Ogni docente della scuola pubblica italiana non può che essere felice dell’arrivo nella propria classe di uno o più bambini ucraini. Ne ho già visti alcuni anche nella mia scuola: silenziosi e sorridenti. Belli, come tutti i bambini e le bambine.
Fanno parte dell’esercito dei 16.000 bambini ucraini arrivati in queste settimane in Italia, in maggioranza tra i 4 e i 12 anni.
Magari domani mattina ce ne saranno due, quattro, dieci o cento anche nella mia classe. Ne sarei felice, giuro. Anche se oggi nella mia classe ci sono già 26 alunni tra cui bambini con disabilità, stranieri o bambini difficili, come si diceva una volta, cioè bisognosi di aiuto: insomma, una classe pollaio – quando ho iniziato a insegnare avevo classi di dodici, quattordici diciotto bambini al massimo.
Non importa. Oggi vorrei comunque avere un’aula grande come una città e una classe di mille bambini, pur di allontanare ogni bambino dalla guerra. Come ogni docente italiano.
Poi, però, sento che, in pochi giorni, il mio governo ha aumentato di due miliardi le spese militari mentre il denaro per la nostra scuola pubblica è sempre meno, dal 2000 a oggi. Anche con la pandemia o con la guerra, niente. Il denaro investito sulla scuola pubblica diminuisce, non aumenta. Siamo tra i peggiori d’Europa. Quasi orgogliosamente, sembra.
Dunque, l’Italia ha portato la sua spesa militare dagli attuali 25 miliardi di euro a 38, ovvero 104 milioni al giorno. Per dare un senso a questa cifra, 38 miliardi è circa la metà di quanto l’Italia spende per l’istruzione e un terzo di quanto spende per la sanità. Insomma, l’Italia spende in istruzione meno degli altri grandi Paesi Ue, sia in rapporto al Pil che alla spesa pubblica totale. Non solo, l’industria bellica italiana è nella top ten del mercato mondiale.
Dunque? Consolarsi pensando che, almeno, non mettiamo ancora le armi direttamente in mano ai bambini ucraini e, invece, li facciamo entrare nelle nostre aule per tenerli lontano dalla guerra? Troppo poco? Sì. Almeno leggendo alla nostra Costituzione quando parla di guerra e di scuola.
Ammettiamolo: anche se il cuore della scuola italiana – che è poi quello dei docenti, è grande come il mondo, – fa sorridere sentire alcuni politici, ministri o dirigenti scolastici che a scuola, oggi, con questi bambini, dicono che si sta facendo accoglienza, inserimento, integrazione, ospitandoli in classi-pollaio già in enorme sofferenza da anni e anni e senza nessun vero aiuto.
Semplicemente, si siedono insieme ai nostri bambini e a docenti (stremati, i docenti) in attesa che arrivi la ricreazione per giocare. O poco più. E questo nonostante ogni docente si faccia in quattro per dare loro qualcosa di più che Stato o comuni o ministero all’istruzione possano dare.
Ti chiedi: di questo bambino si sa che suo padre è al fronte, magari avrà visto morire qualche familiare? Non avrebbero bisogno anche di uno psicologo? Non ci vorrebbe un mediatore linguistico e culturale? Un educatore o un insegnante in più? Qualcosa? No-o? Solo la buona volontà dei docenti?
Qualche aiuto, forse, dice il ministro, arriverà dal prossimo anno scolastico; per questo, ormai alla fine, scuole e docenti si arrangino come riescono. Come sempre. Da anni. Troppi anni. Decenni.
Qualcuno, addirittura, sottovoce, aggiunge: «Anche se stanno in aula con gli altri senza capire o fare molto, va bene ugualmente». Te lo dicono perché tu, come educatore, ti senta sollevato. Ottengono l’effetto contrario. Che tristezza! Specie per i docenti. Quanta ipocrisia.
Ci interessano più i cannoni che i bambini, come ci dice chiaramente il denaro investito su questi e su quelli.
GIUSEPPE CALICETI
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