Tra la sinistra che riscopre un ruolo “nazionale” associando al costituzionalismo un patriottismo infarcito di valori sociali e una sinistra che invece cede su pericolose chine governiste in nome dell’utilità nel sistema attraverso riforme che sono sempre un gioco al ribasso per le classi sociali più deboli, deve potersi fare strada una proposta politica che unisca egualitarismo sociale, anticapitalismo e internazionalismo.
Per molti queste definizioni possono apparire come parole vuote di significato in un mondo in cui i vecchi ancoraggi ideologici del progressismo sembrano retaggi d’un passato che non vogliamo far passare. In realtà di uguaglianza c’è bisogno, di contrasto a tutto campo del sistema economico in cui viviamo anche e di solidarietà e unità di lotta tra i popoli pure.
Uno sguardo sul mondo: dagli Stati Uniti al Brasile, dall’Ungheria all’Austria, dalla Russia all’Arabia Saudita, dalla Turchia alla Polonia, da Israele allo Yemen, attraversando differenti regimi oppressivi, con concezioni dello Stato di diritto fondato sulla repressione tanto politica quanto antisociale, arrivando nella nostra Italia dove le forze populiste e i sovranisti stanno determinando un corso di governo che alimenta le pulsioni di frammentazione tra i poveri e fa dell’indigente un nemico per l’indigente stesso sul piano razziale, additando inesistenti invasioni e concretizzando una base di securitarismo solida per far crescere l’insicurezza e allontanare gli sfruttati da una attenta osservazione critica del fenomeno che li investe.
La risposta a tutte queste destre che esaltano i confini, la patria, il nazionalismo, le guerre vinte nel 1918, il socialismo nazionale (invertite i termini e vedrete cosa ne avrete…), la sovranità monetaria, e così via…, non può essere una sinistra che pone la lotta anticapitalista al di fuori dell’internazionalismo.
Il recupero della dimensione globale dell’impegno per la crescita del movimento comunista in quanto fenomeno di unione degli interessi sociali di una classe mondiale (quella degli sfruttati, quella dei salariati, dei precari, dei disoccupati, cioè di tutti coloro che vivono senza detenere la proprietà dei mezzi di produzione) non può non essere al centro della ricomposizione valoriale e programmatica della sinistra di alternativa.
Dichiarare che è necessario affidare alla sinistra un ruolo nazionale come accadde, per vie traverse e diverse, in molti paesi dall’Est sovietista alla Cuba castrista passando per le esperienze del Centroamerica e per le guerre anticoloniali africane ed asiatiche, è una proposizione fuorviante, un revisionismo politico (e culturale, quindi anche storico) che vorrebbe far apparire di sinistra ciò che invece è di destra: l’identità nazionale non è una base di espansione del socialismo e del comunismo.
Semmai lo diventa in determinati ambiti di evoluzione storica quando i comunisti sono costretti a battersi per la liberazione dei loro paesi di origine da guerre imperialiste, da regimi tirannici come quelli fascisti e nazisti.
Ma l’obiettivo del comunismo deve rimanere l’internazionalizzazione della lotta, quindi, quanto meno, visto che ci dirigiamo all’appuntamento elettorale europeo, continentale.
Rompere lo schema di collaborazione del Partito della Sinistra Europea sarebbe un gravissimo errore per tutte le forze che vi partecipano: a questo puntano coloro che vogliono dare al progressismo un volto nazionale per ridurlo a schermaglia isolata e separata da popolo a popolo, contrapponendo interessi che sono di classe e che invece vengono piegati alla logica dell’appartenenza di suolo, laddove si è nati.
La nostra identità di cittadini non è proclamata dalla Costituzione solamente nella forma dello “ius soli”, ma è prima di tutto vista nel contesto umano, poiché è la Repubblica quella forma di Stato che al contempo ne diviene contenuto primario e del quale lo Stato non può fare a meno, altrimenti perderebbe letteralmente la sua anima.
Le voci girano e parlano della possibilità di unire sinistre sovraniste e rossobrune con sinistre libertarie, comuniste.
Bisogna iniziare ad anteporre il comunismo di nuovo modello, quello giustamente libertario, alla sinistra sovranista e rossobruna che non può dirsi “comunista”.
