«Orbán ha gettato la maschera e oggi comincia la sua dittatura» lancia l’allarme Bertalan Toth, il leader dei socialisti ungheresi. E perfino uno come Peter Jakab, alla guida del partito di estrema destra Jobbik, non si perde in inutili giri di parole e definisce quanto accaduto ieri nel parlamento di Budapest «un colpo di stato».
Più che una crisi sanitaria, come nel resto d’Europa, quella in corso da giorni in Ungheria è una crisi di democrazia che ieri è arrivata al culmine. Approfittando dell’emergenza dettata dalla pandemia di coronavirus Viktor Orbán ha fatto approvare dal parlamento (153 voti a favore su 190, solo 53 quelli contrari) una legge speciale che gli consegna pieni poteri per un periodo di tempo illimitato. Con la scusa di contenere il dilagare del virus da oggi il premier magiaro può quindi governare il Paese a colpi di decreti, decidere un’eventuale chiusura dello stesso parlamento, sospendere o cancellare le elezioni, cambiare o abrogare leggi già esistenti. Le nuove norme permettono inoltre di punire con pene che possono arrivare fino a otto anni di carcere chi – risultato positivo al virus – non rispetta la quarantena, mentre anche la poca stampa rimasta ancora libera rischia pene severe – da uno a cinque anni di reclusione – se verrà ritenuta responsabile di aver diffuso «false notizie». Tutto il Paese in mano a un uomo solo e al suo partito Fidesz, che grazie ai numeri con cui controlla il parlamento, e ad alcuni voti dell’estrema destra, ieri ha votato il nuovo pacchetto di misure che cesseranno di essere in vigore solo se e quando verrà deciso dallo stesso Orbán. Inutile ogni tentativo delle opposizioni di porre un limite di 90 giorni al potere assoluto del premier. «L’opposizione sta dalla parte del virus», ha sentenziato con la solita retorica sovranista il premier.
Da quando l’emergenza coronavirus si è diffusa in Europa in Ungheria sono stati registrati 447 casi di contagio con 15 vittime, ma i dati reali potrebbero essere molti più alti. Inoltre i test effettuati, 13.300 secondo la cifra fornita dallo stesso governo, sarebbero insufficienti e negli ospedali mancherebbero tute, guanti e mascherine mentre i respiratori sarebbero in tutto 2.560.
I primi casi di positività al virus risalgono al 4 marzo scorso e hanno riguardato due studenti iraniani, saliti a otto pochi giorni dopo. Studenti, non migranti, ma questo non ha impedito al premier magiaro di tornare ad attaccare quanti cercano disperatamente di raggiungere il nord Europa. L’11 marzo è stato dichiarato lo stato di emergenza con il successivo lockdown che dovrebbe concludersi l’11 aprile. Le misure restrittive decise da Budapest sono però più leggere rispetto a quelle adottate da altri governi europei. Gli ungheresi possono uscire di casa per andare al lavoro, dal medico e per svolgere commissioni importanti, ma secondo i media locali sarebbe anche permesso loro di partecipare a matrimoni e funerali, svolgere attività sportive e accompagnare i bambini all’asilo. Sono state previste anche delle fasce di età per recarsi in determinati negozi: alimentari e farmacie sono aperti dalle 9 a mezzogiorno solo per gli ultra sessantacinquenni, riservando il resto della giornata alle persone più giovani.
Nei giorni scorsi, una volta che le intenzioni di Orbán sono state chiare per tutti, le istituzioni europee non hanno nascosto la preoccupazione per le ulteriori restrizioni allo stato di diritto verso le quali stava andando l’Ungheria. «Ho risposto ai frignoni europei di non avere il tempo di discutere questioni giuridiche senz’altro appassionanti ma teoriche» quando ci sono «vite da salvare», ha risposto ieri a tutti Orbán.
CARLO LANIA
foto tratta dal sito del Partito della Sinistra Europea