Roma, 21 gennaio 2017. Una straordinaria partecipazione di attivisti, cittadini e comitati giunti da tutta Italia per l’assemblea nazionale dei Comitati per il No.
1 La Costituzione è risorta!
Il risultato straordinario del referendum del 4 dicembre segna una svolta nella storia del nostro Paese. Con questo referendum il popolo italiano ha compiuto un nuovo importantissimo atto costituente. Precedenti a questo furono: il primo, l’insurrezione popolare del 25 aprile 1945; il secondo (duplice), la scelta della Repubblica e l’elezione dell’Assemblea Costituente il 2 e 3 giugno 1946 con una partecipazione elettorale dell’89,08%; il terzo, la bocciatura della riforma costituzionale imposta dal governo Berlusconi, il 25 e 26 giugno 2006, che fece registrare una partecipazione elettorale del 52,46% e un risultato finale di 15.791.293 voti a favore del NO (pari al 61,32% dei votanti) e 9.962.348 a favore del SI (pari al 38,68%)
Questa volta vi è stata un’affluenza alle urne in Italia del 68,48% (la percentuale cala al 65,47% considerando il voto estero) e la riforma Renzi-Boschi è stata spazzata via con un risultato finale di 19.419.507 voti a favore del NO (pari al 59,1% dei votanti) e 13.432.208 a favore del SI (pari al 40,9%) .
Dopo trent’anni di attacco alle regole della democrazia costituzionale da parte dei vertici del ceto politico, a cominciare dal famigerato messaggio che Cossiga inviò alle Camere il 26 giugno del 1991, dopo innumerevoli riforme che hanno sfigurato il modello di democrazia prefigurato dai Costituenti, dopo l’avvento di leggi elettorali che hanno allontanato sempre di più i cittadini dal Palazzo, dopo il fallimento nel 2006 del tentativo del governo Berlusconi di cambiare la forma di Governo e la forma di Stato, dopo una martellante campagna mediatica sviluppata senza risparmio di mezzi, il responso del popolo italiano è stato netto e definitivo: la Costituzione, nella sua impostazione fondamentale, non si tocca.
Il progetto di sostituire il cuore dell’ordinamento democratico per ridimensionare il ruolo del Parlamento e mortificare le autonomie è stato cancellato. Con esso cade anche il sistema elettorale messo in piedi per la nuova Costituzione Renzi/Boschi. L’italicum esce sconfitto dal voto popolare perché, se restano in piedi due Camere elettive, non si può avere una legge elettorale che regola l’elezione di una sola Camera. Con un solo voto sono stati cancellati due orrori.
Il popolo italiano si è espresso ed ha riaffermato il principio primo sul quale si fonda l’ordinamento democratico: la sovranità appartiene al popolo.
Si è trattato di una scelta altrettanto impegnativa quanto lo fu la scelta compiuta dal popolo italiano il 2 giugno del 1946 con il referendum istituzionale.
Ora come allora si è trattato di decidere quale modello di istituzioni, quale modello di democrazia deve assumere il nostro Paese. Nel 1946 dire addio alla Monarchia per la Repubblica acquistava – al di là delle contingenze politiche – un significato storico ben preciso: i cittadini italiani si emancipavano dalla qualità di sudditi ed il popolo diventava esso stesso “sovrano”, arbitro del proprio destino.
Dopo settant’anni, nel 2016, il popolo, riconfermando la validità del modello di democrazia promesso dalla Costituzione, ha impedito la trasformazione – già in atto – della Repubblica in una sorta di principato, sottoposto al protettorato dei poteri finanziari internazionali che avevano dettato la riforma al governo Renzi, manifestando la loro avversione per le Costituzioni antifasciste del dopoguerra.
Non si è trattato semplicemente di un atto di resistenza allo sconquasso della Costituzione, ma di un atto fondativo. Attraverso questo voto la Costituzione è risorta, ha recuperato quella legittimazione che le classi dirigenti nel nostro Paese da troppo tempo cercavano di svilire. Questo voto sconfessa decenni di politica volta a restringere la democrazia rappresentativa nel nostro Paese e a creare esecutivi “forti” nei confronti dei cittadini e “deboli” nei confronti dei “mercati”. Lancia una sfida a riscoprire ed illuminare di nuovo la Costituzione come mai fatto finora.
