Cronache d’estate :: Il presunto “dramma” dei padri separati

Questa nuova rubrica estiva avrei preferito iniziarla con un vecchio caso di cronaca, magari riportato all’attenzione del cannibalismo mediatico da nuove prove o da ricorsi fatti dagli avvocati di...

Questa nuova rubrica estiva avrei preferito iniziarla con un vecchio caso di cronaca, magari riportato all’attenzione del cannibalismo mediatico da nuove prove o da ricorsi fatti dagli avvocati di chi si reputa innocente nonostante tre gradi di giudizio e tanti di quegli indizi che formerebbero anche venti prove.

Eppure, in queste ore salta agli occhi la terribile morte di due gemelli di dodici anni, uccisi dal padre che aveva da poco appreso della volontà della moglie di separarsi legalmente. La coppia si rompe, si frantuma l’unità familiare e qualcosa implode nella mente dell’uomo che, come sovente avviene in questi frangenti, lo si definisce “pacato, sereno“, mai perturbabile; anzi, profondamente amoroso verso i figlioli e anche verso la moglie con la quale – vociferano i vicini di casa – da tempo però i rapporti si erano incrinati.

Fatto sta che l’uomo non accetta quelle parole scritte nella lettera che l’avvocato della donna gli ha inviato: sono l’elemento che, con tutta probabilità, innesca il corto circuito della vendetta. Un piatto che si consuma freddo. Un piatto amaro. Molto amaro. Crudele, spietato, dove non c’è alcun posto per nessuna forma di empatia.

L’uomo porta i figli a fare una ultima gita in montagna, scatta qualche selfie da mettere su Facebook e correda il tutto con le frasi: “Con i miei figli, insieme sempre!“. Non scrive “Per sempre“, ma alla luce di quanto avvenuto, quella frase sembra davvero assumere un significato altro rispetto alla tenerezza che suscita la frase di un padre amorevole.

Al calare della sera i due gemelli di dodici anni stanno giocando nel cortile erboso dell’abitazione di montagna. Le loro urla accompagnano la cena dei vicini. Poi salgono in casa e cenano col padre. Come in un famoso giallo di Agatha Christie, il piano della vendetta si concretizza a notte fonda.

Sono le due e mezza circa, quasi le tre del mattino quando un vicino sente dei rumori sordidi, dei tonfi. Sembrano pugni sul muro, pezzi di legno che vengono spaccati. Sono tanto forti che si sveglia, ma lì per lì non dà importanza alla cosa e si rimette a dormire. Non può certo immaginare che dall’altra parte della stanza, pochi metri dietro la spalliera del suo letto si sta compiendo un duplice omicidio.

Dopo aver strangolato la figlia e soffocato con un cuscino il figlio, l’uomo manda un messaggio alla quasi ex-moglie: “Non li rivedrai più“. La sentenza di morte è stata messa in atto, la firma sono quelle quattro parole che la madre legge al suo risveglio. Si precipita con l’auto nella casa di montagna e, intorno alle 9.00 del mattino, scopre i corpi dei figli uno accanto all’altro nel letto. Composti come se, intorno a tutto quell’orrore, un ultimo gesto di pietà potesse mitigarne il peso sulla propria coscienza.

L’uomo non è in casa. Ha vagato per una ventina di chilometri dopo aver tolto la vita ai figli e si è fermato su un ponte alto un centinaio di metri e si è lasciato cadere nel vuoto.

Nel corso della giornata, mentre la madre ricostruisce con gli inquirenti gli antefatti che hanno generato questa follia, i giornali telematici battono la notizia. Uno di questi arriva a scrivere come titolo dell’articolo: “Il dramma dei padri separati“. Alla tragedia si aggiunge non la farsa, ma la durezza di un giudizio indirettamente espresso: se un padre arriva a questo gesto è perché la madre (la donna, la parte femminile della coppia…) lo spinge in tal senso.

Potrebbe essere interpretato così quel catenaccio giornalistico veramente di cattivo gusto e di una morale maschilista e patriarcale a dir poco indecente?

