C’è un rumore di fondo nella vicenda terribile del terremoto che ha colpito il centro, il cuore dell’Italia. E’ un rumore sordo, ritmicamente martellante e che si ripete ogni qual volta si apre Facebook o si legge su Twitter un commento breve, un appello, un cinguettio trasformatosi in un chiù.
E’ il rumore della solidarietà assoluta, della propensione spasmodica, incessante, repentina e subitane, quasi irriflessiva, che vuole intervenire con una velocità irritante nel portare aiuto ai terremotati. Irritante “perché”? si domanderà qualcuno.
Perché si fa sentire come espressione di una gara al “chi è il più buono” e a chi lo è nel minor tempo possibile. Così non si aspetta nemmeno che sia crollato l’ultimo calcinaccio e che si possa dare il via ad una coordinata serie di iniziative nazionali per una ordinata raccolta di generi di prima necessità o soldi che servano, appunto, a confortare i primi istanti dell’inizio di una nuova vita per le popolazioni dell’Umbria, del Lazio, delle Marche e dell’Abruzzo che ora sopravvivono ai loro lutti morali e materiali nelle tende da campo dell’esercito e della Protezione civile.
Questa sarebbe l’Italia che ha cuore? Questa a me sembra molto l’Italia dell’ipocrisia, della voglia di mostrarsi solidale e generoso per fare le foto delle merci raccolte e pubblicarle su Facebook: ecco, guardate quanto siamo stati bravi; guardate quanta roba abbiamo raccolto. C’è sempre una volontà di apparire che i “social network” hanno alimentato in questi anni nel nostro modo di comunicare e anche di essere.
Ancora una volta ci siamo lasciati trasformare da un artificio concepito per singoli e per comunità. Non siamo più capaci di parlare con calma, di aspettare che esista la costruzione comune di un cammino che coinvolga istituzioni e comunità insieme.
La velocità frenetica internettiana ha preso il sopravvento e l’edonismo suggerito da Facebook e Twitter, che permette di esprimere qualunque pensiero, foto o momento della nostra vita in diretta addirittura, mostrando a tutti le nostre virtù e confessando i nostri sbagli, ha invaso anche il campo dei sentimenti più nobili, proprio come la generosità gratuita, priva di riscontro, silenziosa, che non cerca e non vuole citazione, riscontro, segnatura da nessuna parte.
Il rumore assordante dell’ipocrisia ritorna: vi sentite più buoni di altri come me ora? Di altri come me che hanno scelto di non mettere nessun appello su Facebook riguardo al terremoto e agli aiuti.
Basta poco per far sentire gli altri da voi più cattivi e basta davvero molto poco per aiutarvi, nella miseria interiore del resto dell’anno che vivete nell’indifferenza di molte, troppe cose che vi accadono intorno, a sentirvi, per pochi giorni, degli eroi. E il paese che ha bisogno di eroi come voi è davvero un paese sfortunatamente disgraziato.
MARCO SFERINI
27 agosto 2016
foto tratta da Pixabay