Come pensano le foreste

Nonostante millenni e millenni di antropocentrismo, qualcosa di ancestrale che, come un demone socratico, ci ricorda dal nostro interno che siamo parte di un grande sistema vivo e naturale...

Nonostante millenni e millenni di antropocentrismo, qualcosa di ancestrale che, come un demone socratico, ci ricorda dal nostro interno che siamo parte di un grande sistema vivo e naturale è rimasto e non può essere separato dalla nostra coscienza. Chiamiamolo pure un “istinto primordiale“, un attaccamento all’origine che va oltre la specie, perché, in fondo, tutto ciò che esiste su questa Terra, pianeta compreso, è, come sintetizzava molto bene Margherita Hack, “figlio delle stelle“.

Noi siamo fatti di quegli elementi semplici che sono alla base della composizione di una materia che si comporta in un determinato modo secondo quelle leggi della fisica (e della meccanica quantistica se si va nell’infinitamente piccolo) e, quindi, facciamo parte di un tutto da cui è difficile potersi separare per asserire che, vista la nostra intelligenza autocosciente, apparteniamo ad una punta piramidale dalla quale dominare l’esistente o il “creato” che dire si voglia.

Mettere in discussione, o comunque anche soltanto accennare ad una critica dell’antropocentrismo, ha quasi sempre sortito l’effetto della reazione di tipo clericale contro l’eresia, della repressione dello Stato forte contro la rivolta popolare, della militarizzazione dei concetti per preservare tutto un impianto pseudo-scientifico ed antropologico che, se contestato, dovrebbe ripensarsi ed essere riconsiderato fin dai suoi più remoti presupposti per arrivare nelle più moderne ipotesi evolutive.

Spostare l’essere umano dal centro del mondo è un po’ come spostare la terra dal centro dell’universo: si tratta comunque di rivoluzioni tanto del pensiero quanto delle abitudini e, per queste ragioni, la resistenza conservatrice è determinata, forte, risoluta e non intende retrocedere nemmeno davanti alle evidenze (pure scientifiche, si intende). Eppure la multidimensionalità della cultura moderna ha permesso, proprio mediante i processi di globalizzazione delle opinioni, che si diffondono e vengono conosciute molto più rapidamente di decenni fa, di fare grandi passi avanti.

Seppure con notevoli sforzi, e viste anche le condizioni di estremo disagio ambientale prodotte dall’antropocentrismo sul pianeta Terra, a più miti consigli con la teorizzazione (e la dimostrazione) dell’uguaglianza tra tutti gli esseri viventi, quindi con un antispecismo che decostruisce la preponderanza umana rispetto a tutti gli altri animali, è dovuta scendere una vasta galassia di analisti, di pensatori e di commentatori. La spinta propulsiva è data essenzialmente dall’oggettività degli sconvolgimenti ambientali.

La Terra sta diventando sempre più inospitale per una umanità che l’ha cambiata a suo uso e consumo e che si è appropriata di grandi polmoni verdi, di oceani, dell’aria, degli animali non umani per far sopravvivere nemmeno l’intera popolazione mondiale in condizioni di vicendevole uguaglianza e soddisfacimento quindi dei bisogni fondamentali; bensì soltanto una piccola parte di essa. Lo sviluppo ineguale prodotto dal capitalismo è figlio di una plurimillenaria concezione antropocentrista che oggi, se si vuole sopravvivere, e non più a scapito di nessun altro, è necessario mettere in discussione.

Un interessante spunto di riflessione lo offre, a questo proposito, un saggio di un professore associato di antropologia alla McGill University di Montreal: Eduardo Kohn. In questo testo lucido e diretto, leggibile praticamente da chiunque, perché proprio a tutte e tutti si rivolge per diffondere massivamente una nuova concezione del rapporto tra umanità e ambiente, si inizia un viaggio verso una dimensionalità esattamente opposta a quella in cui oggi ancora ci ostiniamo a vivere, indotti da bisogni artificiosi creati da una economia che annichilisce Gaia.

Come pensano le foreste” (edizioni Nottetempo, 2021) è un viaggio nella selva oscura (ed infatti con l’esergo del padre Dante si apre il primo capitolo dell’opera…), non solo perché fitta e densa di arbusti e di giganti verdi, ma perché praticamente misconosciuta nella sua essenza fondamentale, nella sua capacità comunicativa che noi ignoriamo, avendone una raffigurazione spesso stereotipata finalizzata esclusivamente al nostro bisogno di ossigeno e nulla più.