Per raggiungere questo risultato migliaia di cittadini italiani si sono messi in movimento spontaneamente ed hanno battuto tutte le piazze, percorso tutte le strade, prodotto e distribuito volantini e manifesti, organizzato eventi di vario genere, prodotto testimonianza video, cortometraggi, percorso le piazze virtuali creando comunicazione dal basso, in modo così diffuso da raggiungere e superare lo share dei grandi mezzi di comunicazione di massa, orientati in modo quasi totalitario a favore della riforma. Un esercito di formiche si è messo in moto, ciascuno recando un chicco di grano, tutti insieme per sfornare il pane della democrazia.
Non v’è dubbio che nell’esito del voto ha pesato il disagio sociale, la sofferenza dei disoccupati, dei precari, la difficoltà di intravedere un futuro per i giovani, la delusione degli insegnanti per la mortificazione della scuola pubblica, ma proprio per questo ha un grande significato la scelta di riconfermare il valore della Costituzione.
Vuol dire che il popolo italiano non ha perso la speranza che la giustizia sociale, la dignità del lavoro, la tutela della salute e dell’ambiente possano trovare inveramento, anzi questo voto, proprio per il suo contenuto anche di protesta, esige che beni pubblici repubblicani promessi dalla Costituzione risorgano a nuova vita.
2. La preparazione di questo risultato: il lavoro del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale e la nascita dei due Comitati.
A questo risultato non siamo giunti per caso. Dietro c’è stata una lunga preparazione che è iniziata contemporaneamente al percorso parlamentare della riforma elettorale sfociata nell’Italicum e della riforma costituzionale. Vediamo brevemente le tappe di questo percorso.
Il 24 febbraio 2015 si è costituito a Roma il Coordinamento per la Democrazia costituzionale su iniziativa di numerose associazioni attive nella società civile, personalità della cultura, esponenti sindacali e politici, con l’obiettivo di “ difendere e valorizzare i principi della democrazia della nostra Costituzione nata dalla Resistenza, operando per attivare l’opinione pubblica, largamente inconsapevole del significato e dei contenuti del processo di riforme istituzionali in atto, e per promuovere un dibattito politico che consenta la partecipazione di tutti i cittadini e faccia avanzare la consapevolezza della posta in gioco per gli anni futuri”.
Il Coordinamento non aveva una sede, non aveva fondi e l’unica struttura organizzativa era costituita dal sito (www.coordinamentodemocraziacostituzionale.net), e da una mailing list. Il 24 aprile il Coordinamento ha lanciato una petizione sulla piattaforma di change.org (arrestare l’Italicum) che nel giro di due settimane ha raccolto 12.800 adesioni. Il 4 maggio, giorno dell’approvazione finale dell’italicum, la petizione con le firme è stata consegnata alla Presidente della Camera dei Deputati e l’unico segnale di dissenso è stato il sit a Montecitorio in promosso dal Coordinamento. Nell’assemblea convocata dal Coordinamento il 15 giugno 2015 è stata impostata la strategia di attacco all’italicum e sono state prese due decisioni fondamentali:
– è stato creato un gruppo di lavoro, coordinato da Felice Besostri, con l’obiettivo di avviare le azioni giudiziarie da promuovere nei vari distretti di Corte d’appello per contestare la legittimità costituzionale dell’italicum;
– è stato deciso di presentare due richieste di referendum per smantellare i capisaldi dell’italicum: capilista bloccati e premio di maggioranza e ballottaggio.
Il gruppo di lavoro coordinato da Besostri è riuscito a mobilitare e coinvolgere circa 200 avvocati ed ha presentato 22 ricorsi anti-italikum, col risultato che cinque tribunali hanno sollevato questione di costituzionalità, a cominciare da Messina, Tribunale che si è pronunciato per primo accogliendo il ricorso presentato dall’avv. Palumbo. Successivamente si sono aggiunti i Tribunali di Torino, Perugia, Trieste e Genova. Tutte queste ordinanze sono state riunite e saranno discusse dalla Corte Costituzionale il 24 gennaio. Se oggi l’italicum è sub iudice, con la concreta possibilità che venga demolito dalla Consulta, ciò non è accaduto per caso, ma è stato frutto di un impegno politico collettivo promosso dal Coordinamento.
