Massimo Villone, professore emerito di Diritto Costituzionale presso l’Università di Napoli Federico II, è uno degli esponenti più autorevoli del Comitato per il no al referendum costituzionale che si terrà il prossimo autunno e che dovrà approvare o meno la riforma promossa del governo Renzi. Con lui abbiamo voluto analizzare la controversa situazione che ha caratterizzato questo percorso riformativo soprattutto dopo la sconfitta del Pd alle scorse amministrative e quali scenari ci aspettano fino all’appuntamento referendario.
Professore, in primo luogo con lei volevo commentare il fallimento dei due tentativi di scardinare il combinato disposto tra riforma costituzionale e legge elettorale messi in atto attraverso lo “spacchettamento” del referendum, obiettivo non raggiunto visto che non si è arrivati in Parlamento al numero necessario di firme per poterlo attuare; e dall’altro attraverso quelle 500mila firme che avrebbero permesso di indire un referendum abrogativo dell’Italicum, ovvero quella legge elettorale funzionale appunto alla riforma costituzionale e viceversa. Due tentativi diversi e con percorsi diversi che tuttavia potevano mettere in discussione questo progetto governativo. Qual è il suo giudizio su questo esito?
Io per la verità allo “spacchettamento” ho sempre creduto poco perché tecnicamente non era una strada percorribile allo stato della normativa vigente. Perché la legge 352, che disciplina il referendum, per quanto riguarda appunto il referendum ex articolo 138, cioè quello confermativo e che voteremo, fa espressamente riferimento alla legge come tale. C’è proprio la formula del quesito, “volete voi approvare la legge….” Che rende difficile appunto lo “spacchettamento”. Bisognava passare per arrivare ad un quesito parziale attraverso il superamento di questa legge 352 o per via parlamentare o attraverso una dichiarazione di legittimità della Corte Costituzionale. Il che allo stato attuale delle cose sarebbe stato indisponibile. Detto questo è vera la premessa.
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VITTORIO BONANNI
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