L’impressione è che non sia grande la confusione sotto il cielo di Roma ma che, anzi, le certezze siano ben chiare, definite e i confini politici su cui giocare anche. Il primo giro di consultazioni va a vuoto come era logico che andasse visto che il tanto vituperato “ritorno alla proporzionale” (che poi proprio vera proporzionale non è…) costringe almeno le forze politiche a quel confronto serrato cui non erano più abituate da decenni e riporta la Repubblica su un piano apparentemente più parlamentare rispetto al passato.
Il decisionismo fintamente democratico sulla sorte del governo affidato al voto popolare ha lasciato il posto al giro di valzer della partita a scacchi da giocare su più fronti e che apre tutte le contraddizioni dei diversi schieramenti.
E’ un bene per un sistema costituzionale logorato da tanti frustranti tentativi, più o meno mascherati, di instaurare anche in Italia un presidenzialismo dai connotati non ben definiti che, del resto, è stato sconfitto ampiamente con la sonora batosta ricevuta nel referendum promosso da Renzi e Boschi.
Lo scenario politico è così mutato nel frattempo da non consentire alleanze da “grandi coalizioni” e rischia anzi di rompere quelle esistenti, di frantumare storici accordi che, qualora non si arrivasse alla formazione di un governo, potrebbero essere utili anche in futuro.
In ciò la Lega di Salvini conta, divisa tra la tentazione di un governo bicolore col Movimento 5 Stelle e il mantenersi fedele al tripartito del centrodestra un tempo a guida berlusconiana.
E proprio a destra si gioca la partita del governo, visto che a sinistra esiste solo LeU in Parlamento e nel campo del fu centrosinistra può dirsi ancora più o meno presente un Partito democratico ridotto a spettatore e autorelegatosi in un settore di opposizione che non si comprende ancora bene a chi dovrebbe essere fatta non esistendo una “maggioranza di governo”.
Un lascito del renzismo che ancora permea e controlla le fila parlamentari, quanto meno, del PD: forse per testare quanto della vecchia “ditta” in stile bersaniana può riemergere davanti ad una proposta di accordo (o “contratto” alla Di Maio) per il governo o forse semplicemente per avere una sponda su cui appoggiarsi nel caso della fondazione di un nuovo partito prima di scivolare definitivamente nel residualismo, visti anche gli attuali sondaggi.
La partita del governo, pertanto, è solo una partita di destra, che si fonda su programmi di destra e potrebbe non essere tale nel caso (molto improbabile) in cui la Lega non riuscisse a giocare su due sponde: contratto con Di Maio e mantenimento dell’alleanza con Berlusconi e Meloni.
Serve tempo, ma il tempo può lenire i rancori della campagna elettorale, renderli più sopportabili, ma difficilmente può modificare i numeri: salvo sorprese nella composizione dei gruppi parlamentari e fronde interne che potrebbero farli scindere e portare acqua al mulino di un asse tra Salvini e Di Maio.
L’impressione, dunque, è che nulla sia confuso, fumoso o poco omogeneo in questa partita: per l’appunto ogni cosa, ogni parola appare pesata e soppesata con dovere per lanciare messaggi che non lasciano interpretazioni di sorta ma che portano con loro chiarissimi intenti sul governo futuro e sul posizionamento delle forze politiche tanto nella maggioranza quanto nell’assetto dell’esecutivo stesso in merito all’occupazione dei dicasteri.
Chi voleva la semplificazione della politica sarà certamente deluso, ma seppure apparentemente complicato, questo meccanismo parlamentare che ripristina l’obbligo al confronto non può che essere visto come un gioco di equilibri che dovrebbero garantire tutte e tutti noi d’essere al riparo da eccessi di questo o quel partito.
Il ritorno del parlamentarismo purtroppo però avviene sotto le insegne di una larga maggioranza che si basa su disvalori di destra, su concezioni antiegualitarie in tema di economia, di diritti sociali e civili.
Quindi spetterebbe alla sinistra inesistente in Parlamento e nel Paese di riformulare una nuova esistenza mantenendo le residue posizioni che ha e da queste rilanciare un progetto costituente per un nuovo progressismo antiliberista italiano.
E’ un obiettivo comune almeno alle forze che si richiamano all’alternativa di società di vecchia maniera (tanto per essere sufficientemente chiari, quella del “Un altro mondo è possibile”), inclusiva, aperta alle differenti esperienze di metodo e di impostazione culturale.
Ma è un lavoro che ha bisogno di molto tempo e rischia di non essere sufficientemente adeguato nel frattempo se si costituisse un governo nuovo contro il Paese. La speranza è che il governo tardi a palesarsi e che la sinistra trovi almeno la forza di parlarsi. Sempre che due speranze facciano un principio di realtà…
MARCO SFERINI
6 aprile 2018
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