«È pasqua. Ma non c’è pace nel mondo. C’è il sole, i pioppi incominciano a metter le prime foglioline tenere; i prati intorno son pieni di violette e di margheritine; ma su tutto c’è un velo di tristezza impalpabile che rende smorto il sole e vizzi i più bei colori». È l’appunto del 9 aprile 1944 del Diario partigiano di Ada Gobetti.
Fuori dalle nostre clausure, oggi c’è la stessa bellezza negata. E mentre aspettiamo di riconquistarla ci sembra, talvolta, di cogliere un sentimento nuovo. La convinzione che la vita non potrà ricominciare identica se l’umanità vorrà salvarsi.
Ma è lecito cercare qualche somiglianza tra la nostra primavera triste del 2020 e quella della guerra partigiana? Lo chiediamo a Carla Nespolo, 77 anni, piemontese, ex insegnate e parlamentare del Pci, da tre anni prima donna presidente dell’Anpi e prima presidente non partigiana.
«Nel ’44 c’era un esercito invasore, c’erano i partigiani che combattevano sulle montagne, i gappisti nelle città, il popolo che resisteva senza armi, gli internati militari che avevano preferito i campi di prigionia alla divisa di Salò, i sacerdoti vicini alle loro comunità, i contadini che nascondevano e sfamavano i fuggitivi. C’era la guerra e c’era lo straordinario protagonismo popolare di una minoranza ampia e combattiva.
La prima lotta di popolo della storia d’Italia. Non mi pare sia possibile un parallelismo con le nostre giornate con il coronavirus. La somiglianza sta nell’opportunità che abbiamo di uscire dalla pandemia non più isolati e più egoisti, ma più solidali. Intendiamoci, può succedere il contrario e qualche segno non manca, ma c’è anche la possibilità di venirne fuori meglio.
La capacità di progettare un mondo migliore partendo da una situazione tragica è una cosa che possiamo imparare dalla lotta partigiana. Mi commuovo sempre quando penso ai confinati di Ventotene che in condizioni disperate di freddo e fame scrivono sulle cartine delle sigarette il progetto della nuova Europa. Oggi noi dobbiamo essere capaci di progettare un mondo migliore, meno inquinato, con maggiore giustizia sociale e maggiore solidarietà. Deve valere per l’Italia ma anche per l’Europa».
Nell’ansia di ripartenza di questi giorni ti pare di cogliere i segni di queste opportunità?
L’enfasi la vedo tutta sulla fretta di riaprire i luoghi di lavoro. Per carità è comprensibile e persino giusto. Ma la mia convinzione è che abbiamo bisogno di molto di più, di un nuovo inizio più che di una ripartenza.
Ricominciare, ma non come prima. Pensiamo alla sanità pubblica e a quanto è stata distrutta negli ultimi anni sull’altare del «privato è bello».
Invece ci sono dei diritti fondamentali, la salute, l’istruzione, l’ambiente, il lavoro, che sono scritti nella carta costituzionale e che sono di tutti. Vanno tutelati con i necessari investimenti. Penso alla scuola che è un grande motore di uguaglianza e invece in questi giorni di lezioni a distanza ha dolorosamente lasciato indietro proprio i figli delle famiglie più povere.
Va cercato ancora nella Costituzione l’indice delle cose da fare?
La Costituzione è il più grande dono della Resistenza. Non è mai inutile ribadire che è antifascista. Le sue radici sono nella capacità di conciliare insieme i diritti individuali e quelli collettivi. Purtroppo è stata molte volte disattesa e non è attuata. Ricominciare dalla Costituzione vuol dire esattamente non ricominciare come prima. In questi anni si è risparmiato sui diritti. Risparmiamo invece sulle armi.
Nelle case di riposo al nord sono morti di Coronavirus tantissimi anziani, tra loro sicuramente qualcuno che ha partecipato alla guerra di Liberazione.
Sicuramente. Ed è una tristezza enorme la loro perdita e la perdita di tutti gli anziani, soprattutto in quelle condizioni. Ho trovato molto belle le parole del presidente della Repubblica che ha definito i vecchi «scrigni di memoria». È importante rispettarli ed è importante conservarli.
Mi vengono sempre in mente le parole di un partigiano delle mie parti che adesso non c’è più, Enzio Gemma, mi diceva che i popoli primitivi non avevano la parola «vecchio» ma la parola «saggio». La perdita dei saggi non è solo una perdita umana ma anche morale e storica molto grande. Noi ci teniamo cari i nostri partigiani e le nostre partigiane, abbiamo rispetto per tutti e vogliamo essere rispettati.
L’Anpi è custode d una memoria che non serve solo a ricordare o a fare ricerca storica, ma è utile per capire il presente e il futuro. Pensiamo a quanto hanno lottato i partigiani contro il razzismo, al nostro meraviglioso articolo 3 della Costituzione, e alla minaccia razzista che risorge in Italia e nel mondo. Non stiamo facendo un’operazione nostalgia.
C’è chi puntualmente, quest’anno con il pretesto della pandemia, vuole fare del 25 aprile un generico omaggio a tutti i caduti.
Noi non ci dimentichiamo che in questo paese c’è stato persino un presidente del Consiglio che ha proposto di cancellare la festa nazionale della Liberazione. E ai nostalgici e ai senza memoria rispondiamo come fece Giancarlo Pajetta: con loro abbiamo finito di parlare il 25 aprile del 1945. Ci interessa che sia portato avanti l’antifascismo non come esperienza di parte ma come radice della nostra Costituzione e della convivenza civile.
Ti pesa che non si possa fare la manifestazione nazionale a Milano?
Mi pesa moltissimo. Ma sono sicura che nelle forme speciali imposte dall’emergenza sanitaria sarà ugualmente una grande giornata di festa. E meno male che si è tornati indietro dal tentativo di discriminare l’Anpi, era vergognoso.
ANDREA FABOZZI
foto: screenshot da ANPI Roma