Il comunismo è internazionalista. Dunque chi fa dell’internazionalismo soltanto una bandierina da sventolare per incontrare gli ambasciatori dei peggiori regimi che negano la realizzazione del binomio libertà e socialismo, non sarà mai quel comunista che vuole arrivare alla liberazione dell’essere umano dalla schiavitù del lavoro salariato e dall’oppressione generale che ne deriva in tutti gli ambiti di vita.
I rossobruni disumanizzano il comunismo e ne fanno quasi una tecnica politica priva di anima, di sentimento, di romanticismo, di passione. Il movimento anticapitalista nei loro scritti e nelle loro mani diventa un grimaldello per ottenere consensi di destra in nome di una idea sociale che ricorda tanto il fascismo delle origini e il manifesto di Verona della Repubblica di Salò…
Alcuni si spingono addirittura ad esaltare il ruolo della famiglia accanto a quello della patria. Manca “dio” e poi il trittico classico di un mazzinianesimo tradito dai successori e preso in prestito proprio dai fascisti del ventennio, che divennero monarchici e cattolicissimi per convenienza (e non per “carità di patria”…), è lì pronto per essere servito come antipasto di un revisionismo veramente becero che nega ogni natura di classe del socialismo, dalle origini fino ai suoi sviluppi antistalinisti degli ultimi decenni.
Scrive Nicolao Merker in uno dei suoi studi più famosi: “Per quanto le particolarità possano essere insite nella struttura sociale e per quanto forte sia loro influenza sulla vita nazionale, proprio le particolarità nazionali sono limitate. In primo luogo sono limitate nell’azione. Esse non sostituiscono i processi principali dell’economia mondiale e della politica mondiale, né possono abolire l’operare delle loro leggi.“.
Continua il grande storico e critico marxista: “Le scuole di pensiero borghesi guardano alle particolarità nazionali come ad accidenti inesplicabili, a diritti di nascita di natura divina o caratteristiche prestabilite. Il marxismo le considera come prodotti storici derivanti da combinazioni concrete di forze mondiali e da condizioni esistenti all’interno di una data nazione. Trotzky giunse alla conclusione che le particolarità nazionali erano il prodotto più generale dell’ineguaglianza dello sviluppo storico, il suo prodotto finale.“.
E così si può dire che anche le sinistre sovraniste e rossobrune, amiche delle Patrie e delle Nazioni, degli Stati e dei poteri che emanano da loro, sono non le più fiere avversarie del capitalismo imperialista che attacca oggi Assad o domani la Corea del Nord, bensì sono e diventano nel loro definirsi e strutturasi come tali un prezioso alleato proprio di quel capitalismo e di quell’imperialismo economico che ha necessità di un progressismo deviato, ridotto a schiavo del nazionalismo, destrutturando così la natura internazionalista dell’unico movimento politico e sociale che ha fatto dei popoli una unità nel riconoscimento del loro ruolo di subalterni sfruttati della classe dominante.
Del resto, nel “Manifesto del Partito Comunista” non vi è scritto: “Proletari di tutte le nazioni, unitevi!”, ma “Proletari di tutti i paesi, unitevi!”, attribuendo alla propria origine di nascita un valore secondario, di mera casualità, senza destino, ma riconoscendo l’esistenza del proletariato mondiale e abolendo già in quelle righe del 1848 i confini e le frontiere.
Dobbiamo, come comuniste e comunisti libertari, essere consapevoli che la nostra lotta per la ricostruzione della sinistra di alternativa, anticapitalista e antiliberista, va fatta contro tutte le destre beceramente reazionarie e borghesi e contro tutte le sinistre governiste che vorrebbero unirsi alla parte più moderata della rappresentanza politica del capitale e contro tutte le sinistre che pretendono di definirsi “comuniste” e che invece sono soltanto una propaggine nemmeno tanto interrata di una malapianta da estirpare: quella di un nuovo “socialismo nazionale” pericoloso per la portata di revisionismo politico, storico, sociale e persino morale che si trascina dietro e che può ingannare giovani generazioni sul vero ruolo libertario del marxismo e del movimento cui abbiamo dedicato le nostre vite.
MARCO SFERINI
4 novembre 2018
foto tratta da Pixabay