Cyrano de Bergerac

Possono convivere durezza e dolcezza, fermezza e accondiscendenza, rigore e imprecisione, bellezza interiore e pseudo bruttezza esteriore. Tipicità e anormalità pure; così come il dualismo può trovare il suo...

Possono convivere durezza e dolcezza, fermezza e accondiscendenza, rigore e imprecisione, bellezza interiore e pseudo bruttezza esteriore. Tipicità e anormalità pure; così come il dualismo può trovare il suo rifugio nell’animo sensibile di chi deve impugnare una spada per farsi largo tra i torti, per divincolarsi tra le amenità di un pressapochismo che, spesso e volentieri, finisce per degradarsi ulteriormente nella più vuota cattiveria umana.

Cyrano alla fine della licenza, tocca. Con la punta della sua spada, con la sottile penna che lo fa essere l’ombra del suo amore, il dietro le quinte di una teatralità dei sentimenti che non è commedia ma qualcusa di più nobile ed elevato: è quasi tragedia, senza però divenire farsa. Perché la purezza è il centro dell’opera più famosa di Edmond Rostand: “Cyrano de Bergerac” (Feltrinelli, 2014). Un capolavoro romantico che inebria per la sottile comunanza tra amicizia e amore.

Lo spadaccino – scrittore, l’abile maneggiatore della penna come della spada rimanda al vecchio detto che vale più la prima della seconda. Rossana, sua cugina, è il centro di una gravità permanente attorno a cui ruotano o, per meglio dire, scivolano dabbasso, per salire sempre più in alto nella straordinaria acutezza di una empatia che sovraintende tutto e tutti, i primordi di un cristallino dolce amore da cui si impara prima la sopravvivenza e poi la vita.

Il sublime sta nelle pieghe di una serie di accadimenti che non lasciano alcuno spazio all’interpretazione. Tutto è chiaro nella commedia tragica di Rostand: Cyrano ama Rossana. Così, semplicemente. E per questo il suo amore è quello per antonomasia, quello che è impossibile aggettivare, perché la pienezza del sentimento è tutta quanta espressa da una parola soltanto che lascia immaginare la ragazza e niente altro che la possa circondare, comprendere. Ognuno diventa sinonimo dell’altro ma, più delle convenzioni giornaliere, è il rispetto che si mette in mezzo.

Cyrano è cavallerescamente sincero nell’adempiere al suo destino: non tradire il proprio giuramento, non disattendere mai la consegna che si è dato. Amare Rossana vuol dire mettersi al servizio della sua felicità, anche se questa può non riguare lui che la venera e per la quale è, pertanto, disposto a tutto. Anche a celare i suoi sentimenti, così da non ferirla, da non metterla nella condizione di dover scegliere e, dunque, agitarsi nell’indecisione che è turbamento, sparizione del sorriso e delle belle parole che le sente pronunciare da innamorata di Cristiano.

Al pari del vero Cyrano, di Hercule Savinien che, per sentirsi ed essere un po’ nobile di forma si era attribuito come cognome blasonato il “de Bergerac“, rubandolo da quello della piccola tenuta di famiglia, il personaggio mutuato due secoli dopo conservava le caratteristiche tramandate del suo antesignano reale. Ardimentoso in battaglia, capace nell’eloquio, pungente e sferzante, diretto nelle sue opinioni, impossibilitato dalla propria coscienza a scendere a compromessi di qualunque tipo.

A precederlo sempre, come canta Guccini, è il suo naso che “di mezz’ora” lo precede e lo rende poco affascinante, se non palesemente brutto. Il suo contraltare è il cadetto di cui la cugina si innamora senza nemmeno mai averlo sentito parlare. Rostand fa dell’ambivalenza degli uguali e dei contrari un cardine della commedia tragica che riscuote da subito un successo enorme. Alla prima del 1897 si racconta che il presidente del consiglio della Repubblica francese, già al termine del primo atto, entusiasta gli appuntò sul petto la sua medaglia della Legion d’Onore.