Sì, potrebbe essere letto in questo modo, perché si sarebbe potuto scrivere: “Dramma familiare“, molto semplicemente, per connotare il fatto di cronaca nera. Invece la drammaticità viene inserita nel contesto della separazione che, in quanto richiesta dalla moglie, diviene il grimaldello per sollevare tutti i sensi di colpa possibili nella donna e tutta la voglia di colpevolizzazione popolare ne confronti di chi oggi rimane senza la propria famiglia, senza figli, ad affrontare un dolore permanente, che nessuno dovrà toglierle da addosso, perché è tutto quello che le rimane mentre i vicini la sentono urlare: “Non si svegliano più“, quando scopre i corpi dei gemelli distesi sul letto, addormentati per sempre.

La colpa deve essere spartita: all’uomo il duplice omicidio; alla donna la responsabilità di averlo causato con la richiesta legittima di una legale separazione peraltro appena iniziata e non ancora portata a termine.

E’ inaccettabile che si attribuisca ai padri separati una sorta di congenialità nello sviluppare le conseguenze del dramma stesso della separazione con l’assassinio dei propri figli. Allo stesso tempo è inaccettabile che si possa anche indirettamente far intuire che se questo avviene è per colpa della moglie che abbandona il marito.

Il dramma dei padri separati è, sovente, tra le maglie burocratiche della legge: ma lo è anche per le madri che vengono viste solo alla stregua di donne, ridotte al rango di “angeli del focolare“, docili e obbedienti servitrici di mariti che non possono non essere lasciati. Si torna molto indietro, alle questioni “d’onore“, alla lesività del principio patriarcale del “dominus” sull’intera famiglia, ai tempi antichi del “pater familias” che aveva completa “potestas” tanto sui beni quanto sui membri della propria “gens“.

Il duplice omicidio dei gemelli è probabilmente l’ultimo tassello di un mosaico di odio, di disprezzo del marito nei confronti di una moglie che decide di riprendersi la propria vita divenuta non più tale in quel contesto familiare: se ad ogni separazione tra coniugi dovesse seguire da parte di uno dei due l’annullamento dell’altro o dei propri figli, le cause di divorzio si trasformerebbero tutte in cause criminali.

Il dramma dei padri separati e delle madri separate non può trovare sfogo in una energia divoratrice di altre vite tramite una sete di vendetta che vuole rendere unico “proprietario” della figliolanza soltanto il genitore che mette in atto la punizione verso chi abbandona il nucleo di affetti costituito e costruito per anni.

La singolarità del gesto emerge in tutta la sua crudezza ed efferatezza proprio perché rimane ben distinta dalla stragrande maggioranza di tanti altri civili comportamenti di coppie che affrontano separazioni più o meno turbolente ma che, nonostante tutto, restano in rapporti sufficientemente stabili da consentire ai figli di crescere senza ulteriori aggiunte di traumi.

Purtroppo i meccanismi dell’animo umano sono così complicati da non poter essere regolati per Legge in tutto e per tutto. Né si può prevedere che un uomo, circoscritto nei confini della classica quotidiana “normalità” osservata da amici, vicini e parenti, possa oltrepassare tutti i freni inibitori della morale personale, sociale e del consesso civile in cui vive e fare un salto di qualità negativa tanto terribile quanto, per l’appunto, inimmaginabile.

Eppure l’unico elemento certo che questa tragedia ci mette sotto gli occhi, in tutta la sua palese evidenza, è la determinazione a punire la coniuge e a non “lasciarle” i figli. Qualcuno tenterà di affermare che magari questo è stato anche un gesto d’amore: un padre che porta con sé due ragazzi innocenti, che avevano non solo tutta la vita davanti, ma tutta la loro splendida giovinezza.

Non può esistere vero amore per i propri figli e per i propri parenti o amici se li si vuole soltanto per sé. Perché ogni essere vivente ha un solo ed unico proprietario: sé stesso. Nessun genitore, nessun consanguineo e nessun’altra persona può arrogarsi il diritto di possesso nei confronti dell’altro da noi. Chiunque esso sia. Non esistono privilegi negativi di rivendicazione in tal senso. E non dovranno mai esistere. Almeno, mai più.

MARCO SFERINI

28 giugno 2020

Foto di StockSnap da Pixabay 

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