Le due richieste dei referendum abrogativi per l’italicum sono state presentate in Cassazione il 10 dicembre 2015 sulla base dei quesiti elaborati da Massimo Villone. Il 14 dicembre è stato formalmente costituito il “Comitato per il Si nei due referendum abrogativi relativi alla legge 6 maggio 2015 n. 52”, con Presidente Massimo Villone, Vice Presidenti Alfiero Grandi e Silvia Manderino. Nel frattempo il 29 ottobre 2015 è stato costituito il “Comitato per il No nel referendum sulle modifiche della Costituzione”, con Presidente Alessandro Pace e vicepresidenti Alfiero Grandi e Anna Falcone. Il primo dicembre 2015 il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale ha diramato un appello con invito alla costituzione di Comitati locali con l’obiettivo dichiarato di “creare, in tempi brevissimi, una struttura organizzativa che ci permetta di essere presenti capillarmente in tutta Italia e che possa successivamente adempiere, su delega dei rispettivi Comitati nazionali, alle formalità necessarie sia per la raccolta firme (referendum abrogativo sull’italicum), che per la campagna sul referendum costituzionale”.
L’11 gennaio del 2016, lo stesso giorno in cui veniva completata alla Camera la prima lettura della riforma costituzionale nel testo definitivo, il Comitato per il No faceva la sua prima uscita pubblica, organizzando un convegno (la Costituzione 1° bene comune) nell’Auletta dei gruppi parlamentari della Camera, nel quale gli esponenti più autorevoli della cultura giuridica democratica hanno lanciato un grido d’allarme, criticando seriamente nel merito la riforma e preannunciando gli argomenti per la futura campagna referendaria. Nell’occasione si registrava l’appassionato intervento del Presidente dell’ANPI, Carlo Smuraglia, che preannunziava l’importante adesione dell’ANPI ai due Comitati ed alle relative campagne politiche
Il 30 gennaio si svolgeva presso un’aula della sapienza a Roma una Assemblea nazionale con la partecipazione dei vari gruppi ed associazioni aderenti al CDC e dei primi comitati locali che assumeva la decisione di far partire la campagna di raccolta di firme sui due referendum abrogativi dell’Italicum a partire dal mese di aprile.
3. La campagna di raccolta delle firme per i tre referendum
Il 17 febbraio venivano diramate le linee guida per la costituzione dei Comitati locali, che sostanzialmente indicavano un metodo: “La costituzione del Comitato locale deve avvenire con una procedura aperta e trasparente, collettiva ed inclusiva, rivolgendosi a cittadini e invitando esplicitamente, se presenti sul territorio, le organizzazioni che hanno aderito o hanno avuto una relazione con il CDC nazionale: ANPI, ARCI, LIBERA, comitati per la difesa della Costituzione (Rete e Dossetti), forze sociali (a partire dai Sindacati) e politiche che, con noi, si dichiarano impegnate nelle battaglie referendarie.”
Nel mese di marzo, con la collaborazione del Fatto quotidiano abbiamo lanciato una petizione sulla piattaforma change.org (Referendum costituzionale. Firma per le ragioni del No e per bloccare l’Italicum) che ha ottenuto 191.896 sostenitori. Il successo di questa petizione ci ha consentito di avere una estesa platea di opinione pubblica a cui indirizzare messaggi mediante gli aggiornamenti, ciò è stato determinante per l’autofinanziamento.
Il 18 marzo si svolgeva alla Camera un incontro nazionale (Una primavera per la democrazia) in cui veniva definitivamente confermato il lancio della campagna referendaria.
In questo periodo è stato necessario operare una svolta organizzativa, creare una minima struttura di servizio per mantenere in vita i contatti con i comitati locali, fornire le istruzioni gli strumenti operativi indispensabili (stampare le schede, i manifesti, i volantini ed inviarli ai destinatari).
Questo enorme lavoro organizzativo, senza una sede e senza personale, è gravato sulle spalle di una sola persona, Mauro Beschi, con la collaborazione tecnica instancabile di Sacha Tolomeo, a cui, in seguito, si sono aggiunte Romina Velchi, Virginia Tosti e Maria Elena Leggieri.
