un punto in percentuale maggiore, nemmeno LeU avrebbe avuto dei seggi pur ottenendo 1.114.799 consensi nelle schede elettorali per la Camera dei Deputati).
Gli elementi di rilievo che emergono dalla scissione renziana dal PD sono essenzialmente due: diventare un tertium datur che condizioni l’azione di governo, creando quindi i presupposti del tutto concreti per essere quella ulteriore gamba di appoggio che crei difficoltà tanto al PD quanto ai Cinquestelle, pur promettendo assoluta fedeltà a Giuseppe Conte; in secondo luogo, aprire un varco al centro per provare a gestire una complicata fase di riposizionamento di tanti malcontenti che portano il nome di Calenda, Carfagna, Richetti e che sono oggettivamente lontani al momento dal pensarsi e dall’essere pensati come qualcosa di riconducibile ad un unicum, ad un contenitore politico che li rappresenti e che loro stessi possano rappresentare.
Per il resto, la scissione di Matteo Renzi non è certo un fulmine a ciel sereno: è stata più preannunciata questa operazione politica, definita “machiavellica” dallo stesso ex sindaco di Firenze, della torsione autolesionista di Salvini che ha fatto cadere il governo Conte ad agosto.
Oggettivamente l’abilità di Renzi nel costruirsi un nuovo scenario politico favorevole, mantenendo una rappresentanza parlamentare, aspirando ad un recupero di forze provenienti tanto dal PD quanto da altri quadranti della politica peninsulare, è ricca di tattica ed anche molto dinamica nello sfuggire alle tante trappole che avrebbero voluto “far giocare” i suoi avversari.
Al PD non resta che sperare di recuperare consensi provando a caricaturarsi come forza che, abbandonata dal fardello centrista di “Italia Viva”, è tornata ad essere pienamente definibile “di sinistra“. Magari moderata e un po’ liberale (anche se sempre liberista), ma posizionata, quanto meno, a sinistra della nuova forza politica renziana.
La geopolitica italiana è in movimento. Soltanto nella parte comunista e dell’alternativa non si muove nulla. Ecco, questa sì che è una vera e propria endemia. Dobbiamo rimboccarci le maniche e rimettere mano alla costruzione di un nuovo movimento anticapitalista che contrasti da sinistra le destre e il Satana comune, non alleandosi con il PD e con i Cinquestelle.
Così si perde l’anima e… si sa, il diavolo se la compra sempre volentieri.
MARCO SFERINI
18 settembre 2019
foto tratta da Wikipedia