Nella confusione della politica moderna (verrebbe voglia di citare: “la confusione sotto il cielo è grande, ma la situazione non è eccellente”) si trovano sempre più spesso intellettuali che si divertono a discettare distinguendo tra i diversi tipi di populismo: quello “versus” le élite; quello “versus” lo straniero, ecc, ecc.
Si trova anche chi, tutto sommato, trova conveniente tirare la volata alla destra affermando che – almeno da quello parte – il tema dei migranti viene sollevato dopo che la sinistra “borghese” ha cercato di occultarlo sotto il velo della carità.
Tutto questo è frutto davvero di enormi fraintendimenti e della assenza/dimenticanza di bussole teoriche di riferimento; quelle bussole, quelle fonti di orientamento che, fino a qualche anno fa, presente la vituperata forma – partito “classica” e la coniugazione tra i cerchi concentrici che la formavano potevano essere riconoscibili fino a formare un “corpus” teorico e politico abbastanza utilizzabile per la lotta sociale di tutti i giorni.
Oggi ci si dimentica, purtroppo, del nodo fondamentale che rimane quello del rapporto tra sfruttati e sfruttatori, nel quadro di un allargarsi di quella che avevamo definito come “contraddizione principale” ad un insieme, per certi versi inediti sulla scena della storia, della società.
Non si tratta, sia chiaro, della conservazione di antichi ideologismi ma di affermare la costanza e la pervasività quotidiana della contraddizione di classe.
Per questi intellettuali,una volta fatto finta di dimenticare e/o occultare i passaggi decisivi delle gerarchie insite nel sistema capitalistico, il resto viene tutto bene, anche accostarsi a questo pasticcio di governo italiano facendo finta di discuterne come se le sue componenti fossero sul serio portatrici di un pensiero politico e non di episodici raptus di enunciazioni tendenti esclusivamente alla conquista (apparente) del potere.
Un modo come un altro per assoggettarsi ai nuovi padroni e candidarsi all’eterno ruolo di cortigiani.
Altro che personalizzazione ed apparire in luogo dell’essere, siamo già arrivati alla teorizzazione dell’astrattezza di un potere complice della vacuità dell’assenza di pensiero e del modellarsi delle azioni sulle più pericolose istanze soltanto perché le si ritiene gradite al pubblico (del web).
FRANCO ASTENGO
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