Come Cyrano non resiste al suo amore candido e risoluto per Rossana, così lei non resiste alla bellezza di Cristiano. Ma, senza saperlo, lei ama soprattutto ciò che il giovane le manda in forma di rime e componimenti: sono tutte parole di Cyrano, che ha giurato alla fanciulla di proteggere il suo amato e che ora è divenuto amico di lui e lo vuole aiutare a farla felice. L’amore disinteressato è questo: sacrificare i propri sentimenti dal vissuto per vederli appagati – per quanto possibile – dalla visione della bellezza della gioia dell’amata.

Si intrecciano e si corroborano vicendevolmente amicizia, amore, bellezza, difformità e deformità. Ardore e pavidità comprendono tutto questo in una danza di emozioni che non smette di girare, ma turbina intorno ad una umanità dei personaggi che espone tutte le debolezze e le fragilità del rapportarsi reciprocamente, del confidarsi come del confessarsi apertamente l’uno all’altra, l’altra agli uni. E che, nel prospettare tutto questo però mette in evidenza anche la forza della virtù capace di redimere gli sbagli, di sorpassare gli errori con la gentilezza della buona fede.

Cyrano, Rossana e Cristiano formano un trittico in cui convivono equilibrandosi dei veri e propri opposti: così come nella natura umana, animale e in quella più latamente intesa si riscontrano debolezza e forza, dolcezza e rudezza, superficie aereamente vellutate e piani grezzi. La magnifica eloquenza dello spadaccino si scontra, alla fin della licenza, toccando la sua insicurezza dovuta all’evidente anomalia fisica. Quel naso che protende, che va oltre le misure ordinarie, che lascia indietro a sé il consueto, la maggioranza dei visi, la normalità comunemente intesa, quella protuberanza è un tallone d’Achille.

È l’immascherabile, l’inoccultabile, l’indivisibile da sé. Non si cela nulla in Cyrano, alla fine. Tutto emerge e viene a galla, perché, nell’avversità come nella finta pace che prova a regalarsi rendendo felice Rossana insieme a Cristiano, il tormento non trova quiete, pare indomito, scalpitante, trascinato da una spontanea, istintiva forza di un amore che non può sottacere di sé medesima. La lettura della tragedia di Rostand attualizza l’epica dell’antieroe, che non ricerca la gloria, ma che si batte per la giustizia, per la rettitudine e che non ammette corruzione alcuna.

Cyrano difende l’insieme dei valori più nobili: la parola data, la fedeltà, la verità, il bene di chi si ama prescindendo persino dal proprio amore e, dunque, dal proprio bene. Se c’è un contrario dell’egoismo, eccolo qui. Dare completamente sé stessi alla causa dell’altruismo ma, soprattutto, del sentimento più puro. Quel pensare incessantemente a lei e pensare, al contempo, a tutto quello che la può rendere felice. Non c’è altro che conti. Ed allora la poesia diviene strumento di condensazione dei sentimenti nelle parole che piovono sul foglio con il fluire della passione.

Le accompagna il currenti calamo di una facile scrittura dettata dalla capacità espressiva del rimaiolo che così può, in un certo senso, avvicinarsi all’amata: ogni frase, ogni stilla della sua penna messa su carta è parafrasi del suo sentimento, è protesi del suo starle accanto senza poterla avere così come può invece Cristiano. Che vince in quanto a bellezza, che non ha l’animo vuoto e che – se ne accorge lo spadaccino – meriterebbe davvero di poter avere una vita bella, lunga e felice con Rossana. Ma non sarà così.

