Ieri a Roma e a Milano, per l’ennesimo sabato, l’estrema minoranza rumorosa dei negazionisti del Covid, dei no vax in generale e dei no Green pass è scesa in piazza per reclamare il proprio diritto alla “resistenza” contro la “dittatura sanitaria“, contro la mancanza di libertà che vi sarebbe nel Paese dopo la progressiva estensione del certificato verde rafforzato agli ultra cinquantenni.
La stragrande maggioranza della popolazione si fida della scienza, una parte critica giustamente le brevettazioni dei vaccini che, invece, dovrebbero essere patrimonio comune, libero da qualunque speculazione profittevole di mercato, ma tutti quanti hanno ben chiaro che una pandemia non è un complotto neoliberista di un capitalismo manipolatore delle coscienze. Repetita iuvant (forse…): non c’era bisogno di inventarsi un virus per gestire la complessità economico-finanziaria di questi tempi, per allargare le piattaforme concorrenziali e ridisegnare la geopolitica mondiale.
Dall’avvento del moderno liberismo, nella forma più o meno come ancora oggi ci appare, quindi quella dell’estromissione sempre maggiore dell’intervento pubblico dello Stato nelle faccende economiche nazionali e transnazionali, il sistema padronale non ha avuto bisogno di creare crisi ed emergenze di questa portata per riequilibrarsi e riconsiderare le sfere di influenza tra poli continentali e centrali di controllo della grande finanza.
La pandemia ha, semmai, in un primo tempo spiazzato il capitale e lo ha costretto a ripensarsi proprio in virtù di una indomabilità del Covid-19, visto che il patogeno non risponde alle regole della lotta di classe, ma semmai a quelle del parassitismo: essendo un virus sopravvive soltanto grazie alla convivenze forzata cui obbliga il suo ospite.
Invece di vedere nella pandemia, al di là di qualunque tentazione cinica, una occasione per rilanciare una domanda sociale degna di nota, rivendicazioni salariali, la diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario e lo sviluppo di moderne garanzie sulla sicurezza nelle fabbriche e nei cantieri, si è preferito accettare la narrazione tossica delle fantasie di complotto, la spiegazione falsa, quindi semplicisticamente banale e adattabile a qualunque timore albergasse in noi, per dare un senso ad un evento epocale che all’inizio volevamo confinare in uno spazio circoscritto (la lontana Cina) e in un tempo ristretto (i lunghi, ma pur sempre pochi mesi di chiusura totale).
Ci siamo accorti ben presto che la pandemia era sia complicata da risolvere sia complessa da disarticolare. Il gioco di coloro che avevano ed hanno tutto l’interesse nel distrarci dalla concretezza dei problemi e dei bisogni sociali, dal ritorno di un movimento del lavoro che chiedesse a gran voce un ridimensionamento delle pretese del mercato e del padronato, quel gioco è stato proprio il farci credere che vi fosse una strategia occulta, di cui alla fine si sapeva praticamente tutto (deep state, grafene, nanotecnologie, 5G, controllo a distanza attraverso fantascientifici laboratori… eccetera, eccetera…) ma che veniva comunque valutata come il programma di un “nuovo ordine mondiale” che puntava al “grande reset“, alla diminuzione drastica della popolazione.
Poco importava se il Covid colpiva anche i magnati della finanza, i grandi padroni dell’industria, gli imprenditori di mezzo mondo. Il complotto esisteva e andava denunciato. Per mesi e mesi in ogni paese europeo, ed in tante altre parti del pianeta, le manifestazioni negazioniste si sono susseguite con parole d’ordine trite e ritrite: un rosario di autoconvinzione da sgranare chicco dopo chicco, per sentirsi uniti nella lotta contro la tirannia di Conte prima e di Draghi poi.
Chi un giorno scriverà la storia di questi anni pandemici, dovrà stare molto attento a non banalizzare nulla, a non cadere nel tranello di considerare i no vax alla stregua esclusivamente di assimilatori e portatori a loro volta di una cattiva informazione (che pure esiste e fa proseliti), oppure di caricaturizzarli come eccentrici, strambi, come una bislacca minoranza di esaltati privi di una coscienza, di una capacità di discernimento.