La legge Boschi/Renzi di revisione della Costituzione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale di venerdi 15 aprile, lunedi 18 aprile un gruppo di cittadini per conto del Comitato per il No ha depositato in Cassazione la richiesta di referendum ex art. 138 Cost.
E’ stato, pertanto, necessario preparare gli strumenti per la raccolta delle firme anche per il referendum costituzionale, che si è sovrapposta alla raccolta già in corso per l’Italicum.
Questo ha creato delle complicazioni anche per la compresenza di altri 10 richieste di referendum sui temi sociali.
La campagna di raccolta delle firme si è avviata lentamente, incontrando ostacoli e resistenze burocratiche un po’ dappertutto, e quando ha superato il periodo di rodaggio il tempo ormai era scaduto. Il 3 luglio il Comitato contro l’Italicum ha annunciato che la raccolta delle firme si è arrestata sulla soglia delle 400.000 firme. Il 13 luglio il Comitato per il No ha annunciato che la raccolta delle firme si è arrestata a quota 316.000.
Il 16 luglio si è riunita a Roma l’assemblea dei comitati territoriali. Nel documento conclusivo abbiamo osservato: “Quelli che si sono riuniti non sono i resti di un esercito sconfitto o alla sbando, al contrario i tre mesi di campagna referendaria hanno rappresentato per tutti un’esperienza di crescita, di rafforzamento e di allargamento dei consensi. E’ indicativo il fatto che siamo partiti quattro mesi fa con 150 comitati territoriali nei quali agivano alcune centinaia di volontari e siamo arrivati alla fine della campagna avendo messo in piedi quasi 400 Comitati territoriali che hanno mobilitato migliaia di volontari. Si è costruita così una comunità di donne e di uomini che, animati soltanto dalla passione civile, hanno creato le premesse per riversare nella campagna per il Referendum costituzionale una forza d’urto che non ci sarebbe stata senza l’esperienza di questi mesi.”
4. La campagna elettorale per il referendum costituzionale.
Soltanto nel corso dell’estate, grazie al successo della sottoscrizione è stato possibile completare uno staff dedito alla comunicazione ed alla segreteria, con l’ingresso di Gherardo Liguori, Monica, Pepe ed Alberto Campailla, il cui lavoro ci ha consentito, con la collaborazione degli studenti e dei comitati locali, di avere un netto predominio nel web. In particolare la nostra pagina FB ha avuto 160.000 mi piace, 1.500.000 persone hanno interagito con la nostra pagina FB ed in totale 15.000.000 di persone hanno visto i contenuti della pagina. Alla fine della campagna siamo arrivati con 685 Comitati costituiti in Italia e 35 all’estero. Le iniziative pubbliche organizzate sui territori e comunicate al Comitato nazionale superano le 2.000, ma in realtà sono state almeno il doppio perché solo una parte delle iniziative sono state comunicate ed inserite nel nostro data base.
Questo significa che diverse migliaia di persone si sono mobilitate, in tutt’Italia ed all’estero, si sono autoconvocate utilizzando il nostro logo e gli strumenti che il Comitato ha messo a disposizione di tutti (manifesti, volantini, gadgets, etc). Si è creato un vasto movimento di cittadini che si sono resi protagonisti e sono intervenuti nello spazio pubblico per riportare nel palazzo da cui erano stati scacciati i valori della democrazia costituzionale. In questo contesto ci sono stati apporti di generosità e di creatività veramente notevoli. Mi riferisco in particolare ai disegnatori italiani che hanno creato centinaia di vignette bellissime e le hanno messe gratuitamente a disposizione della campagna per il No.
Nel risultato del 4 dicembre ci sono stati apporti diversi che non possiamo ignorare, però il nucleo duro della resistenza popolare alla deformazione della Costituzione è venuto da qui, dall’azione dei cittadini che si sono riuniti ed auto-organizzati sulla base dell’allarme lanciato dai nostri Comitati.
