La cartina di tornasole delle paure recondite di una nazione è la concessione della cittadinanza. Le società bloccate fanno di tutto per limitare l’accesso dei nuovi membri e ritengono che i cittadini debbano essere tali perché i loro antenati lo sono stati nel passato. È quello che i giuristi chiamano lo ius sanguinis: solo quelli che discendono direttamente dai nativi possono essere ammessi alla comunità. È una idea di cittadinanza tutta rivolta all’indietro e che ben poco si preoccupa del futuro.
Non sorprende, dunque, che tra gli stati più restrittivi in tema di cittadinanza ci siano quelli che hanno da distribuire delle rendite: nei paesi produttori di petrolio, il governo si guarda bene dall’estendere la cittadinanza agli immigrati perché questi potrebbero rivendicare una quota della rendita petrolifera, che in alcuni paesi arriva a 100 mila dollari pro-capite. Più si aumentano i cittadini e più la rendita si riduce. Perché mai «regalarla» agli stranieri che non hanno avuto la fortuna di nascere sopra un pozzo di petrolio?
Se, invece, si aumentano solo i residenti, questi saranno mal pagati e sfruttati. E così, in Kuwait solo un residente su tre è cittadino, e in Qatar i cittadini sono addirittura meno del 15 per cento dei residenti.
A questa concezione della cittadinanza, se ne oppone un’altra e che guarda al futuro piuttosto che al passato: i cittadini sono quanti vogliono costruire l’avvenire del paese.
«Noi, popolo degli Stati Uniti», intona la Costituzione americana, e quel popolo è composto da chi rispecchia i valori di libertà, addirittura di ricerca della felicità. Basta essere nati lì per essere cittadini americani e nessuno, neppure Donald Trump, ha mai pensato che si possa modificare tale criterio, tanto esso è parte integrante della storia, cultura e valori americani.
L’idea implicita è che le rendite debbano basse e che chiunque possa contribuire ad aumentare il benessere, grazie al proprio merito piuttosto che alle condizioni di partenza. Né sorprende che, anche oggi, gli Stati Uniti abbiano un sistema assai aperto per dare la cittadinanza, tramite naturalizzazione, ai residenti nati altrove. Ne hanno diritto quelli di «buon carattere morale», ossia chi contribuisce alla fortuna del paese lavorando, pagando le tasse, e generando con il proprio talento idee e beni per tutti. Non è forse questa l’essenza del sogno americano?
È dunque sorprendente che una norma così ovvia e innocua come lo ius soli generi tanti timori e reazioni addirittura violente in persone altrimenti moderate.
È, purtroppo, la testimonianza che le opportunità in Italia sono in diminuzione e che si vogliano trincerare le poche rimaste per chi non sa costruirsele. In Italia non abbiamo da distribuire neppure i proventi del petrolio, ma molti, troppi, vogliono conservare per i figli degli italiani le ultime rendite di posizione rimaste. Un tentativo quasi disperato di mantenere il privilegio di chi è pessimista sulla possibilità di creare nuove risorse per tutti.
Gli argomenti razionali che giustificano la cittadinanza a chi nasce in Italia sono ignorati: non basta ricordare che la popolazione italiana sta terribilmente invecchiando ed è in diminuzione se non ci fossero gli immigrati di rinforzo. Che una parte crescente degli imprenditori, la componente più dinamica di qualsiasi sistema economico e sociale, è oramai straniera.
Tutti argomenti che non scalfiscono le convinzioni di chi ha paura e si aggrappa a una idea anacronistica di cittadinanza. Perché gli immigrati e i loro figli sono qui: nelle nostre scuole, nei posti di lavoro, per le strade.
Già beneficiano, per fortuna, di tutti i diritti connessi alla residenza, a cominciare da educazione e sanità. C’è però chi vuole mantenere un esercito di riserva, e anche se non possono loro negare diritti civili e sociali (anche perché gli immigrati se li pagano con le tasse), occorre impedirgli di avere diritti politici. Ci siano italiani che preferiscono portarsi nella tomba le loro piccole dispense piuttosto che dare ad altri una speranza. E, purtroppo, siamo tutti costretti, italiani di sangue e nati in Italia, a costruire insieme a costoro il nostro futuro.
DANIELE ARCHIBUGI
foto tratta da Pixabay