Una parte di loro è obnubilata fanaticamente da quello che essa stessa si è raccontata per mesi, dopo le prime iniezioni di fantasie complottiste piuttosto di quelle salutari del vaccino. Un’altra parte si dice estranea ad una critica preconcetta verso i prodotti della scienza, ma assolutamente contraria alle normative messe in essere dal governo per arginare la diffusione della pandemia e per spingere i refrattari ad inocularsi. Un’altra parte ancora è quella più sensibile ad una paura che diventa l’asse portante di una incertezza che preferisce non rischiare, che si unisce alle proteste di piazza per sentirsi meno isolata socialmente e anche idealmente.
Persone intelligenti, capaci di discutere con tutti i crismi di una razionalità riconoscibile, tutt’oggi preferiscono sostenere l’antiscientismo, l’antivaccinismo e le teorie del complotto mondiale piuttosto che sviluppare una moderna critica antiliberista proprio a partire dalla necessità di una lotta contro la privatizzazione del sapere, della medicina, contro la naturale mercificazione delle cure che il capitalismo include nel suo riproporsi come regolatore dalla vita (e della magrissima sopravvivenza) di tutte e tutti su questo pianeta.
La minoranza rumorosa dei no vax, almeno quella di coloro che non vogliono ascoltare nessun approccio dubitativo, ormai è arrivata ad un punto di non ritorno.
Mettere in discussione ciò che si è sostenuto per due anni sulle mascherine, per un anno sui vaccini e per mesi e mesi sul Green pass, vorrebbe dire mettersi in discussione da capo a piedi e demolire ciò che si è voluti diventare per arginare il fronte di tante – anche giustificate – paure a cui si è data la risposta più sbagliata, quella che proprio il sistema voleva che si dessero le fasce più deboli e fragili della popolazione per evitare che si saldassero gli interessi sociali e che dalla pandemia venisse fuori una ritrovata voglia di uguaglianza e di giustizia di classe.
Senatori e deputati, europarlamentari e leader di partito che salgono sui palchi negazionisti per spronare ancora di più in questa direzione, provano a spingere queste masse verso un consenso interessato che si manifesti in un voto alle loro formazioni sovraniste, antieuropeiste e, in alcuni casi, apertamente neofasciste e autoritarie.
Personaggi dello sport, dello spettacolo, della televisione e della cultura che vi si affiancano, diventano degli “spingitori del complottismo” a buon mercato: a loro modo, sono dei “cattivi maestri” che la sparano grossa, purtroppo dal pulpito di una buona fede che è davvero incredibile per certi versi e che, quindi, diventa di per sé stessa dogmatica tanto quanto la fede che si può avere in un dio tramite la mediazione di una chiesa.
E’ il tentativo di dare un’aura di legittimità persino scientifica, oltre che morale e civile, ad un insieme di stramberie che sopravvivono soltanto grazie alla credulità indotta, alla seduzione di menti logorate da anni e anni di frustrazione antisociale, di dimagrimento dei diritti e di lontananza della Repubblica dai cittadini.
Ai bei tempi (siate indulgenti, è solo ironia…) in cui la satira in televisione la si faceva a tutto spiano, nonostante le censure berlusconiane e gli editti bulgari, Corrado Guzzanti faceva raccontare a Vulvia su “Rieducational Channel” la storia dell’origine degli “mbuti” o la vita della lucertola e, tra una battuta e un’altra, comparivano gli “spingitori di cavalieri” medievali, assimilabili a tutti quei servitori cortesi che avevano sostenuto l’ascesa di Berlusconi fino a Palazzo Chigi. Una, due volte. Per non finire più, fino ai giorni nostri e ai dibattiti estenuanti sul Quirinale.
Siamo passati dagli spingitori di cavalieri guzzantiani agli spingitori di complottismi del bi-triennio pandemico. Nel primo caso è un eterno ritorno, una nemesi storica che è sempre attuale, mentre nel secondo caso non è nemmeno satira, ma una ben triste realtà del degrado culturale, sociale e civile di un Paese allo stremo delle forze.
MARCO SFERINI
16 gennaio 2022
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