5. Quali prospettive ci attendono: sciogliere l’esercito o restare in campo?
La campagna elettorale per il referendum costituzionale ha testimoniato la nascita di un movimento di cittadini che non è assimilabile ad un partito, non ha gerarchie e non richiede disciplina di partito. Questo movimento si è strutturato con le caratteristiche di una rete, una rete di comitati territoriali, indipendenti ed autonomi, nella quale il centro, costituito dai Comitati nazionali, svolge essenzialmente una funzione di servizio e di collegamento.
La domanda che ci dobbiamo porre in quest’assemblea è questa: adesso che la guerra è finita, che l’obiettivo che ha unificato il nostro pluralismo e ci ha convocato come cittadini è stato raggiunto, dobbiamo sciogliere l’esercito o dobbiamo restare in campo?
Le risposte che ci giungono dai territori sono univoche, i documenti del Veneto, della Toscana, dell’Emilia, dell’Abbruzzo, della Sicilia, ci chiedono di non smobilitare e di proseguire quest’esperienza.
In realtà ci sono almeno due ragioni per restare in campo.
La prima è che la lotta per la democrazia non si esaurisce, è una costante storica. La democrazia è perennemente in pericolo nel nostro paese, anche per derive internazionali, ed ha bisogno di essere sostenuta, rinnovata, reinterpretata, rilanciata e custodita.
La seconda ragione è che la guerra non è finita!
Abbiamo vinto la battaglia per salvare la Costituzione dalla deforma ma non abbiamo ancora vinto la battaglia contro l’italicum, che in questi giorni affronta uno snodo decisivo. Il 24 gennaio la Corte costituzionale dovrà emettere il verdetto sull’Italicum. Noi ci auguriamo che tutte le nostre tesi vengano accolte e la legge venga interamente demolita. E’ evidente, però, che dopo l’intervento della Corte, sarà pur sempre necessario l’intervento del Parlamento per rendere omogeneo il sistema elettorale delle due Camere. Il 12 gennaio, il Comitato ha lanciato un appello per una riforma elettorale coerente con la Costituzione. Il Parlamento ha scritto l’italicum sotto dettatura del Governo, adesso dobbiamo batterci perché riscriva la legge elettorale sotto dettatura della Costituzione. Non è compito nostro indicare questo o quel modello elettorale. Più sistemi elettorali astrattamente possono essere compatibili con i principi costituzionali ed i diritti politici dei cittadini (per es. il sistema tedesco o il modello Senato vigente prima del Mattarellum). Però come movimento di cittadini, impugnando la Costituzione, dobbiamo pretendere che il sistema elettorale ripristini la rappresentanza, garantisca l’eguaglianza dei cittadini nell’esercizio del diritto di voto, restituisca ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti, riconduca i partiti alla loro funzione costituzionale di canali di collegamento fra la società e le istituzioni, piuttosto che di strutture di potere autoreferenziali. Adesso che le Province non sono state abolite dobbiamo batterci perché sia restituito ai cittadini italiani il diritto di eleggere i propri rappresentanti nei Consigli Provinciali. In altre parole dobbiamo batterci perché sia ripristinata l’agibilità politica delle istituzioni democratiche ed i cittadini ritornino ad essere protagonisti del voto ed artefici, con il concorso dei partiti, delle rappresentanze parlamentari, come richiede il principio fondante della Costituzione che stabilisce che la sovranità appartiene al popolo.
6. I terreni su cui sviluppare la nostra iniziativa politica: legge elettorale e referendum sociali, iniziative varie.
Occorre premettere che, una volta che, attraverso la campagna per il referendum si è creata una ripresa della partecipazione popolare, dopo anni di avvilimento e di fuga dalla politica, sarebbe un fatto positivo se questa nuova dinamica di partecipazione trovasse uno sbocco politico, alimentando, rinnovando o modificando i soggetti politici esistenti o creandone dei nuovi.
