Due donne morte. Nello stesso giorno. Nello stesso carcere, quello di Torino. La prima, 43 anni, era di origine nigeriana ed è morta di stenti. Rifiutava di alimentarsi dal 22 luglio. Ed è stata lasciata morire.
La seconda, 28 anni, era italiana, dalle prime notizie sembra che fosse alla sua prima detenzione, trasferita da Genova, e si è impiccata nella sua cella. Da metà luglio sono così quattro le morti per suicidio solo nel carcere torinese, in precedenza già un’altra donna e un uomo avevano deciso di togliersi la vita. Nell’inferno che sono i carceri italiani, sovraffollati e fatiscenti, quello di Torino evidentemente è uno dei gironi più terribili. L’estate fa il resto.
La donna di origine nigeriana si chiamava Susan John. Era entrata in carcere il 21 luglio, il giorno dopo aveva cominciato a respingere oltre al cibo anche gli integratori e l’assistenza medica. Da pochi giorni anche l’acqua. Sposata, aveva un figlio di 4 anni che avrebbe chiesto inutilmente di vedere. Secondo il sindacato di polizia penitenziaria Sappe che per primo ne ha dato notizia, sarebbe morta così alle tre di ieri mattina nell’articolazione di salute mentale della casa circondariale di Torino dove da qualche giorno era ricoverata.
«Il pur tempestivo intervento dei nostri agenti in servizio – spiega il segretario del Sappe Piemonte, Vicente Santilli – non ha purtroppo impedito la morte della detenuta che stava scontando una pena per cui era previsto il termine nell’ottobre 2030». La pena era stata inflitta da una corte di Catania per tratta e immigrazione clandestina.
Ma la garante comunale dei detenuti Monica Cristina Gallo ha denunciato di non essere mai stata avvisata del caso. «Sono rammaricata, ma dal carcere non ci sono mai giunte segnalazioni relative al caso di questa persona. Così come nulla sapevano di questa detenuta che rifiutava alimentazione e cure mediche – aggiunge Gallo, raggiunta al telefono – le “Ragazze di Torino” (collettivo di detenute ed ex detenute delle Vallette che si battono per i loro diritti, ndr) che ho sentito, e che sono di solito le mie sentinelle all’interno del “Lorusso e Cutugno”.
I nostri contatti sono regolari – conclude la garante cittadina – eppure nessuno ci aveva informato. Probabilmente non sarebbe cambiato nulla. Però almeno avremmo potuto attivare le nostre procedure e tentare qualcosa. Il Garante ha una funzione anche preventiva, e spesso interveniamo in situazioni del genere. È questione molto importante perché si tratta di salvare vite.
Aspettiamo ora – conclude Gallo – che l’autorità giudiziaria faccia chiarezza su come è morta questa detenuta, perché non credo che si possa morire di fame in poche settimane». Anche il garante regionale del Piemonte, Bruno Mellano, avverte di non aver saputo nulla. «Il 4 agosto – dice – ero in carcera ho parlato con la direzione, gli operatori dell’istituto e parecchie donne detenute che sono le nostre sentinelle e tra loro hanno un atteggiamento accudente. Nessuno ci ha segnalato il caso».
Se i suicidi si ripetono a Torino, e le organizzazioni sindacali della polizia penitenziaria Sappe e Osapp chiamano in causa oltre al ministro Nordio soprattutto il capo del Dap Giovanni Russo, chiedendo il commissariamento, quello di ieri non è però, purtroppo, neppure il primo caso quest’anno di morte per rifiuto di alimentarsi. Solo tre mesi fa, nel silenzio generale, nel carcere di Augusta sono morti due detenuti dopo uno sciopero della fame durato 40 e 60 giorni. ù
«Inutile cercare singoli responsabili in quel che sta accadendo da tempo nelle carceri italiane. È l’intero sistema che è corrotto, nel senso di guasto per putrefazione, decomposto – denunciano i Radicali italiani -, un sistema che porta dietro le sbarre soprattutto persone con problemi psichiatrici, poveri allo stremo, immigrati senza fissa dimora, tossicodipendenti di varie sostanze, per un terzo del totale detenuti in attesa di giudizio definitivo».
Il deputato di +Europa Riccardo Magi annuncia l’intenzione di presentare un’interrogazione. «Questa – commenta la senatrice di Avs Ilaria Cucchi – è una tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico. Una morte di cui comunque è responsabile lo Stato che aveva in custodia la vita della vittima. Non capisco cosa c’entrano in questo i sindacati degli agenti. Chiedo venga fatta chiarezza anche per questo».
DOMENICO CIRILLO
Foto di Jody Davis da Pixabay