Da Kiev a Washington, andata e ritorno della finzione democratica

L’amico dell’americano e l’amico americano si stringono la mano. Il viaggio oltreoceano, il primo al di là della guerra, da quando la guerra è cominciata, consegna al mondo l’immagine...

L’amico dell’americano e l’amico americano si stringono la mano. Il viaggio oltreoceano, il primo al di là della guerra, da quando la guerra è cominciata, consegna al mondo l’immagine iconica di un presidente ucraino che può lasciare quel teatro di orrore, quel campo di battaglia tra due imperialismi che si fronteggiano: perché, anzitutto, il fronte politico interno, quello del governo di Kiev, è stabilizzato.

Per quanto i giornali e le televisioni del nostro occidente si spellino le mani nell’applaudire la democrazia che sta da questa parte, nonché, nemmeno a dirlo, quella che sta in Ucraina, le tracce di un ridimensionamento delle voci critiche sono qualcosa di più di un semplice indizio. Se di là, ad est, c’è il satana comune, di qua non c’è l’esercito degli angeli celesti.

Lo stato di guerra a volte è un alibi per zittire quelle opposizioni che non si sono mai potute far tacere prima. E lo si vede nel momento in cui si approfitta della situazione grave che incombe, attribuendo ad ogni movimento, partito o associazione politica che dissente dall’esecutivo un intendo eversivo a priori che, essenzialmente, ha le sue radici in una specie di antipatriottismo che induce al sospetto del tradimento aprioristico.

Nel marzo e nell’aprile scorsi, le agenzie di stampa battevano la notizia che Volodymyr Zelens’kyj aveva dato corso ad un decreto approvato dal Consiglio nazionale per la sicurezza e la difesa dell’Ucraina (praticamente la denominazione assunta dal governo di Kiev in tempo di guerra) che sospendeva le attività delle seguenti forze politiche: Opposition Platform-For life, Party of Shariy, Socialist Party of Ukraine, Nashi, Progressive Socialist Party of Ukraine, Opposition Bloc, Union of Leftists, Socialists, Derzhava, Left Opposition Party e Volodymyr Saldo Bloc.

Come si può evincere dai nomi dei partiti, si trattava di quasi tutte forze di sinistra, alcune con simpatie moscovite, altre apertamente critiche invece tanto verso Putin quanto verso gli alleati occidental-atlantici dell’Ucraina e del governo Zelens’kyj.

Nonostante ciò, i governi occidentali hanno continuato a considerare una democrazia il paese aggredito dal Cremlino, senza muovere delle liberalissime obiezioni sul fatto che, se proprio ci si vuole distinguere da chi ti sta puntando addosso cannoni e missili per conquistarti, non dovresti imitarne la repressione politica, la limitazione delle garanzie costituzionali, la standardizzazione delle opinioni che, a quel punto, devono tutte uniformarsi al clima di guerra, nel nome della lotta comune contro l’aggressore.

Ma, siccome le contraddizioni di questa fatta sono piuttosto comuni anche all’interno dell’Unione Europea (basta osservare i mutamenti avvenuti in Polonia e in Ungheria in materia di rapporti tra i poteri statali, l’inter-indipendenza reciproca e il trattamento riservato ai diritti sociali e civili…), il simile non può rimproverare all’altro che gli è tale un comportamento istituzionalmente, politicamente e moralmente sleale (per usare un pacato eufemismo) mentre nel suo stesso giardino si coltivano le stesse male piante.

L’economia europea si sta risviluppando sulla scorta di una rinascita neo-atlantista, su un ruolo preponderante dell’imperialismo americano targato internazionalmente NATO, a cui la sciagurata guerra di Putin ha dato una occasione di rivincita nel tentare di frenarne l’espansione verso est.

Contrariamente a quello che si può ritenere, a questa ricrescita della ricchezza per pochi in Europa non corrisponde una crescita uguale in termini di autonomia politica dalla grande Repubblica stellata.

La politica estera dei singoli paesi della UE, compresa quell’Ucraina che tanto aspira a farne parte, entrando prima di tutto nel cerchio magico dell’Alleanza atlantica, è un insieme di debolezze, di decomposizioni che sono state fino ad oggi sottoposte alle relazioni economiche internazionali: la riconnessione diretta con gli Stati Uniti d’America ha comportato uno spostamento del baricentro dell’attenzione dei governi dal fronte asiatico, dalla nuova “via della seta“, all’antico sguardo oltreoceano.

Il progetto franco-tedesco di modellamento dell’Unione sull’asse di sviluppo Parigi-Berlino, concordato per evitare una nuova guerra economica intestina al Vecchio Continente, ha dovuto prendere atto dello scombussolamento generato dalla guerra portata da Putin contro Kiev.

Se di destabilizzazione globale si può, in questo senso, parlare, è bene farlo tenendo presente che a farne le spese sono stati nell’ordine: il popolo ucraino e, immediatamente dopo, la precaria condizione politica delle relazioni interne alla UE, prima di tutto sul terreno prettamente economico e finanziario.

