Più di una provocazione: infatti sono due. Ma di una non sono molto sicuro. Perdonate questo scimmiottamento del grande Albert Einstein, ma non m’è riuscito di trovare parole migliori per introdurre un commento ad un commento, una critica ad una critica.
Del resto, se si vuole parafrasare quanto ha scritto stamane Mattia Feltri su “La Stampa” nella sua rubrica quotidiana “Buongiorno”, erede di quella resa celebre da Massimo Gramellini (o erede di Massimo Gramellini reso celebre dalla sua abilità giornalistica…), bisogna far ricorso a qualche “grande” pensiero, perché qui si tratta di grandi giornali, di grandi rubriche, di grandi intelletti.
Si tratta anche di grande confusione perché oggi vi si parla di Ernesto ‘Che’ Guevara e lo si cita a proposito di un ennesimo accaparramento della figura del rivoluzionario e combattente comunista da parte della destra.
I giovani del partito della Meloni ne avrebbero fatto citazione in questi giorni, riproponendo un’epica che va avanti – su questo ha ragione Mattia Feltri – da fin troppo tempo, da quando a Valle Giulia l’interpoliticismo aveva creato imbarazzo e danni danti a destra quanto a sinistra.
Un mondo intellettuale si mosse su quell’episodio e se tutti i torti non li aveva Pasolini è altresì vero che non tutte le ragioni le avevano gli altri. Insomma, il tema era spinoso tanto quanto quello di prendere la figura del Che e farne una icona dei giovani fascisti, di destra comunque estrema.
Ci provò recentemente, ossia qualche anno fa, anche qualche partito più attuale dell’MSI, persino figurando Marx sui manifesti e chiamando a discuterne filosofi e quant’altro di coloro che interpretano il mondo invece di impegnarsi nel provare a cambiarlo.
Può darsi che questo disallineamento dei valori e delle figure che li rappresentano sia dovuto alla tanto celebre “scomparsa delle ideologie”: un mito come l’Araba Fenice, appare, scompare, tutti dicono che esiste ma nessuno sa dove si trovi.
Può darsi, invece, che il gioco sia più banale e anche più sagace: confondere le acque, mostrare che tutto è di tutti e che non esiste più una proprietà intellettuale che possa discendere e anche riferirsi a grandi personaggi del passato che, certamente, non possono essere attribuibili allo schieramento opposto contro il quale, per una vita, hanno combattuto.
Che Guevara ha combattuto il fascismo nel battersi contro un imperialismo che ne era la manifestazione eguale e non contraria nel suo dispiegare tutto un autoritarismo feroce sull’isola caraibica: il bordello creato da Fulgencio Batista non era un regime fascista “propriamente detto” e identificabile nell’iconografia classica che immaginiamo quando pensiamo al nostro fascismo, ma era un regime fantoccio, subalterno ai desideri del mercato e del potere americano.
Che Guevara ha combattuto in Africa, in America Latina, ha rappresentato Cuba all’ONU e presso i più grandi Paesi del mondo.
Era comunista e, per questo, dice Mattia Feltri, è “una delle prove della storia che comunisti e fascisti sono gemelli separati alla nascita“. Se proprio ci fosse bisogno di una prova, chiosa il giornalista.
Questa frase mi ha fatto venire in mente il film “Mio fratello è figlio unico”: Elio Germano e Riccardo Scamarcio sono due fratelli separati dalla politica. Il primo fascista, il secondo comunista. Un dramma familiare nell’Italia riunita sotto le bandiere repubblicane e democratiche e così separata in casa da visioni diametralmente opposte della società.
Si può discutere per ore, per pagine e pagine dell’ormai antico adagio sulle “dittature parallele”, sulle similitudini ipotizzate tra Terzo Reich, fascismo italiano e paesi del socialismo reale, di quel comunismo mai veramente realizzato ma chiamato tale perché – diciamolo – sarebbe anche stato complicato chiamarlo “capitalismo di stato” per far comprendere alla grande massa delle persone la differenza che passava col capitalismo occidentale, quello originale, vero e proprio modello di ingiustizia nato secoli prima con la fase mercantile sviluppatasi in quella bancaria e profittuale.
Si può discutere, appunto, ore e ore, scrivere pagine e pagine ma sarà sempre proprio di una visione miope, nemmeno lontanamente paragonabile alla critica di Norberto Bobbio, l’accostamento tra fascisti e comunisti come nemmeno solo “fratelli separati”, bensì “gemelli”, quindi nati nello stesso momento, nello stesso giorno.
Se vuole essere un riferimento storico, è più che impreciso: è falso.
Il movimento comunista, quello socialista sono stati anche la culla dove sono cresciuti dittatori diventati poi fascisti, come Mussolini, ma tutto l’armamentario ideologico sviluppato era di derivazione socialista solo quando al duce piaceva accattivarsi le masse proletarie e dire che l’Italia era “proletaria e fascista” allo stesso tempo; oppure quando, stremato dalle sconfitte, nel redigere il manifesto di Verona e proclamare “sociale” la sua repubblica, il condottiero del ventennio fece riferimento ad un programma fortemente progressista, quello del fascismo delle origini in cui l’influenza della vita politica precedente non poteva non farsi sentire.
A Mattia Feltri riconosco almeno la bontà della polemica pacifica, un tono tipicamente liberale, da vecchio PLI, nel giudicare fascisti e comunisti come un parto gemellare della storia umana: era tipico di quello stile di una destra moderata respingere quella estrema ed accomunarla a chi si considerava altrettanto estremo.
Ma nel comunismo, caro Feltri, non c’è alcun estremismo: c’è solo la volontà ferma di non far venire meno l’alternativa a questa società.
Purtroppo oggi il compito dei comunisti è di resistenza, di difesa, non di offensiva: siamo – come diceva Gramsci – in un livello antecedente a quello propriamente tale del Partito comunista, ossia l’attacco al sistema che presuppone non uno sparuto drappello di intellettuali d’avanguardia che avanzano senza dietro nessuno, brandendo la spada dell’esempio tanto ideal-ideologico quanto morale e civile (quindi anche sociale).
Ci troviamo in tempi in cui un dialogo è impossibile anche su temi prettamente speculativi come quelli di una polemica sull’identità comunista, sul valore del comunismo come “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”.
Ed è quindi un bene anche parlare di Che Guevara e del comunismo su fronti opposti: riconoscendo al Che il sacrificio di una vita per la libertà del proletariato e dei popoli oppressi e contestando ai comunisti di averlo forse un po’ tradito nel tempo. Magari non somigliando ai fascisti, ma provando a somigliare anche troppo a certi liberali che hanno sempre pensato che comunismo e fascismo fossero “dittature parallele”.
MARCO SFERINI
12 ottobre 2018
foto tratta da Pixabay