Da Verona al Brunei, un’altra morale umana è possibile

Il sultano del Brunei ha 64 anni, pare sia, anzi lo è proprio, uno degli uomini più ricchi del pianeta. Ma tra ricchezza materiale e ricchezza di umanità possono...

Il sultano del Brunei ha 64 anni, pare sia, anzi lo è proprio, uno degli uomini più ricchi del pianeta. Ma tra ricchezza materiale e ricchezza di umanità possono passare le larghezze e le pienezze d’acqua di due e più oceani.

Questo regnante, il cui nome completo fa invidia alle sequele di patronimici russi degli zar o ai tanti titoli delle maestà imperiali inglesi e prussiane, s’è piccato in questi giorni di applicare nel suo minuscolo Stato la versione più intransigente della Legge islamica (la “Shari’a”) in materia di ladrocini e omosessualità.

I temi, va da sé (almeno si spera), non sono correlati se non per aver avuto in sorte l’attenzione del Hassanal Bolkiah: a chi ruba spetta il taglio della mano (un rito non certo nuovo in Oriente e nemmeno nel mondo intero…) e a chi commette atti sessuali con persone dello stesso sesso spetta la lapidazione.

Qualche buon cristiano di giornata dirà che Gesù aveva rimproverato gli israeliti che volevano seguire la Legge di Mosè e aveva detto, giustamente, loro che solo chi fosse stato senza peccato avrebbe potuto scagliare la pietra contro l’adultera e quindi ergersi a giudice di una donna considerata peccatrice.

Dunque, qualche buon laico non cristiano di giornata come me, alla ricerca spasmodicamente consapevole del suo costante insuccesso in tema di oggettività di una presenza “divina” nella realtà (chiamiamola così…) sensibile, senziente e materiale (visibile e invisibile che sia), potrebbe dire che in fondo il concetto espresso da Cristo è estendibile a qualunque altro “peccatore”.

E’ proprio il caso di dire: sacrosanto, senza cadere in alcun sacrilegio. Poi però viene fuori l’anima più laica ancora dell’agnostico che è in me e che mi fa dire che, in quanto uomo a cui piacciono gli uomini, perché mai dovrei tacciarmi dello stigma di “peccatore” ed estendere la già dura Legge di Mosè anche a me stesso?

Di leggi religiose che condannano l’omosessualità come un grave affronto alla morale imposta da dio sono piene non le fosse ma le pagine di libri, testi definiti “sacri” e scritti sempre e solo da esseri umani che, a ben vedere, così sacri non sono…

Di catechismi e dottrine che fanno elenchi di esseri viventi che cadono nel “peccato” attraverso sempre comportamenti di origine sessuale o concernenti l’espressione più spontanea del “piacere” son piene anche le fosse.

Perché queste attenzioni alla conservazione di una moralità su cui si basa un potere sono essenziali e necessarie davanti alla minaccia di quel risveglio delle coscienze che, dall’Illuminismo in avanti, ha prodotto moti di ribellione inneggianti all’unica morale civile possibile: la coscienza umana.

Laddove per “coscienza umana” deve intendersi il riconoscimento di sé stessi come esseri uguali ad altri esseri di una unica specie che ha una origine biologica nel mondo animale e nella complessità della materia che si è evoluta fino a produrre la sua più alta espressione esistente: la autoconsapevolezza della propria essenza ed esistenza e la capacità di giudizio e discernimento tra bene e male, rozzamente definiti tali ma declinabili come tendenza alla conservazione della specie e tendenza ad evitare ciò che ci minacci espressamente.

Poi la storia del cammino umano si è fatta complessa tanto quanto la coscienza umana: il potere è diventato una costante nella vita sociale e alcuni esseri umani hanno pensato che era più comodo far lavorare altri rispetto a sé stessi, quindi sfruttare mente e braccia altrui e servirsene per creare in terra un paradiso che le religioni hanno sempre e solo promesso in una vita ultraterrena provando ad anestetizzare la voglia di emancipazione delle masse nel corso dei secoli.