L’imposizione delle sanzioni alla Russia ha avuto conseguenze di non poco conto anche verso i paesi che le hanno imposte. E’ un dato ormai innegabile e che, infatti, nessun analista osa contestare. La Francia macroniana, quella che Jean-Luc Mélenchon chiama sarcasticamente “la Macronie“, ha adeguato il suo intervento strutturale sulle controriforme antisociali interne ad un quadro europeo più ampio, per fronteggiare liberisticamente le conseguenze del prolungarsi del conflitto.

Le relazioni tra Parigi e il resto dell’Europa sono andate ben oltre i classici rapporti istituzionali tra i ventisette dell’Unione. All’inizio dello scorso ottobre è stata la riunione della “Comunità politica europea” (CPE) a segnare un punto di svolta in questo frangente: quaranta paesi vi hanno preso parte, compresi la Turchia e il Regno Unito, quelli caucasici e quelli balcanici ancora fuori della UE.

Lo scopo dichiarato dal Presidente francese è proprio quello di affiancare alla diplomazia di Bruxelles una “intimità strategica” che sia vista come maggiormente imparziale tra le parti in causa.

Volodymyr Zelens’kyj oggi tempesta molto meno l’Unione Europea di dichiarazioni e appelli al riarmo pesante. L’evidenza dimostra che sono gli Stati Uniti ad aver ripreso in mano lo scettro di una politica internazionale che si contrappone alla Russia putiniana e che, tramite la guerra in Ucraina, gioca il nuovo assetto del mondo cercando di spostarlo a proprio esclusivo favore.

Il ruolo della “democrazia” impropriamente detta, rappresentata dagli Stati in guerra diretta o per procura, è ancora una volta quello della sovrastruttura che risponde al richiamo strutturale di una ridefinizione dei contorni economici e finanziari: la destabilizzazione che in questi anni il colosso cinese ha portato avanti, sbilanciando così il capitalismo globale verso l’asse euro-asiatico (molto poco euro e tanto asiatico…), ha rimesso in discussione il primato di una politica che mai è stata per davvero autonoma dal potere degli scambi borsistici.

La guerra in Ucraina è, e purtroppo rimane, l’utile strumento con cui, sulla pelle delle popolazioni, si gioca la partita mondiale della riconfigurazione di un multipolarismo imperialista che, oggi, sul riarmo globale punta molte delle sue carte, arricchendo così le grandi industrie di armamenti: un missile PATRIOT, uno dei tanti che saranno dati proprio in queste settimane da Washington a Kiev per un innalzamento del livello di “difesa” del territorio ucraino, costa tre milioni di euro…

Le belle narrazioni dei governi europei e di quello americano sulla difesa della civiltà, della democrazia e dei valori di una umanità che viaggia verso lo sviluppo armonioso tra le genti di ogni dove, sono davvero ridicole se messe a confronto con le vere intenzioni che invece vengono portate avanti.

C’è, alla luce della visita di  Volodymyr Zelens’kyj alla Casa Bianca ed al Congresso americano, una ulteriore considerazione da mettere sul tavolo delle discussioni e delle analisi: l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea (e nella NATO) sposterebbe oggettivamente l’asse politico della UE verso una totale fedeltà a Washington, rendendo così ancora più debole la posizione (anche francese e tedesca) di mantenere una certa autonomia decisionale da parte dell’Unione per sé stessa, tanto in politica internazionale quanto entro i confini dell’architettura economica che poggia su Bruxelles e Francoforte.

L’Europa che, ogni giorno, aggiunge un tratto di pennello al proprio quadro politico, civile, sociale ed economico, è sempre meno viva, sempre meno capace in quanto soggetto terzo, in quanto attore e non comprimario in una scena mondiale dove il gioco è a tre e non a quattro: Russia, Cina, USA.

Se esiste per davvero una sorta di “fronte delle democrazie” contro l’oligarchismo repressivo putiniano, contro tutte le dittature, ebbene fa molta fatica a distinguersi nella chiarezza di posizioni che mettano una chiara punteggiatura nel discorso che riguarda i diritti umani, quelli sociali e civili con l’aspetto economico che sovrasta ogni ambito e che determina le decisioni finali da prendere.

La contraddizione democratica è evidente nel momento in cui, non solo si esprime nella repressione delle opposizioni ucraine da parte del governo di Kiev, sbandierandola come difesa interna, come tutela rispetto a presunte quinte colonne in tempo di guerra; la contraddizione democratica si manifesta in tutta la sua chiarezza anche e soprattutto quando distingue tra i regimi non democratici.

La Russia non può che essere nemica dell’Occidente, per ovvie ragioni economico-politiche, mentre l’Arabia Saudita e il Qatar, dove non esiste un minimo rispetto dei diritti fondamentali di ogni essere umano, sono grandi amiconi. E che dire di Israele, della colonizzazione della Cisgiordania, della sistematica riduzione del popolo palestinese ad ospite delle terre che gli appartengono e che, da decenni e decenni, gli vengono strappate, mentre al mondo si mostrano i terribili razzi che dalla Striscia di Gaza vengono sparati sulle vicine città dello Stato ebraico?

Di quale democrazia intende parlare il nostro capitalistico, liberista e imperialista Occidente quando fa la morale alle dittature che non gli sono amiche, mentre vellica e titilla quelle che gli sono zerbinamente accoccolate ai piedi?

MARCO SFERINI

22 dicembre 2022

Foto di Markus Spiske

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