Nella foresta e nel bosco, nel piantare alberi piuttosto che nello sradicarli, noi vediamo e leggiamo luoghi e comportamenti eticamente classificabili come virtuosi, buoni, volti al benessere comune e alla sostenibilità complessiva e complessa dell’ambiente globale. Non pensiamo quasi mai alla foresta in quanto tale, come organismo vivente di per sé, sganciata dall’influenza che noi animali umani possiamo esercitare (malignamente) su di essa. Kohn, nei suoi viaggi nell’Alta Amazzonia, tra le popolazioni indigene dei Runa, impara anzitutto questo.

A distinguere ogni organismo vivente da sé stesso e, quindi, a considerare sé stesso come uomo in relazione prima di tutto con ogni altro essere, animale o vegetale che sia, ponendosi su un piano relazionale di scambio orizzontale delle esperienze e non di preponderanza e di dominio che promanano dalla concezione antropocentrica. Tutto verso noi e noi sopra ogni cosa, sopra la Terra, al vertice di una piramide evolutiva che noi stessi abbiamo determinato scegliendo come principio primo la capacità intellettiva.

Non c’è dubbio che l’essere umano sia, in quanto a consapevolezza di sé stesso e di ciò che lo circonda, il più dotato. Ma, come ha ricordato molte volte il grande fisico Stephen Hawking, «…siamo solo una razza avanzata di scimmie su un pianeta minore di una stella di media grandezza. Ma possiamo capire l’universo. E questo ci rende molto speciali». Questa specialità noi non l’abbiamo vissuta fino ad oggi con una modestia tale da metterla al servizio del benessere di ogni essere vivente e del pianeta. Ne abbiamo fatto una particolarità esclusiva per la dominazione sugli animali e sul mondo.

Eduardo Kohn, dal rapporto con ogni singola forma di vita della foresta, inclusi i Runa, trae non la conclusione bensì il principio di una riflessione sulla vitalità particolare del singolo organismo quanto dell’interezza dell’ambiente che lo circonda. La foresta, dunque, ci parla e ha un suo linguaggio, perché è capace di vivere non solo per sé stessa per pienamente integrata nel resto di ciò che le viene incontro e che la circonda. La foresta, dunque, ha un suo modo di pensare, di essere cosciente, seppure non comunichi come siamo abituati a fare noi.

Viene, quindi, messo in discussione quel punto di vista dell’antropologia occidentale che tende a separare l’essere umano dal resto della natura e a farne qualcosa di speciale e, quindi, seppure involontariamente, a renderlo inevitabilmente “superiore” rispetto alla Natura intera. La rivoluzione di Kohn sta proprio nell’aprire non un conflitto con le precedenti tesi antropologiche ma nell’aprire nuovi scenari di considerazioni nei rapporti tra l’umanità e il resto del mondo. Passando per quel grande, fantastico ecosistema che è la foresta amazzonica, descrive, pagina dopo pagina, una “antropologia oltre l’umano“.

Il che non significa che l’essere umano debba farsi da parte o sminuirsi. Semmai significa ritrovare il proprio giusto posto sul pianeta, considerando il fatto che ne siamo parte infinitesimale rispetto ad altri organismi viventi molto più numerosi di noi e che, quindi, se la nostra intelligenza ci permette di sottomettere gli altri esseri viventi, il numero ristretto di umani rispetto alle centinaia di miliardi di altre vite presenti potrebbe essere un presupposto quantitativo (piuttosto che qualitativo) per far valere il loro diritto a dominare su noi, invece del contrario.

La foresta diventa così un punto di osservazione anche sul piano meramente filosofico; questo perché, pur senza scadere nella sterilità di una qualche metafisica moderna intrisa di retorica, da lei parte un nuovo modo di pensare all’Antropocene come era, oltre una predestinazione divina, oltre una predestinazione storica e laica – se vogliamo – che l’antropocentrismo offre necessariamente come limite invalicabile per qualunque critica al dominio umano sul pianeta.

