La scomparsa di Gianni Minà è, per molti versi, il segno della conclusione di un’epoca. Non perché non esistano oggi personalità del mondo dell’informazione e della cultura capaci e nel contempo irriverenti. Tuttavia, la cifra specifica di Minà sta nel suo eclettismo intriso di una variegata cultura, creativo e persino debordante.
Gli eccessi di un linguaggio della voce e del corpo spesso qualche misura più su sono stati la porta di ingresso per riuscire ad intervistare figure avvolte dal mito e poco adatte alle routine: da Fidel Castro, a Muhammad Alì-Cassius Clay, a Diego Armando Maradona. Sono alcune delle pietre preziose che ci ha lasciato, veri e propri momenti magici.
Si trattava di un particolare format, in cui si realizza un coraggioso gioco a due, con l’immedesimazione di fatto dell’intervistatore con l’intervistato. Tant’è che le numerose figure passate per quei microfoni non avrebbero dato la stessa disponibilità ad altre persone, se non – magari- per conversazioni ufficiali e reticenti. Castro passò ore e ore con Minà e quel colloquio è stato il prototipo cui si sono ispirate iniziative omologhe.
Così, il fortissimo ma non facile Alì divenne un amico quasi intimo. Per non dire di Maradona, che fu portato di peso a «Domenica in» dove non sarebbe mai andato essendo piuttosto «malandato» in albergo. Ma Diego Armando era l’interlocutore perfetto: rappresentante della voglia di riscossa del sud del mondo, campione inarrivabile eppure impregnato di malinconia.
All’America latina fu dedicata una rilevante parte dell’attività professionale, attraverso un importante periodico Latinoamerica, solo una delle testate su cui scrisse: dagli esordi a Tuttosport, a la Repubblica, a l’Unità, a il manifesto. E non per caso fu l’unico a rivolgere una domanda secca e imbarazzante alla giunta militare di Buenos Aires in vista dei mondiali di calcio del 1978, uno degli otto massimi tornei del pallone seguiti.
Lo sport, sviscerato nelle fondamenta spesso oscure e tuttavia ricco di volti amari e di storie straordinari, ha rappresentato una quota assai elevata dell’impegno di Minà. Infatti, nel 1991 diresse La Domenica Sportiva, blasonato programma della Rai all’epoca senza concorrenza in una serata dedicata agli dei pagani dello sport. Si potrebbero elencare, però, le decine di ulteriori titoli di una biografia enorme.
La Rai farebbe cosa buona e giusta, del resto, a immaginare di raccogliere in uno speciale volto a raccontare chi era Gianni Minà, colpevolmente dimenticato dal servizio pubblico negli ultimi anni. Già, era considerato troppo schierato e pure indipendente, pacifista e lontano dai salotti romani, non avendo smarrito l’origine sabauda: gentile e – insieme- determinato nel difendere idee convinte e autonomia di giudizio.
Eppure, Minà regalò alla Rai pagine indimenticabili, a cominciare da quell’Altra domenica, che dopo la riforma del 1975 ruppe il sipario di ferro di un’azienda timorata dei governi e usa alle censure, illuminando la scena mediale con presenze lontane dal clima subalterno e bigotto largamente egemone. Roberto Benigni cominciò ad essere conosciuto nei panni di un improbabile critico cinematografico nella trasmissione ideata da Renzo arbore e Maurizio Barendson.
Minà, finalmente, fu assunto dopo anni di precariato dall Tg2 di Andrea Barbato. Insomma, Minà partecipò alla primavera del servizio pubblico, in una rete due rimasta (insieme al successivo canale di Angelo Guglielmi) uno dei non molti riferimenti alti della storia televisiva.
E in seguito vennero la collaborazione a Mixer e i suoi Alta classe e Blitz, vera fabbrica di immaginari stupefacenti in un’Italia alquanto chiusa e autoreferenziale. Si susseguirono sugli schermi riempiti dalla genialità del conduttore santoni laici come Federico Fellini, Giulietta Masina, Eduardo De Filippo, Sergio Leone, Enzo Ferrari, Fabrizio De André, Giorgio Gaber, Léo Ferré, Betty Faria. Fino a Rober De Niro e Jane Fonda. Di qui la gustosa scenetta comica con cui Massimo Troisi parlò dell’agendina inarrivabile di Minà. Così la famosa foto, rimbalzata ovunque.
Ha provato con la moglie regista Loredana Macchietti, compagna straordinaria nei momenti belli e nei passaggi difficili, a mettere insieme, in un apposito archivio, l’intero patrimonio delle interviste, nella loro integralità. Tale immensa ricchezza merita di trovare luoghi e ospitalità adeguati. Lì dentro ci sono intere sequenze della memoria collettive.
Quanti film documentari, libri. Per esempio, il gioiello I Diari della motocicletta, il viaggio di formazione di due giovani amici alla scoperta del Sud America: Alberto Granada e Ernesto Che Guevara. Svariate produzioni, difficili da evocare tutte in poche righe. A maggior ragione serve davvero una rassegna in grado di illustrare l’ampiezza di un’esperienza artistica, giornalistica ed esistenziale notevolissima.
Minà non si è piegato a compromessi e piccole convenienze. Ha sempre tenuto la schiena dritta. Non per niente, quando fu candidato dalla Rete di Leoluca Orlando alle elezioni politiche del 1994 i poteri forti (e mafiosi) misero il veto. I cattivi capiscono chi sono i nemici.
VINCENZO VITA
foto: screenshot You Tube
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