L’inflazione negli ultimi mesi ha galoppato, come del resto era prevedibile, e ha toccato il 4.8%. La crescita della ricchezza del Paese pure ha fatto un balzo rispetto all’annus horribilis 2020. Il dimezzamento del numero dei parlamentari da un lato, le tentazioni semi o del tutto presidenzialiste di una parte dell’arco parlamentare e di un’altra parte, non meno importante, della cosiddetta intellighenzia istituzionale, hanno ravvivato il dibattito politico sulle riforme costituzionali.
E poi, ancora, gli effetti della quarta ondata della pandemia sul lavoro, sulla scuola, sul sistema sanitario nazionale; e pure gli ultimi colpi di coda del virus, la rivolta della Lupa studentesca contro i manganelli e contro l’imposizione di una maturità “normale” in un momento ancora del tutto disarmonico per la vita e per le potenzialità di insegnamento da un lato e di apprendimento dall’altro per decine di migliaia di ragazze e ragazzi… Ce ne sarebbero a iosa di argomenti, temi e problemi sociali su cui la sinistra di alternativa potrebbe mettersi al lavoro.
La corsa al Colle ha tolto ogni orpello perbenista e ogni infingimento formale sulle buone e ottime relazioni tra forze politiche pronte a darsi battaglia fin da ora in vista della tornata elettorale del 2023. Serviva solo un motivo per poter ridisegnare i confini delle coalizioni, oppure per farle deflagrare definitivamente e slegarsi da alleati divenuti ingombranti o insignificanti.
Mentre le forze del centro si riorganizzano per dare alla borghesia italiana un nuovo punto di riferimento volutamente classista, facendosi largo tra quelli che vengono considerati gli “estremi” degli schieramenti (e nel caso della destra questa definizione è certamente vera e controfirmabile), la sinistra moderata e il cosiddetto “centrosinistra” formato da PD e Cinquestelle trovano qualche attimo di rifiatamento nel considerare l'”agenda Mattarella” come piano di lavoro e di sviluppo delle prossime proposte politiche da contrapporre all’ambigua geopolitica, essenzialmente, della Lega.
Il terremoto del Quirinale lascia tante macerie dietro e davanti a sé. Ma, appunto, mentre le altre forze politiche si stanno disponendo ad un assestamento anti-tellurico, prevedibile nei prossimi mesi in vista dei referendum sulla giustizia voluti da Salvini, la sinistra di alternativa tace. Ogni tanto qualche comunicato, qualche adesione alle manifestazioni degli studenti, agli scioperi operai, alle vertenze sindacali di questo o quel comparto di lavoro. Ma niente di più.
Non si tratta soltanto di una totale assenza dai mezzi di comunicazione di massa. Sarebbe un alibi troppo comodo attribuire a questo ostracismo pluridecennale l’altrettanto tempo passato ad inventare presunte soluzioni organizzative ed elettorali che hanno raccolto poche centinaia di migliaia di voti.
E’ già capitato di mettere per iscritto questa critica. E siccome tocca rifarlo, vuol dire che la sensazione (ma forse qualcosa di più di una mera percezione) è sempre quella: non sappiamo nemmeno utilizzare adeguatamente Internet e le risorse della rete. Non c’è stato da parte di Rifondazione Comunista, ma nemmeno da parte di altri micro-partiti che vorrebbero dare vita al comunismo del XXI secolo, fare la rivoluzione o costruire un partito comunista declinato in un leninismo senza Lenin o, peggio ancora, in un neo-stalinismo senza neppure Stalin.
Non sappiamo comunicare, ma forse continuiamo a non saperlo fare perché anche le nostre proposte sono molto difficili da poter essere largamente condivise oggi su una platea sociale distratta dai tanti problemi cui non abbiamo potuto dare una benché minima risposta in questi ultimi dieci, quindici anni. La nostra marginalità è progressivamente aumentata quando ci siamo messi noi stessi nella condizione di rinunciare a strumenti che avrebbero tenuto unita una comunità, forse l’avrebbero anche allargata.
Le difficoltà economiche le abbiamo sempre avute e, non c’è dubbio, in questi anni si sono acuite: la lontananza dalle istituzioni ci ha penalizzato, il mancato finanziamento pubblico ai partiti anche. Chi ha conservato il potere lungo questa cavalcata liberista trentennale, ha fatto tutto quello che poteva per escludere le voci critiche dal Parlamento e tenersi accanto una sinistra docile, pronta ad assecondare qualunque voglia di governismo le venisse prospettata come riconoscimento della propria stessa natura che vi si rispecchiava.