Capovolgere questa narrazione che ci ha condotto già oltre il punto di non ritorno verso una ristabilizzazione dei presupposti eco-ambientali precedenti la modernità capitalistica, è mettersi nella condizione di una autocritica che fa onore alla nostra intelligenza e che non mortifica affatto i secoli di storia di una umanità che si è reputata dominatrice su tutto e su tutti. Kohn, per spiegare questo nuovo approccio, questa visione davvero innovatrice e capace di essere potenzialmente una rivoluzione su vasta scala, cita un episodio di vita con i Runa.

Un giorno, parlando con uno di loro, nel cuore di quell’Alta Amazzonia citata poco sopra, nel villaggio di Avila, circa gli animali considerati da noi feroci (perché ovviamente possono famelicamente attaccarci o farlo per propria difesa), si sentì dire: «Dormi a faccia in su. Se dovesse arrivare un giaguaro, vedrebbe che anche tu puoi guardarlo e, allora, non ti disturberà». Confessa lo scienziato che in quell’istante, di quella frase, percepì una diversa relazione col resto dell’ambiente che lo circondava. Non si sentì più lui, umano, nei confronti della foresta, ma parte di essa, esattamente come il giaguaro.

Nemmeno ospite di un ecosistema, ma un pezzetto di esse e, per questo, la difesa della sostenibilità diveniva così difesa comune, di tutto e di tutti, non prerogativa umana per riparare ai danni fatti dall’antropocentrismo e dal capitalismo. Sostiene Kohn che occorre andare oltre l’umanità come elemento risolutivo delle questioni globali e globalizzate e che quindi bisogna superare un dualismo tra uomo e natura, tra uomo e animalità, recuperando la naturalità e l’animalità di cui siamo fatti e che ci mette in correlazione col resto dell’esistente.

Nello specifico, il dualismo da superare è quello «in cui gli umani vengono descritti come separati dai mondi che rappresentano, per andare verso un approccio monista, nel quale i modi in cui gli umani si rappresentano i giaguari e i modi in cui i giaguari si rappresentano gli umani possano essere intesi come parti integranti, sebbene non interscambiabili, di un’unica storia senza fine».

Abbiamo detto che il saggio di Kohn ha un carattere antropologico, sociale quindi ed anche filosofico. Possiamo aggiungere che ha pure un carattere politico. Lo annota accuratamente nell’introduzione Emanuele Coccia che si esprime con attenzione sul concetto di “ecologia“, divenuto quasi una appendice di un discorso molto più ampio che travalica ciò che oggi consideriamo prettamente “ecologico“. Certo, si tratta di separare i rifiuti, di risparmiare le risorse idriche, di aggiornare i “nostri” stili di vita rispetto alle risposte irose della Natura. Ma non è solo questo…

Col passare dei decenni le tante nozioni ecologiche declinate dall’ambientalismo aggiornato ai tempi più vicini a noi sono divenute preda dei cortocircuiti economici liberisti. Pur senza volerlo, l’ecologia è stata fiutata per quello che poteva diventare: un affare. L’ennesimo sulla pelle di tutti gli abitanti del pianeta (tutti, da quelli considerati “muti” nei mari a tutti quelli terrestri ed aerei). Per questo, nota Coccia che scrive una molto particolareggiata introduzione, si dovrebbe ritornare a parlare di “scienza dell’economia della natura“.

La foresta di Kohn è esattamente questo: un esempio di come la Natura provvede a tutto nella sua autoconservazione che, sarebbe possibile nel modo più ottimale, se non subentrasse l’intervento distruttivo dell’antropocentrismo e dello specismo. L’attacco che portiamo, a fini di lucro, al regno animale e a quello vegetale (nonché agli altri regni che la biologia moderna riconosce) è sempre e soltanto un presupposto di un miglioramento di uno stile di vita privilegiato, per poche centinaia di milioni di esseri umani.

Il resto del pianeta ne subisce le conseguenze e la foresta, nonostante tutto, continua a pensare, perché è viva ed è un organismo che nella sua molteplicità esprime con grande naturalezza tutta la sua straordinaria unicità.

COME PENSANO LE FORESTE
EDUARDO KOHN
NOTTETEMPO, 2021
€ 20,00

MARCO SFERINI

31 luglio 2024

foto: particolare della copertina del libro


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