L’ordalia emiliana era un incubo, ma era anche un alibi. Inutile tentare di rimettere in moto la macchina del governo, finita in panne ancora prima di partire, senza il responso fatale degli elettori dell’Emilia-Romagna. Ora, a urne chiuse, quell’alibi è svanito e per Giuseppe Conte è il momento di approntare quel «cronoprogramma» che promette da dicembre e di cui ha parlato anche alla vigilia del voto. Nicola Zingaretti preferisce definire il prossimo passo «fase due». In questi termini ne ha parlato ieri con il premier, trovando porte spalancate.
Ma per affrontare la «fase due» nel concreto di leggi e provvedimenti sono obbligatorie alcune precondizioni. Devono cambiare i rapporti nella maggioranza. Deve intervenire quella «discontinuità» mai tradotta in pratica dopo i vertici che in estate hanno partorito il governo. La coalizione posticcia resa obbligatoria dalla paura di Matteo Salvini deve cedere il passo a una vera alleanza: strategica, progettuale, decisa a presentarsi insieme alle prossime elezioni politiche. Conte si spende: «Dobbiamo contrastare questa destra. Mi auguro che si possa rafforzare questo fronte, chiamatelo pure progressista». A seguire fulmini e saette scagliati contro Salvini, «il grande sconfitto», l’«indegno per fortuna in fase calante». Di più il premier espresso dal M5S non potrebbe dire.
Zingaretti e Andrea Orlando, segretario e vicesegretario, fanno la parte del poliziotto buono e quello cattivo, ma la sostanza è identica: d’ora in poi il Pd deve pesare di più e i 5S devono rinunciare a quello che Orlando bolla come «armamentario che non porta consensi elettorali e danneggia l’azione del governo». Richiesta comprensibile, dal momento che l’egemonia politica è tutta del Pd mentre la maggioranza di seggi è in mano a un partito che nel Paese rischia il dissolvimento totale. Però la stessa logica adoperata per spiegare la nascita del nuovo governo, quella per cui i rapporti di forza politici si registrano una volta ogni cinque anni alle elezioni e non possono essere riveduti e corretti a ogni tornata elettorale, viene ora impugnata dal reggente 5S Vito Crimi per rispondere picche su tutta la linea. «Il Parlamento è questo e dura cinque anni: i rapporti di forza non cambiano», replica ai leader del Pd. Poi passa al premier: «Non dobbiamo replicare gli altri partiti né creare qualcosa che sia strutturale con gli altri partiti. È l’ora dei progetti non della collocazione». La prosa è oscura. Il messaggio chiaro. Orlando ha esagerato e Zingaretti corre ai ripari: «Gli equilibri non cambiano. Troveremo la soluzione».
Anche il premier, che aveva sposato la stessa linea sin dal mattino, si affretta a spegnere l’incendio, appiccato anche dai toni ultimativi di Orlando. Dopo aver fissato per il 29 marzo la data del referendum, in modo da diffondere un’immagine solida e sicura del governo, corre, su sua richiesta, a farsi intervistare in tv da Lilli Gruber. È un Conte in versione 5S quello che, interrogato su come avrebbe votato in Emilia, confessa che si sarebbe affidato al voto disgiunto. Così conferma allo stesso tempo l’appartenenza al Movimento e la vocazione unitaria «progressista». Poi vagheggia un’«area innovatrice in cui trovi spazio anche L’M5S». Assicura che il Movimento è vivo e che in marzo ripartirà. Balsamo per le orecchie pentastellate ferite dall’inurbanità di Orlando.
Giochi e cineserie diplomatiche del genere nei prossimi mesi si sprecheranno. Nessuno vuole le elezioni, neppure il Pd rinfrancato dagli emiliani. La strada verso la coalizione progressista richiederà tempo e pazienza e molta cautela. Però la realtà ha le sue esigenze e ci sono alcuni nodi che bisogna sciogliere presto se non subito. Uno è quello delle concessioni per le autostrade, che si porta dietro il voto delicato sul Milleproroghe. «Siamo lì lì per chiudere», promette il premier. L’altro è la prescrizione e il voto in aula sulla proposta del forzista Costa, che cancella la cancellazione della prescrizione, è in agenda oggi a Montecitorio. L’accordo latitando, si rinvierà riportando il testo in commissione. Ma se la strategia con cui affrontare le difficoltà è quella del rinvio, non è che si vedano grandi differenze tra la fase uno e la fase due del governo.
ANDREA COLOMBO
foto: screenshot tv, Giuseppe Conte a “Di Martedì” di Giovanni Floris su La 7