La fase di avvio di una delle più significative operazioni trasformistiche nella storia della Repubblica appare contrassegnata dall’ennesimo attacco alla Costituzione Repubblicana, soprattutto sotto l’aspetto della centralità del Parlamento così come questa era stata disegnata nell’Assemblea Costituente.
La riduzione del numero dei parlamentari che pare, infatti, rappresentare il presupposto “sine qua non” della possibile trattativa M5S – PD è come noto materia di competenza dell’articolo 138.
Non si tratta di un caso fortuito: il numero dei parlamentari, infatti, è legato a due questioni assolutamente fondamentali nell’assetto parlamentare:
– la rappresentatività politica che negli intenti dei Padri Costituenti (che non misero la formula elettorale tra le leggi costituzionali) avrebbe dovuto essere commisurata alla possibilità di espressione istituzionali delle più importanti sensibilità ideologiche, culturali, politiche presenti nel Paese organizzate in partiti (secondo l’articolo 49);
– la rappresentatività geografica dei territori realizzata naturalmente in equilibrio con la diversità densità numerica della popolazione mantenendo la possibilità di presenza delle principali minoranze linguistiche ed etniche.
Tenuto conto di questo contesto appare evidente che un taglio “lineare” nel numero dei parlamentari porrebbe in discussione questi due elementi collocandosi così in un disegno di “diminutio” comunque delle prerogative delle Assemblee.
E’ facile anche immaginare che dal varco aperto dalla riduzione del numero dei parlamentari potrebbero infilarsi altre opzioni, già respinte dal voto con il referendum del dicembre 2016, riguardanti – magari – il bicameralismo e l’attribuzione della prerogativa – per l’appunto bicamerale – riguardante l’espressione del voto di fiducia.
Egualmente sarà da verificare come, in questo frangente, sarà affrontato il tema delle cosiddette “autonomie differenziate” che non riguarda soltanto la Lega ma anche il PD per il tramite delle richieste avanzate dalla regione Emilia – Romagna.
Anche in questo caso ci troviamo nel campo costituzionale con riferimento agli articoli 116 e 117 del titolo V, già modificato dal centro sinistra nel 2001 a seguito di evidenti pulsioni di stampo leghista.
A sinistra emergono quindi ragioni molto significative per opporsi all’eventuale disegno di accordo M5S – PD, ragioni collocate al di sopra delle stesse valutazioni di carattere economico, sociale, culturale, di concezione dell’agire politico.
Ci è capitato di richiamare in diverse occasioni un punto che qui è necessario ribadire: nell’occasione del già citato referendum del dicembre 2016 nell’ambito del “NO”, si espresse anche una quota di elettrici ed elettori di sinistra, coerentemente democratici, cui non è stata data in seguito alcuna risposta politica agli intenti che essi avevano espresso rifiutando la “deforma” avanzata in allora dal governo Renzi.
E’ questo il momento di provvedere, sia pure in ritardo, con un’espressione di Sinistra Costituzionale che parta da alcuni presupposti sicuramente difensivi, li trasformi in opzione di avanzamento nella qualità della democrazia e si ponga in questa dimensione sia sul piano della ricostruzione dell’organizzazione politica sia della proposta di presenza istituzionale.
FRANCO ASTENGO
24 agosto 2019
foto tratta da Pixabay