La cattiveria umana e la malevola sorte si metteranno in mezzo, movimentando un amore che, altrimenti, per tanto candore avrebbe quasi stonato con le tante pieghe contraddittorie dell’esistenza e del mondo. Cyrano teme che, se confessasse i suoi sentimenti alla cugina, ella «…mi rida sul naso? No. È la sola cosa al mondo che mi mette paura». Niente altro sembra stare al pari in quanto forte preoccupazione se non questa. Essere dileggiato per quell’aspetto che, allora, gli farebbe scoprire una Rossana frivola che non vuole contemplare.

La bellezza esteriore della ragazza non può non corrispondere a quella interiore. L’incontro febbricitante che ha con lei prima che il mondo gli crolli addosso, sapendola innamorata di Cristiano, è la sublimazione di questo desiderio inesprimibile che è la quintessenza dell’ancestralità amorosa che abita e dimora nel profondo. Da cui non potrà venire fuori se non nell’estremo attimo finale di un vita passata a celarsi dietro parole fatte dire dal cadetto che non ha doti di eloquenza e nemmeno di raffinata poesia. Il nascosto è protagonista tanto quanto l’evidente. Cyrano spinge quasi l’inconsapevole rivale nelle braccia dell’amata.

Per lei. Ma poi giunge al punto di non ritorno di lasciarsi come sedurre da quell’amore contraccambiato. Le sue rime sono una parte dell’amore a tutto tondo che Rossana crede di provare per un uomo che declama versi altrui, che si fa convincere a fingere per perfezionare quel rapporto. Così, in Cristiano, ella ama l’uomo dal bellissimo aspetto e il cultore delle musicalità verbali che è, invece, Cyrano. Il nascosto, appunto, è costantemente protagonista della commedia che si alterna alla tragedia.

Se un insegnamento può essere tratto dal capolavoro di Rostand, tra i molti che vi si possono leggere singolarmente, c’è sicuramente un condiviso approccio all’esistenza che media tra incertezze e drammi da un lato unitamentae a spavalderia e voglia di superarsi dall’altro. Ma questo superamento non è incentrato su un punto di egoistico principio, di riguardo esclusivamente per sé medesimi. Semmai si può parlare e scrivere, come fa Cyrano, per mitigare la solitudine, per lenire la sofferenza.

Non si cerca la vana gloria, la vanità in quanto caleidoscopico fenomeno multilivello che va dall’ammirazione del proprio insieme talentuoso alla prepotente ostentazione delle virtù soltanto, celando qualunque piccolo o grande difetto. Quest’ultimo in Cyrano è palese: il suo naso. Troppo lungo per poter rientrare in quella casistica asfittica della normalità che ottunde le menti, sequestra i cuori e reprime anche il più insignificante senso della differenza come pluralità, ricchezza, specialità oggettivamente naturale.

Tutto quello che si ritrova in natura lo è. Nulla escluso. Cyrano lotta con la penna, con la spada contro ogni ingiustizia, contro ogni malefatta. Diventa un suggeritore di parole e di azioni e si aliena nell’altro, in Cristiano, da amante nemmeno respinto, perché non osa, non prova, non riesce a balzare oltre quell’ostacolo. Il timore di perdere il suo amore per Rossana è grande tanto quanto quello di perdere l’affetto di lei. Per questo tace, si reprime e si sacrifica. Il sacrificio, dunque, è, al pari del silenzio esteriore che urla il sottaciuto sentimento, diventa protagonista della commedia.

Sembra sfidare l’impossibile, gareggiare con qualcosa di titanico che è la gigantografia dell’ossessione amorosa che non scade mai nella follia, nell’uscita dal senno, nella affannosa ricerca dello stesso disperso in chissà quale parte dell’Universo. Cyrano rimane presente a sé stesso e, per questo, a differenza di Orlando, soffre seppure inusitatamente; c’è costantemente nel testo di Rostand la prossimità tra gli opposti. Ed è questa la forza prorompente del successo di un capolavoro senza tempo.

CYRANO DE BERGERAC
EDMOND ROSTAND
FELTRINELLI, 2014
€ 9.50

MARCO SFERINI

25 dicembre 2024


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