Condivido l’opinione di chi ha scritto: “Non sono mai felice quando qualcuno entra in carcere”. Questo pensiero l’ho formulato, tra me e me, ieri sera quando ho ascoltato la notizia della sentenza definitiva contro Schettino per il disastro del Giglio.
Penso che sia giusta la sentenza, ma io proprio non riesco ad essere felice.
“Non sei un parente di una delle trentadue vittime”, mi sento ripetere da una vocina che imita l’obiezione che comprendo necessaria per chi ha vissuto quella tragica esperienza.
E’ vero, non lo sono. Non ho vissuto quel dolore e quindi lo rispetto.
Ma io penso che un dolore ulteriore non tolga nulla al dolore che già in questi anni hanno vissuto tutte le persone coinvolte direttamente o indirettamente nel caso in questione.
Per questo non riesco ad essere contento se oggi Schettino è in carcere.
Ma un pensiero alle vittime del naufragio è doveroso, ed è certamente più nobile e onorevole di un sorriso per le sbarre della cella che, con il classico “clang” onomatopeico della serratura che si compone, dove viene infilata la chiave che reclude, sigilla una vicenda che è stata troppo spettacolarizzata.
Così avviene nell’epoca dei processi mediatici e anche dello smantellamento delle navi che naufragano. Dietro alle immagini della grande nave portata a Genova Voltri c’era tutta la tragedia che quella sera ormai lontana è stata vissuta… C’era già tutto lì.
(m.s.)
foto tratta da Pixabay