Ne deriva il concetto marxiano di “religione” come “opium des volkes“, droga, sostanza necessaria per rendere meno infelice la sopravvivenza creata dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e ammantarla di prebende ideali legate al “timor di dio”, alla reverenza ininterrompibile del microbico essere vivente sulla terra (e che la terra pretende di dominare insieme alla sua natura).

Di qui la protezione millenaria del potere di re, imperatori, sovrani di ogni tipo, papi, cavalieri di ordini teutonici, maltesi, ex crociati recanti reliquie sante da terre redente da invasori e iconoclasti di altre religioni, proprio tramite la credulità popolare, così facile da manipolare grazie alla intrinseca natura umana dedita all'”abitudinarietà” come elemento di certezza dell’essere nel giusto perché si è nella “maggioranza”, quindi si rientra nella piena funzione “sociale” dell’essere umano che non è fatto per essere lasciato solo, distaccato dal resto del gruppo, quindi “in minoranza”.

Le minoranze, invece che essere valorizzate per le differenze che ci offrono in ogni ambito di vita, sono sempre state ghettizzate, anatemizzate e condannate come “devianza” dalla giustezza disposta dal criterio maggioritario derivante dal “comune sentire” di un popolo.

Accade, dunque, che mentre a Verona si tiene un convegno familistico tutto improntato sulla sicumera attribuita ad una morale esclusivamente cattolica, comunque non laica, dunque religiosa, intrisa con tratti di maschilismo, omofobia e condanna di qualunque altro costume di vita singola o comune, il Sultano del Brunei, da tutt’altra parte del mondo, si faccia prendere dall’ispirazione divina e proclami come punizione per l’amore tra due donne o due uomini la morte. Nel nome di dio, si intende.

Il Sultano ha avuto tre mogli e dodici figli; secondo la rivista “Forbes” ha un patrimonio di 22 miliardi di dollari; ama le auto sportive.

La legge islamica applicata con vigore terrà gli abitanti del Brunei nel più rigoroso “timor di dio”: chi beve rischia la fustigazione; chi commette adulterio (così come chi fa l’amore con persone del suo stesso sesso) è punito con il lancio delle pietre.

Il potere è assicurato, tanto in Europa quanto in Asia: per fortuna qui almeno non siamo ancora in un sultanato simile, anche se rischiamo di avvicinarci molto alla morale della punizione, anche corporale, quando si parla di sessualità e di piacere fisico.

La mutilazione o l’inibizione di un istinto non sono forse entrambe violenze? Per evitare stupri e casi di pedofilia non serve la “castrazione chimica” ma semmai un cammino psichiatrico dopo aver assicurato le vittime ad una necessaria protezione da parte delle istituzioni ma, soprattutto, da parte delle persone che ci sono care (siano esse familiari o amici) e i rei alla giustizia.

C’è già così tanta sofferenza ogni giorno nel mondo… non solo noi persone di sinistra dovremmo avere questa “morale”, ma dovrebbero averla tutti coloro che si definiscono cristiani e, quindi, umani: non aggiungere dolore a dolore, sofferenza a sofferenza. Ma lavorare, ciascuno nel proprio quotidiano, per eliminare anche soltanto un pezzetto di condanna, di recriminazione, di voglia di nuocere, far male per avere soddisfazione, appagarsi del proprio dolore attraverso la comminazione di dolore ad altri.

Dunque, nonostante il convegno di Verona e il Sultano del Brunei, la civiltà è possibile, l’umanità è fondabile. Basta dare un valore alle proprie coscienze. Un valore di ribellione permanente, di dubbio costante, di rivendicazione dei diritti civili e sociali uniti in una indissolubile avanzata verso una società capovolta.

MARCO SFERINI

29 marzo 2019

foto tratta da Pixabay

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