Noi non possiamo che guardare con favore a tutte le forme di rinnovamento della politica, però l’azione dei due Comitati è legata ad una missione che è intrinsecamente politica, perché attiene alla lotta per la democrazia costituzionale, ma si arresta al di sotto della soglia che è propria dei soggetti politici organizzati. Per questo il nostro programma di iniziativa politica non può andare al di là dei temi ordinamentali, che costituiscono la ragione d’essere dei due Comitati, sui quali siamo riusciti a costruire una convergenza fra culture e soggetti politici diversi, che vanno dai liberali, al centro-sinistra, alla sinistra. Per questo non possiamo occuparci della NATO, del terrorismo dell’immigrazione, delle politiche sociali, etc., non perché non siano importanti, ma perché non ci competono come rete dei Comitati per la Costituzione. Dobbiamo necessariamente restare sul terreno dell’iniziativa politico/istituzionale e sviluppare quelle azioni sulle quali ci sia la massima concordia da parte di tutti, ferma restando l’esigenza di un osservatorio permanente, non solo per la difesa, ma per la coerente applicazione e attuazione della Costituzione, con l’impegno esplicito di valutare la legislazione, passata e in fieri, con il metro della Costituzione, e di promuovere azioni di critica e mobilitazione nel caso che dalla Costituzione – di nuovo – ci si allontani.
Il primo terreno sul quale dobbiamo muoverci, per le ragioni che abbiamo visto, è quello della mobilitazione per una legge elettorale coerente con la Costituzione. La proposta che vi sottopongo è questa: Preparare una petizione sulla falsariga del documento del 12 gennaio (con un testo molto più asciutto), tenendo conto di quello che la Corte Costituzionale deciderà nei prossimi giorni. Quindi lanciare questa petizione, con la collaborazione di giornali amici (quali potrebbero essere il Fatto e/o il Manifesto) e promuovere una campagna di adesioni on line. Durante il tempo della raccolta delle firme, organizzare volantinaggi, dibattiti, convegni, incontri con i parlamentari locali, per discutere i temi della riforma elettorale e promuovere la raccolta delle firme. Quindi presentare alla Camera o al Senato la petizione con le firme raccolte e sviluppare per quanto possibile un’azione di pressione/dialogo con il Parlamento per ottenere una legge elettorale adeguata.
Il secondo terreno sul quale potremmo trovarci d’accordo è quello del sostegno ai referendum sociali promossi dalla CGIL. A questo fine, però, è preliminare un confronto con la CGIL per verificare le modalità di una partecipazione dei comitati territoriali alla campagna elettorale. In questa materia vi chiediamo di esprimere un orientamento di massima, nel caso la proposta sia condivisa avvieremo il confronto con la CGIL. Ugualmente occorre mantenere aperto il confronto con il movimento degli insegnanti che si battono contro la decostituzionalizzazione della scuola.
Inoltre, l’esperienza che abbiamo vissuto nell’anno appena trascorso ci ha fatto comprendere quanto sia necessario impegnarsi per modificare le leggi che regolano la raccolta delle firme per referendum e leggi di iniziativa popolare, al fine di renderla più semplice e meno costosa.
7. Come ristrutturare i due Comitati e la rete territoriale.
Da una comune iniziativa unitaria denominata Coordinamento per la Democrazia costituzionale sono stati promossi e formalmente costituiti due Comitati, il “Comitato per il No nel referendum sulle modifiche della Costituzione” ed il “Comitato per il Si nei due referendum abrogativi relativi alla legge 6 maggio 2015 n. 52”. Il nome chiarisce la missione specifica alla quale era legata la nascita di ciascun Comitato, due Comitati diversi per ragioni di soggettività giuridica, ma animati dalle stesse persone in vista di uno scopo comune. Adesso che la missione principale del primo Comitato si è compiuta e quella del secondo si è trasformata, adesso che si è costituita una rete territoriale di oltre 700 comitati locali, è evidente che dobbiamo pensare ad una riorganizzazione di questa struttura; riorganizzazione da fare con la dovuta prudenza per non disperdere il patrimonio di esperienze e di autorevolezza conquistato sul campo. In prospettiva, una volta approvata la legge elettorale, bisognerà andare alla costituzione di un unico Comitato per la Costituzione, attraverso la fusione dei due Comitati oggi esistenti. In questo processo di riorganizzazione si deve accrescere il coinvolgimento dei comitati locali. La proposta è che i Comitati locali indichino una o due persone per Regione da includere nel Direttivo del nuovo Comitato.
Anche su questo è importante che si pronunzi l’Assemblea di oggi.
DOMENICO GALLO
Roma, 21 gennaio 2017