Quando il Fondo Monetario Internazionale lancia un allarme povertà dovremmo essere tutte e tutti preoccupati. Doppiamente preoccupati perché la massima organizzazione di gestione del capitalismo mondiale ha la situazione chiara, ha dati certi, sa analizzare scientificamente ogni elemento strutturale economico del pianeta e, quindi, ha certamente anche già pronte delle “soluzioni” che cerchino di evitare un eccessivo imbarbarimento della situazione e, quindi il ricorso a qualche riforma di struttura in singoli paesi e in continenti come l’Europa sarà ben presto portato nuovamente avanti dai governi che obbediscono al FMI.
Quindi una doppia preoccupazione: per la povertà crescente in modo esponenziale (e, diciamo così…, non è che ci servisse l’allarme del FMI per accorgerci del pauperismo dilagante…) e per le ricette economiche che i padroni e i grandi della finanza stanno sicuramente mettendo in campo al fine di contenere le rivolte popolari che ne potrebbero scaturire.
La povertà, quindi la mancanza pressoché totale di mezzi di sussistenza, è ancora un terreno su cui nasce e rinasce la coscienza di classe, in cui un povero sente, per l’appunto, di essere tale e acquisisce consapevolezza del suo miserevole stato e quindi, forse, due domandine in più se le pone e rischia di diventare non più convertibile al pensiero unico del mercato.
Rischia, il povero, il proletario moderno, di accorgersi che le magnifiche sorti e progressive del capitalismo, la furia del consumismo moderno, sono una vera e propria illusione.
Se poi, come recita il FMI, sono proprio i giovani in Europa a patire maggiormente questi rigurgiti di impoverimento prodotti dai flussi economici delle grandi concentrazioni capitalistiche di profitti, allora il rischio è ancora maggiore: bisogna provare a dimostrare che questo sistema è in grado di gestire le sue crisi e che riesce, nel bene e nel male, nella imperfezione caratteristica dell’umano, ad essere per l’appunto umano, adatto all’umanità intera.
Ma siccome il capitale è una “la contraddizione” per antonomasia, anche questa volta il grande divario che si stabilisce tra poveri e ricchi è tale da impedire che la favoletta degli sfruttatori possa passare come spiegazione razionalmente degna di una qualche morale sociale e civile.
La concentrazione dei profitti in sempre maggiore aumento ma in sempre meno mani al mondo è così enorme da mostrare i suoi riflessi condizionati anche in Europa, soprattutto, appunto nell’ambito delle giovani generazioni. Un ragazzo su quattro nel Vecchio Continente è a rischio povertà: se un tempo infatti erano gli anziani che avevano superato i 65 anni ad essere i primi minacciati dall’indigenza strutturale, oggi lo sono di più proprio coloro che hanno un’età compresa tra i 16 e i 34 anni.
Un dato drammatico per cui il FMI, come accennato all’inizio, ha già la ricetta se non magica, almeno pronta a rassicurare la classe padronale: “è essenziale facilitare la loro integrazione nel mercato del lavoro” e per farlo chiedono più sgravi fiscali per le imprese accompagnate da alcune misure che potrebbero assomigliare ad un olivettiana compensazione dello sfruttamento con una rete di servizi di assistenza atti a perpetuare la forza lavoro in condizioni di sostenibilità (se non proprio di vera vivibilità), ma che in realtà sono ben altro rispetto a diritti acquisiti.
Utilità di sistema, così si potrebbe definire queste concessioni para-sociali. Utili, appunto, solo nel preciso momento di una attualità che vede larghissima parte dell’esercito di riserva del capitale entrare in una crisi profonda per quanto riguarda proprio il minimo dei minimi stili di vita.
La causa del problema vorrebbe essere anche la soluzione di sé stessa. E’ per l’appunto una contraddizione che il sistema capitalistico non potrà mai sanare e che, quindi, va osservata, capita e fatta base di una coscienza degli sfruttati di questa modernità senza benessere per la stragrande maggioranza di milioni e milioni di persone che hanno qualcuno a cui prestano il loro lavoro precario.
Su questa contraddizione possiamo sempre ricostruire un movimento comunista che torni ad essere protagonista delle lotte, sganciandosi dai miti novecenteschi e diventando un moderno punto di contatto per tutte e tutti coloro che assumono la consapevolezza dello sfruttamento proprio in virtù della dilagante povertà che non è “naturale“, “normale“. Ma è solo il frutto della più grande ingiustizia: il profitto protetto dal potere che a sua volta ne è figlio.
In questo senso, ridare Potere al Popolo! iniziando con un voto il 4 marzo prossimo è un inizio promettente: se non altro perché fino ad ora, in questi pochi mesi di gestazione, il progetto nasce e cresce proprio sulle gambe e sulle menti di una larga fetta di quei giovani che il FMI classifica come i nuovi poveri.
Dalla ricchezza che nasce dal profitto non viene mai niente di buono per la società: dalla povertà che viene dallo sfruttamento può venire fuori una novità politica e sociale di grande impatto. Sta a noi costruirla, mantenerla, rafforzarla.
MARCO SFERINI
24 gennaio 2018
foto tratta da Pixabay