Tanto poco utile SEL prima e Sinistra Italiana poi nel difendere le ragioni sociali del mondo del lavoro, altrettanto inutile l’orgoglio comunista sfoggiato da noi stessi per dirci capaci di non cadere in simili trappole. Una vanità che si è risolta nel nulla, che ci ha premiato ecogentricamente ma non, come è possibile vedere, nel corso degli anni funzionato da magnete attrattivo sia per i lavoratori sia per gli studenti.
I nostri proclami e le nostre analisi sono davvero nulla se non siamo in grado di renderle, in tutta evidenza, quella alternativa sentita, voluta e richiesta dalle classi popolari, dal vasto arcipelago del disagio sociale.
Nel secondo anno dell’era Draghi, dunque, cosa pensiamo di fare? Di lanciare ogni tanto qualche disordinata e disomogenea campagna contro il caro-bollette senza avere, ad esempio, un giornale, un otto fogli di carta stampata da diffondere per far conoscere meglio ciò che lamentiamo, ciò per cui ci battiamo ancora?
Noi non abbiamo creato in questi anni un mezzo di condivisione davvero di massa delle nostre politiche: ci siamo limitati ad usare, ognuno con la propria specificità e singolarità interpretativa, i social, a tambureggiare le informazioni da una pagina all’altra, forse ritenendo che questo tam tam servisse a diffondere e ad incrementare una critica sociale rinnovata, facendola emergere quasi spontaneamente.
Non abbiamo invitato una comunità a soffermarsi sui concetti, sulle disamine. Non abbiamo fatto inchiesta, mentre ci siamo accontentati di svolgere un congresso che non ha preso l’impegno di rifondare una sinistra di alternativa mettendo al centro la questione culturale della classe di riferimento e, prima di tutto, di noi stessi che pretendiamo di rappresentare quel mondo del lavoro, della scuola e del disagio diffuso che, giustamente, non ci considera.
Perché non ci stiamo ri-strutturando, perché ci riteniamo bastevoli a noi stessi. E questa è una presunzione che dovremmo abbandonare prima di subito. Il dialogo tra le forze della sinistra di alternativa deve riprendere ma, al contempo, deve essere un dialogo che si fondi sull’attualità dei rapporti di classe e non sui nostalgismi per l’Unione Sovietica, per la burocrazia statalista e stalinista, per altri revisionismi politico-organizzativi che tanto male hanno fatto al recupero dei veri valori del comunismo come movimento libertario.
Noi siamo convinti di muoverci, mentre invece siamo impaludati in una accettazione passiva degli eventi. Li seguiamo e non anticipiamo mai una lotta, non la preveniamo offrendo delle soluzioni e mettendole a disposizione proprio di chi ha necessità di resistere all’assalto della compressione della spesa pubblica che, proprio oggi, Draghi ripropone come politica dei prossimi mesi per il suo governo e per il Paese, al fine di non derogare dai parametri europei.
La Commissione presieduta da Ursula von der Leyen non intende rinegoziare il debito pandemico e l’asse fra Roma e Parigi non sembra potersi allargare a Berlino. Senza la Germania, il fronte mediterraneo sarà battuto dalla linea della fermezza dei famigerati “paesi frugali” e dal blocco di Visegrad.
Ed in tutto questo sommovimento antisociale, noi comunisti seguitiamo ad attendere, non proviamo nemmeno a impostare un percorso di confronto, aperto, non impegnativo dal punto di vista organizzativo: non ci confrontiamo col mondo ecologista, con le associazioni, mentre applaudiamo a chi simula il pugno chiuso sul palco di Sanremo.
Questa apatia intellettiva e culturale, questa inedia strutturale non può durare a lungo. Servono, oltre ad un giornale che ci unisca nel dibattito e che ci faccia discutere un po’ ovunque, da Internet ai circoli politici e persino al bar, altri luoghi di approfondimento, di confronto e di scontro: ma occorre dinamismo e non attesa, programmazione e non spontaneismo, uniformità di scelte e parole chiave per comunicare e non una pluralità di voci che diventa cacofonia.
La sinistra di alternativa deve ritrovare una prassi nel teorizzare e una intelligenza nel proporre, nel disporre, nel far rinascere quella domanda di sé stessa e, quindi, di uguaglianza che gli studenti in questi giorni hanno reclamato nei loro scioperi, nelle loro manifestazioni. Queste ragazze e questi ragazzi, per la prima volta dopo molto tempo, hanno pensato che potrebbero darsi una identità rivendicativa, essere un movimento connotato con un nome e che, dietro a quel nome, “Lupa“, ci siano delle precise proposte, delle altrettanto chiare rivendicazioni da sbattere in faccia al governo.
Avessimo il coraggio di questi studenti, saremmo già, se non a metà, forse ad un quarto dell’opera nella rifondazione della sinistra di alternativa.
MARCO SFERINI
5 febbraio 2022
foto tratta da Pixabay